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Dossier. Quei 10 miliardi buttati. Se le Regioni hanno i soldi ma non li spendono. Il caso sanità


Regioni con le mani bucate? Forse per feste e cene. Ma se si tratta di spendere per costruire ospedali, hospice e quant’altro, si scopre che tra ritardi e inefficienze una montagna di quattrini resta inutilizzata. Ecco i dati della Corte dei Conti e dei Ministeri dell’Economia e della Salute.

27 SET - Regioni spendaccione? Forse quando si tratta di festini, cene e automobili. Ma se la spesa riguarda la realizzazione di opere utili alla cittadinanza, scopriamo che le “mani bucate” dei vari “Batman” non riescono più ad agire con la stessa prontezza.
 
Prendiamo ad esempio la sanità. Da recenti relazioni della Corte dei Conti e del Ministero dell’Economia viene fuori che negli ultimi dieci anni le Regioni sono state capaci di non utilizzare una cifra pari a circa 10,5 miliardi di euro, di cui la gran parte costituita dai soldi non spesi né erogati del piano straordinario di investimenti in edilizia sanitaria del 1988 (solo qui sono stati stanziati e non spesi 9,8 miliardi di euro). Il resto si ritrova in diverse centinaia di milioni di euro stanziati in vari “Programmi straordinari”: dalla costruzione degli Hospice per i malati terminali di cancro alle strutture per l’intramoenia, fino a grandi opere come il Parco della Salute di Torino.
 
Il fallimento del grande piano di Donat-Cattin
Ma andiamo per ordine. Il piano straordinario di investimenti per l’edilizia sanitaria resta senza dubbio la più importante iniziativa di investimenti per opere e tecnologie sanitarie dall’istituzione del Ssn.
Varato nel 1988 per iniziativa dell’allora ministro della Sanità Carlo Donat-Cattin, con un importo iniziale di 30mila miliardi di lire, è stato via via rifinanziato per un totale di 24 miliardi di euro per costruire ospedali, rammodernarli, realizzare la rete delle cure territoriali, rinnovare attrezzature e tecnologie.
La relazione della Corte dei Conti, su dati consolidati al 3 maggio 2011, prende in esame la fase più recente di attuazione del Piano, per un importo complessivo di 16,84 miliardi di euro.
 
I risultati sono sconcertanti. Scrive la Corte: “Delle somme stanziate dal Legislatore solo 9,98 miliardi di euro sono stati attivati: 9,30 miliardi sono confluiti in accordi di programma sottoscritti dalle regioni e 680 milioni sono stati assegnati agli altri enti beneficiari; nello specifico 7,04 miliardi di euro sono stati materialmente erogati alle regioni e agli altri enti, ben 2,94 miliardi, ancorché giuridicamente assegnati, non sono ancora confluiti in transazioni finanziarie”.
 
Il quadro di come le Regioni abbiamo utilizzato i fondi è uno specchio impietoso delle differenze delle capacità di spesa. La Provincia autonoma di Bolzano ha sottoscritto quasi il 100% delle risorse assegnate in ambito CIPE; la Valle d'Aosta ha raggiunto l'83%; il Veneto l'80%; la Lombardia il 78%; la Provincia autonoma di Trento il 74%; la Toscana il 72%; l'Emilia Romagna ed il Piemonte il 71%.
 
Di fronte a questi risultati apprezzabili (ma non si capisce perché in così tanti anni non si riesca a spendere ovunque il 100%), abbiamo poi realtà drammatiche. Il Molise ha sottoscritto accordi per appena il 18%35, l’Abruzzo per il 32%, l'Umbria per il 36% e la Calabria per il 39%.
“In sintesi - chiariscono i magistrati contabili - rispetto al programma legislativo complessivo è stato attivato il 59,26% delle risorse stanziate per cui solo il 41,82% è pervenuto alla erogazione dei contributi in favore degli enti interessati.
 
Per la Corte sono diverse le cause di “questa immobilizzazione di risorse in un ambito strategico quale il servizio sanitario nazionale”. “Una di esse – specificano - è correlata al meccanismo degli accordi di programma con le regioni interessate, i quali sono propedeutici alla realizzazione delle iniziative e alla maturazione Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato del finanziamento. La lentezza e le tormentate modifiche che hanno connotato questa tipologia di programmazione negoziata hanno fatto slittare nel tempo l’utilizzazione di buona parte delle risorse stanziate”.
 
Ma non è solo colpa della burocrazia statale e normativa. Secondo la Corte infatti persistono “Altri elementi che hanno inciso sul mancato raggiungimento degli obiettivi che le disposizioni succedutesi perseguivano: essi possono essere riassunti nella scarsa capacità realizzativa di alcuni contesti regionali, i quali spesso coincidono con le situazioni della finanza sanitaria sofferenti e caratterizzate dalla adozione dei piani di rientro”.
 
Gli altri casi: dagli Hospice mancati al miraggio del Parco della salute di Torino
Altri esempi sconcertanti di incapacità di spesa ce li fornisce la relazione sulle spese di investimento delle Pubbliche amministrazioni presentata nei giorni scorsi dal Ministro per l’Economia Vittorio Grilli nell’ambito della nota di aggiornamento del DEF 2012.
Il prospetto di quanto accade nella sanità è contenuto in una nota articolata che parte proprio dalla mancata realizzazione del progetto del Parco della Salute e delle nuove Molinette a Torino varato con leggi del 2003 e 2004.
 
Un progetto ambizioso per il quale erano stati stanziati in diversi anni, prima 2,89 milioni e poi altri 1,58 milioni ma che, si legge nel report del Ministero, non si sono mai potuti spendere perché “la regione Piemonte non ha presentato un piano dettagliato degli interventi da realizzare e pertanto non è stato possibile attivare la procedura per l’accensione del muto”. E adesso? Adesso il finanziamento è stato semplicemente “azzerato” e chissà quando sarà possibile riattivarlo viste anche le nuove previsioni di mancata crescita per il Paese.
 
Non è andata meglio per un’altra avventura finanziaria, quella per il “Piano straordinario di interventi per la riorganizzazione e riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani”, per il quale erano stati stanziati (c’erano ancora le lire) 1,5 miliardi di lire, equivalenti a 774.685.348,63 euro, per il triennio1999/2001. Un progetto poi rifinanziato in anni successivi per un totale di 1,176 miliardi di euro. Ebbene a distanza di più di dieci anni è stato erogato solo il 61,44% dei fondi e gli altri sono tutti in “perenzione amministrativa”, vale a dire di fatto cancellati dal bilancio dello Stato perché non attivati dal destinatario e cioè le Regioni. Tutto questo quando è ben noto che la maggiore sofferenza è nelle aree metropolitane.
 
Tra i motivi di tale situazione il fatto che ad ogni cambio di giunta regionale veniva deciso che quella determinata opera stabilita dalla giunta precedente non si sarebbe più fatta, preferendone una alternativa in altra località. Ma ci sono poi anche difficoltà “culturali”.
Secondo il ministero dell'Economia, infatti, questo programma aveva “una connotazione innovativa in quanto non riguardava solo gli aspetti di edilizia sanitaria ma tutte le azioni che potessero prevedere un consistente miglioramento dell’assistenza sanitaria erogata”. Ebbene questo nesso “innovativo”, secondo il ministero, non è stato colto dalle Regioni che “hanno avuto una certa difficoltà nell’utilizzazione delle somme stanziate”.
Chissà quante “Case della Salute” per l’assistenza primaria si potevano fare nelle aree metropolitane.
 
Disarmante anche la vicenda degli Hospice destinati all’assistenza palliativa e di supporto principalmente per i malati terminali di cancro.
Un progetto importante per il quale nel 2001 furono stanziati 206 milioni di euro per la realizzazione di 210 strutture residenziali. Ad oggi ne sono stati realizzate 120 con fondi statali, più ulteriori 46 con fondi diversi (regionali o privati).
Il dato sconcertante è che a dieci anni dal programma ci sono regioni come la Sardegna che è riuscita a utilizzare solo il 15,9% dei finanziamenti assegnati o l’Abruzzo che non ha superato il 63,5%. In totale non sono stati erogati per mancanza di progetti ben 19 milioni di euro che sono ormai in perenzione amministrativa.
 
E ancora peggio è andata per un altro progetto, quello relativo al “Programma straordinario per la realizzazione degli interventi infrastrutturali con priorità a quelli connessi al rischio sismico e ad altri interventi emergenziali”. Ebbene solo il 53,94% dei 173 milioni di euro stanziati tra il 2003 e il 2005 è stato utilizzato. Le rimanenti somme non possono ormai essere più utilizzate per scadenza dei termini.
 
Lo scandalo dell'intramoenia allargata 
In ultimo, seppur non citato nel report del ministero allegato al DEF, non possiamo non ricordare quanto successo nell’annosa vicenda della cosiddetta intramoenia allargata.
Per far sì che finisse l’andazzo di esercitare l’intramoenia fuori dalle mura ospedaliere furono stanziati ben 826 milioni di euro tra il 200 e il 2001 per realizzare spazi separati e distinti dedicati all’interno delle aziende ospedaliere.
Gli ultimi dati disponibili resi noti dal ministero della Salute (31 luglio 2011) sull’utilizzazione di quei 826.143.140,92 euro mostrano che, tutto sommato, le cose sono andate benino rispetto ad altre vicende, con l’ammissione a finanziamento di 418 interventi, per complessivi 746.843.755,27 euro, pari al 90,4% della somma assegnata.
Mancano comunque all’appello 79.299.385,65 euro, ancora da autorizzare, concentrati per la maggior parte in Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Marche, Abruzzo, Campania e Puglia.
 
Quindi la maggior parte dei fondi è stata assegnata e autorizzata ma evidentemente, vista la necessità di ulteriori proroghe della cosiddetta allargata ed ora di un nuovo intervento legislativo per cercare di dare una sistemata definitiva alla questione (vedi decreto Balduzzi) è palese che molte opere stiano ancora al palo. E alla fine sono passati 14 anni dalla legge 448 del 1998, la prima che autorizzava i direttori generali a cavarsela da soli facendo accordi con studi medici e strutture private per poter comunque consentire la libera professione. Quattordici anni e ancora si riscontra la necessità di allungare i tempi.
 
E, come se non bastasse, al danno si aggiunge anche la beffa di un’attività intramoenia esercitata in modo quantomeno “allegro” in moltissimi casi, come emerge dall’ultima indagine dei Nas del marzo scorso che ha rilevato irregolarità nel 50% delle ispezioni effettuate. Visite svolte in ospedale ma compensi presi sottobanco, induzione a cure a pagamento presso strutture private, prestazioni in regime libero-professionale in orario istituzionale, falsificazione degli atti per indennità di esclusiva e ancora ingiusti profitti ai danni del Servizio sanitario nazionale. Un’indagine di cui si è parlato molto poco, nonostante abbia portato alla denuncia di oltre la metà dei medici oggetto delle ispezioni  (356, di cui 337 in intramoenia e 19 in extramoenia su un totale di 704 ispezioni) con un danno stimato per l’erario di 4 milioni di euro.
 

27 settembre 2012
© Riproduzione riservata


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