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La presentazione dell'indagine. Gli interventi di Gardini, Gasbarrini, Rovere, Messori e Rizzica 


06 FEB - Le enormi difformità regionali nell’accesso alle terapie che riguardano i criteri di individuazione, la tempistica e il monitoraggio. Criticità da affrontare con urgenza, come hanno sottolineato tutti gli interventi che si sono succeduti nel corso del dibattito relativoall’ Indagine civica sull’accesso alle nuove terapie per il trattamento dell’epatite C, presentata oggi dal Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (CnAMC)-Cittadinanzattiva in collaborazione con EpaC onlus presso la  presso la Sala della Mercede di Palazzo Marini a Roma.

“Bisogna intervenire sul profilo organizzativo – ha sottolineato Ivan Gardini, presidente di EpaC onlus – perché molto strutture sono regolate da accordi verbali e ciò è inaccettabile. Altro nervo scoperto da segnalare è la carenza di specializzandi e borsisti, che risultano assenti nel 63% dei casi”. La mancanza di uniformità territoriale e quindi l’impossibilità di produrre interventi omogenei genera grosse storture, “per esempio ci sono tre centri specializzati – ha osservato – che hanno effettuato zero triplici terapie. Nel complesso è necessaria una tempestività migliore per il reperimento di farmaci”.

Il problema delle differenze tra le regioni “è un fenomeno assolutamente inaccettabile – ha tuonato Antonio Gasbarrini, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia al Policlinico Gemelli – In questo modo ogni realtà utilizza diverse modalità di trattamento, con evidenti effetti negativi. Altro aspetto che pesa come un macigno è quello legato alle nuove Linee guida americane, che varranno per tutti, in cui si sconsiglia esplicitamente l’utilizzo dei vecchi farmaci anche con i pazienti meno gravi. E’ quindi in atto una vera e propria rivoluzione che probabilmente spazzerà via il vecchio lavoro in termini di terapie. Si tratta di un nodo apertissimo, che impone una riflessione approfondita e articolata”.

Il tema delle nuove Linee guida a stelle e strisce è quindi dirimente. “In Italia la salute è concepita come un diritto, negli Stati Uniti invece è considerata un bene e come tale è acquistabile – ha ragionato Pierangelo Rovere, direttore dell’Unità operativa di Malattie Infettive a Legnago – Questa differenza va sottolineata con decisione. Per quanto concerne la nostra realtà, a livello di farmaci, il problema essenziale deriva dalla deregulation che incide ovviamente anche sugli antivirali diretti”.

Altro particolarità italiana è che “la ricerca sui farmaci è pagata dall’industria – ha spiegato Andrea Messori, Hta per la Regione Toscana – mentre quella sui dispositivi medici è finanziata dallo Stato, con le ovvie ricadute in termini di costi sul Ssn che invece andrebbe sgravato da questa spesa. A livello sistemico, bisogna evitare che tutte le criticità ricadano sugli ospedali, cercando di costruire un approccio che sia trasversale a epatologia, oncologia e cardiologia”.

Marina Rizzica, che lavora nell’area scientifico-culturale delle Malattie infettive per la Sifo, ha evidenziato le problematiche connesse “al costo enorme dei farmaci, con l’emersione di enormi difficoltà in termini di budget. Servono ragionamenti più articolati nell’ottica di una misurazione di costi e benefici. E nuovi criteri vanno elaborati anche per l’individuazione dei centri erogatori. Quelli attuali sono anomali e determinano situazioni paradossali: ci sono strutture non riconosciute con tantissime unità all’interno e altre che hanno ottenuto il riconoscimento in cui il personale è carente”.
 

06 febbraio 2014
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