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Tutte le criticità del “DM 71”

di Filippo Palumbo e Maria Giuseppina La Falce

La bozza anticipata da Quotidiano Sanità del cosiddetto DM 71 presenta diversi aspetti meritevoli di alcune osservazioni al fine di suggerire integrazioni e verifiche per dare maggior forza ai programmi in corso di riforma dell'assistenza territoriale per la quale si sono previsti investimenti davvero cospicui a partire da quelli del Pnrr

07 MAR - La pubblicazione di una bozza di testo del cosiddetto DM 71 su Quotidiano Sanità consente finalmente di capire in che termini si sta chiudendo questa lunga fase di predisposizione del provvedimento finalizzato al potenziamento dell’Assistenza territoriale previsto dal PNRR italiano con specifico riferimento alla Missione 6, in connessione con alcuni aspetti della Missione 5.
 
L’intendimento è quello di suggerire integrazioni e verifiche rispetto al testo oggi disponibile per dare maggior forza a questa linea per la quale si sono previsti   investimenti davvero cospicui.
 
Una prima riflessione va fatta sul fatto che non vi è una perfetta aderenza tra quanto previsto dalla bozza del provvedimento e il testo che risulta approvato dalla UE (vedi Fascicolo interistituzionale: 2021/0168 (NLE) NOTA Origine: Segretariato generale del Consiglio Destinatario: Delegazioni Oggetto: Allegato RIVEDUTO della DECISIONE DI ESECUZIONE DEL CONSIGLIO relativa all'approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell'Italia)
 
Nel testo che risulta alle UE per l’attuazione della Componente 1 della Missione 6, la Riforma 1 è data dalla definizione di un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale. La riforma costituisce un elemento preparatorio per gli investimenti della componente. È volto a istituire un nuovo modello di assistenza sanitaria territoriale e creerà un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico.
 
Tale finalità sarà conseguita mediante due percorsi differenziati per Assistenza territoriale e per Prevenzione (come del resto previsto nella proposta presentata dal Governo italiano). Inoltre, per il primo percorso la sequenza logico procedurale appare essere la seguente:
 

 
Nell’impianto del decreto presentato in bozza, non solo appare operato un ripensamento rispetto al percorso separato per la Prevenzione ma per il percorso unificato si procede saltando la fase di definizione di un quadro normativo adeguato e fissando direttamente gli standard, che, peraltro, costituiscono solo una parte dell’allegato al provvedimento (l’altra parte è costituita da linee di indirizzo generali e specifiche che ne fanno una sorta di mini piano sanitario nazionale).
 
Rispetto a questa situazione riteniamo di dover avanzare le seguenti osservazioni e proposte.
 
Aspetti generali
Nella parte introduttiva della bozza di provvedimento in esame, proprio in conseguenza del salto logico procedurale sopra evidenziato, al primo e secondo capoverso di pagina 2 si dice:
VISTO il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Consiglio dell’Unione Europea il 6 luglio 2021 (10160/21), in particolare la Missione 6 Salute, Component 1…….omissis…:
VISTA la Riforma sulle Reti di prossimità……omissis,,,,,,,,nell’ambito del PNRR (M6C1-1 “Riforma1: Definizione di un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale) che prevede la definizione di standardstrutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e il sistema di prevenzione salute ambiente e clima e l’identificazione delle strutture ad essa deputate…omissis…;
 
In questo modo è come se si facesse riferimento ad una Riforma che è stata conseguita.
 
A nostro avviso sarebbe stato più aderente alla situazione attuale far riferimento ad iniziative finalizzate a conseguire operativamente la Riforma sulle reti di prossimità, prefigurata dal PNRR.
 
Questa impostazione consentirebbe, come proponiamo alla fine di questo contributo, di superare tutta una serie di difficoltà connesse all’attuale impostazione, alcune della quali di portata tale da poter determinare grandi difficoltà nell’approvazione e nella attuazione di quanto si vuole proporre per l’assistenza territoriale
 
Il raccordo con il DPCM 2017 di fissazione dei livelli essenziali di assistenza. L’articolo 1 comma 169 della legge n.311/2004 corrispondeva alla necessità di garantire che le prestazioni definite dall’allora DPCM 2001 sui Lea venissero erogate con modalità uniformi sul territorio nazionale coerentemente con le risorse programmate per il Servizio Sanitario Nazionale.
 
A tal fine la norma  disponeva che con regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 3 della legge 400/1988 potevano essere fissati gli standard qualitativi strutturali, tecnologici e di processo e possibilmente di esito e quantitativi di cui ai Livelli essenziali di Assistenza. La Corte Costituzionale intervenuta con la sentenza 134/2006 che aveva stabilito ai fini dell0adozione del suddetto regolamento fosse necessaria l’intesa della Conferenza Stato Regioni e non il semplice parere, ha avuto modo di affermare che gli standard sono integrazioni e specificazioni sul versante attuativo dei LEA esistenti nel settore sanitario.
 
Alla luce di quanto sopra una prima riflessione a seguito della lettura della bozza di decreto concerne la necessità di operare una distinzione tra gli standard direttamente collegati all’erogazione delle prestazioni di cui al vigente DPCM Lea 2017  e quelli che invece sono gli aspetti organizzativi  legati ai requisiti strutturali, organizzativi e tecnologici minimi  per l’esercizio di attività sanitarie come nel caso di ospedale di comunità case della famiglia, che in qualche modo attengono alla competenza concorrente delle Regioni.
 
Solleva qualche perplessità la previsione che le Regioni possano dare attuazione a un così complesso apparato unicamente con un atto generale di programmazione. Se si guarda al  DM 70/2015, che fu adottato in attuazione di una specifica norma, il contesto normativo di cui alla bozza di decreto in esame sembrerebbe richiedere piuttosto un provvedimento legislativo e forse anche una norma quadro statale che ne delimiti i principi e criteri.
 
Aspetti specifici
Prevenzione. Qui occorre esprimere una forte riserva e un giudizio critico. Alcune pagine in cui si sintetizzano aspetti generali, condivisibili ma privi di una effettiva garanzia circa la loro implementazione operativa, non risolvono il problema. Va fatto e va previsto di più, certo sul piano anche culturale e di impostazioni innovativa basata sulla integrazione polisettoriale e politematica, ma soprattutto sul piano del potenziamento operativo e strutturale dei Dipartimenti di Prevenzione.
Perché non prevedere anche qui degli standard e dei criteri di esito ma anche di processo e di risorse professionali e tecnico strumentali?
Francamente il capitolo a ciò dedicato nell’attuale testo non sembra un documento che fa il punto su ciò che è accaduto in occasione della vicenda pandemica e non vi è garanzia che disfunzioni e carenze non si ripresentino.
 
Il rapporto con il DM 70 del 2015. Anche qui ci pare di dover suggerire una linea di approfondimento e integrazione.
Una duplice considerazione preliminare va fatta.
 
In primo luogo, come già detto, il DM 70 del 2015 fu adottato non solo in base alla previsione normativa a carattere generale inerente alla possibilità e alla modalità di fissazione di standard qualitativi e quantitativi in materia di livelli essenziali di assistenza (art. 1, comma 169, L. 311/2004 e correlata sentenza della Corte Cost. 134/2006)) ma anche in base ad una disposizione di legge specifica (DL 95/2012 convertito con la L. 135/2012).
 
In secondo luogo, nella stesura del testo del DM per l’Assistenza territoriale si nota lo sforzo di mantenere un parallelismo con il DM sugli standard ospedalieri. Non si tiene conto del fatto che il vigente testo del DM 70/2015 è stato predisposto in riferimento ad una definizione dei LEA che era necessariamente quella del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, e successive modificazioni, la quale per l’assistenza ospedaliera poggiava su liste negative piuttosto che su una definizione in positivo. Inoltre si era in presenza di una difficoltà relativa al fatto che per i requisiti strutturali, tecnologici edorganizzativiminimiperl'eserciziodelleattivitàsanitarie, a suo definiti con il  decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, si poneva un problema per la loro modifica o aggiornamento.
 
Ciò a seguito della nuova situazione che si era venuta a creare; da un lato  la perdita della potestà regolamentare dello Stato in materia di tutela della salute, dall’altro il fatto che  nell’ambito di tali requisiti vi erano parti effettivamente riconducibili alla materia tutela della salute ma altre riconducibili alla materia livelli essenziali delle prestazioni, in quanto ritenute indispensabili per garantire efficacia e sicurezza delle prestazioni sanitarie.
 
In altre parole, oggi in presenza di un nuovo provvedimento vigente per la definizione dei LEA (il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017) che ha notevolmente modificato l’impianto precedente, una eventuale riscrittura del DM 70 esiterebbe da un punto di vista formale, non sostanziale, in un testo in parte diverso da quello attuale. In ogni caso il DM 70/2015 si spinge verso il territorio tanto da prevedere esso stesso un ambito transmurale nel quale creare le condizioni per cui competenze cliniche di ambito ospedaliero vengano messe a disposizione per la erogazione di prestazioni in ambito extraospedaliero, a livello ambulatoriale o domiciliare.  
 
Non solo ma il DM 70 ha dato anche indicazioni sulle cure intermedie e sullo stesso Ospedale di Comunità. Occorre portare a sintesi e a coerenza tutto questo e fare in modo che tra i testi sugli standard nei due settori dell’Ospedale e del Territorio vi siamo saldature e coerenza. Non è un’operazione semplice in quanto l’evoluzione sul campo delle modalità con cui si fa assistenza sanitaria è continua. L’attuale fase di impasse collegata allo stress operativo determinato dalla pandemia sarà inevitabilmente seguita da una rispesa dei processi evolutivi che si erano andati a delineare.
 
Sul versante ospedaliero, nell’articolo con cui abbiamo partecipato al Forum sugli ospedali promosso da QS avevamo evidenziato:
- la tendenza degli ospedali a spostarsi sempre più sul trattamento dell’acuzie
 - la tendenza dei singoli presidi a lavorare sempre più come parte di un assetto funzionale più ampio sia rispetto al territorio in cui operano, sia rispetto alla rete degli altri ospedali su scala regionale e nazionale.
Questo ultimo processo, se guidato darebbe concretezza al tema della integrazione assistenziale Tema al quale dedichiamo il punto successivo
 
Il tema dell’integrazione assistenziale e gli approcci Medicina di popolazione, Sanità d’iniziativa e della Stratificazionedella popolazione per profili di rischio. L’integrazione assistenziale è la principale sfida che ci aspetta sul piano culturale, programmatorio ed operativo. Nell’attuale indice dell’allegato questo tema non appare direttamente citato. Certamente in alcuni capitoli, ad es,2, 3 e 4, il tema viene richiamato, ma andrebbe più fortemente evidenziato, L’enfasi è data alla sanità di iniziativa e alla stratificazione del rischio che si avvale di una lettura integrata dei dati disponibili allargata a quella che è una necessaria maggiore capacità di presa in carico.
 
Ciò richiede lo sviluppo di forme di integrazione assistenziale. Questa parte, che pare poggiarsi soprattutto sulle importanti esperienze della Regione Toscana (CCM-Chronic Care Model e ECCM-Expanded Chronic Care Model) e della Regione Emila Romagna (Progetto RiskER) è condivisibile sul piano prospettico allargato all’intero Paese, ma al momento per molte Regioni rappresenta solo l’avvio di un percorso.
 
Nelle due realtà regionali citate questo approccio è fortemente presidiato sul piano anche amministrativo e si procede con progetti ad hoc formalmente approvati dai compenti organi regionali e specifiche verifiche. In molte altre realtà regionali tutto il percorso è ancora da compiere, per cui considerare standard queste modalità organizzative (tutte ancora da contestualizzare nelle singole Regioni) è un azzardo sotto il profilo giuridico e amministrativo ed è un’obiettiva forzatura. Senza tener conto poi della impossibilità sotto il profilo costituzionale di conseguirne una diretta applicazione in tutto il Paese.
 
In ogni caso questo è solo uno degli aspetti della più generale iniziativa che occorre sviluppare per conseguire l’integrazione assistenziale a tutto campo. Si potrebbe, al riguardo, tener conto delle elaborazioni già disponibili in campo nazionale e internazionale. Per esempio rinnoviamo il suggerimento di andarsi a rileggere un approfondimento quale quello operato nella realtà bolognese: Forme di integrazione nell'Area metropolitana di Bologna(il materiale è consultabile sul sito della Conferenza territoriale sociale e sanitaria metropolitana di Bologna.) per avvalersi dell’analisi ancor valida delle esperienze maturate in campo internazionale, nonché della scrupolosa rassegna  delle forme tecnico assistenziali e  amministrative con cui può essere realizzata l’integrazione a livello istituzionale, con una disamina  delle varie tipologie di integrazione anche tra istituzioni diverse.
 
Tutto ciò all’insegna della parola d’ordine fare rete: a) tra i servizi territoriali con la centralità del ruolo dei medici di famiglia; b) tra gli ospedali, compresi gli ospedali di insegnamento, esportando le migliori pratiche; c) tra ospedali e servizi territoriali, con un modello organizzativo in cui le reti territoriali si coordinano con le reti ospedaliere, soprattutto con i dipartimenti ospedalieri più generalisti orientati alla continuità assistenziale.
 
In ogni caso non si può non rilevare quanto previsto  per l’assistenza domiciliare ove  in merito all’integrazione con le recenti disposizioni della legge finanziaria 2022 ( n.234/2021-art 1 commi 159 e seguenti) di introduzione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali (LEPS) , l’operatività degli standard è rinviata all’intesa da “sottoscriversi ai sensi dell’articolo 1, comma 163 ( rectius comma 161 n.d.r.), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 e l’accordo previsto all’articolo 21, comma 1, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 anche al fine di definire gli ambiti delle competenze del Servizio sanitario nazionale da un lato e de comuni dall’altro anche con riferimento agli ATS, mediante l’impiego delle risorse umane e strumentali di rispettiva competenza disponibili a legislazione vigente.
 
La bozza di decreto prevede poi che “Le Regioni e le Province autonome, in coerenza con l’articolo 1, comma 161, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, assicurano, mediante atti di programmazione, omogeneità del modello organizzativo degli ATS.”
 
Il raccordo con i provvedimenti regionali di attuazione delle norme emergenziali, Tenuto conto che alcune parti del programma PNRR si completeranno nel 2026, ci si chiede quale sia il tipo di raccordo con tutto ciò che è avvenuto sul territorio (o sarebbe dovuto avvenire o è ancora in corso) a seguito della legislazione emergenziale.
 
È significativo che il recente decreto del Ministro della salute di ripartizione delle risorse del PNRR e del Piano per gli investimenti complementari prevede che la ripartizione delle risorse avverrà al momento del perfezionamento dei Piani operativi regionali (comprendenti gli Action Plan), tenuto conto della ricognizione in corso da parte della Direzione generale della Programmazione sanitaria del Ministero della salute. L’erogazione delle risorse è condizionata alla sottoscrizione di un contratto istituzionale di sviluppo, di cui parte integrante sono i piani operativi regionali, che andavano perfezionati entro il 28 febbraio 2022.
 
Ma sono gli stessi Piani operativi regionali previsti dall’articolo 18, comma 1 del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18 convertito dalla legge 24 aprile 2020, n.27?
 
E poi tutte le disposizioni affini al provvedimento in esame come si raccordano? Si tratta di quelle relative agli USCA, infermiere di quartiere, centrali operative regionali, strutture di prossimità, distretto, residenze sanitarie assistenziali.
 
Proposta
Al termine del paragrafo Aspetti generali, abbiamo accennato a possibili iniziative per evitare che le criticità sopra menzionate indeboliscano l’operazione per il rafforzamento della Assistenza Territoriale,
 
In particolare, tali iniziative potrebbero essere promosse stipulando una Intesa in sede di Conferenza Stato Regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n, 131.
 
Con l’Intesa Stato Regioni sopra ipotizzata si potrebbero recepire, anche con miglioramenti, gran parte dei contenuti culturali e di spinta al cambiamento dell’attuale proposta di Decreto regolamentare e prevedere un più asciutto decreto ministeriale di natura regolamentare per definire eventuali necessari standard qualitativi e quantitativi ai sensi dell’articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
 
Resta da definire il percorso per la Riforma della Prevenzione facendo in modo che il percorso separato sia solo procedurale e non esiti in una deleteria separazione operativa e istituzionale.
 
Una notazione finale va fatta e riguarda il tema delle risorse rese disponibili a regime per tutta questa operazione che resta condizionata dal Livello effettivo di finanziamento del SSN negli anni successivi al triennio in corso.
 
Filippo Palumbo

Già Direttore Generale e Capo Dipartimento per la Programmazione sanitaria presso il Ministero della salute

Maria Giuseppina La Falce
Già Dirigente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri


07 marzo 2022
© Riproduzione riservata

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