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La rivisitazione del Dm 70 tenga conto degli insegnamenti della pandemia

di Claudio Maria Maffei

In attesa che il Ministro esca dal porto delle nebbie e faccia uscire non dichiarazioni ma documenti su “suo” DM 70, confermo che questa tendenza a scegliersi interlocutori prevalentemente clinici con una forte rappresentanza universitaria è sbagliata e certo non casuale.

09 MAG -

In occasione di una iniziativa della FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) a Milano il Ministro Schillaci nel suo intervento in videocollegamento ha tra le altre cose dichiarato che “Siamo tutti consapevoli di quanto sia prioritaria la riforma dell’assistenza territoriale che costituisce il primo punto di contatto del cittadino con il Servizio Sanitario, anche per evitare il ricorso inappropriato negli ospedali. Ma dobbiamo contestualmente portare a compimento l’aggiornamento del DM 70 tenendo conto dei recenti insegnamenti emersi nella gestione della pandemia e delle istanze di chi ogni giorno lavora nelle corsie degli ospedali. Professionisti che meritano di poter lavorare con serenità e di veder riconosciute prospettive di crescita economica e professionale.”

Credo di essere ormai tra i pochi a prendere costantemente ed esplicitamente posizione a favore di una applicazione del DM 70 del 2015 alla rete ospedaliera delle Regioni italiane. Mi sento ormai come uno di quei caratteristi che nei film di genere c’era sempre, come Tiberio Murgia che pur sardo veniva sempre chiamato a fare “il tipo siciliano” dopo la sua prima straordinaria apparizione in queste vesti ne I soliti ignoti. Il mio ruolo di caratterista nel dibattito su QS è “quello che tira sempre fuori il DM 70 per chiudere gli ospedali e togliere i posti letto”. Per la precisione il caratterista ritiene essenziale la applicazione di una rivisitazione del DM 70 che tenga conto sia degli insegnamenti della pandemia (più posti letto di area medica e critica a disposizione per le emergenze pandemiche o di altra natura) che delle enormi criticità legate alla dispersione delle reti ospedaliere regionali.


E’ uno dei grandi misteri della mia vita di pensionato appassionato di sanità pubblica il fatto che non ci si renda conto tra gli addetti ai lavori che alcuni dei fenomeni più distorsivi della attuale fase del SSN, e cioè il ricorso ai medici gettonisti e la fuga dei medici nel privato, dipendono in larga misura anche da quella dispersione che moltiplica il numero di turni di continuità assistenziale necessari e riduce gli spazi per la attività programmata chirurgica e ambulatoriale.

In realtà quello che penso io lo pensa anche il Ministero, ma non il Ministro Schillaci. Il Ministero lo pensa, tanto è vero che nel recente Decreto sui criteri di determinazione del fabbisogno di personale per la parte ospedaliera si fa esplicito riferimento al DM 70. Il Ministro Schillaci la pensa invece diversamente, almeno questo sospetta fortemente il caratterista che è in me. Nell’intervento al Congresso della FADOI il Ministro ha parlato di voler tenere conto “delle istanze di chi ogni giorno lavora nelle corsie degli ospedali”. Tradotto dal caratterista: delle istanze dei clinici che si riconoscono nel Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani (FoSSC), di cui la FADOI fa parte e cui Schillaci ha già riconosciuto il ruolo di interlocutore privilegiato . Riconoscimento che i Sindacati della dirigenza medica e sanitaria hanno contestato.

Purtroppo il Forum riconosce un assoluto predominio dell’ospedale su territorio come ricavabile dalle proposte del Forum del giugno scorso , che si traducevano in affermazioni come:

“serve un nuovo modello, in cui territorio e ospedale siano interconnessi. A partire da un ospedale adeguato, che sia esteso al territorio, ridefinendo i parametri che finora ne hanno caratterizzato l’organizzazione e che risalgono al 1968”;

“va superata la storica dualità fra ospedale e territorio, a favore di un unico sistema di servizi interconnesso, continuo e complementare in cui prevalga l’idea di ospedale esteso al territorio e adeguato alle necessità della popolazione, avendo ben presente la sua complessità scientifica, clinica e organizzativa";

“il sistema complessivo dovrà configurare una sorta di logica dipartimentale con l’idea del vero e proprio ospedale (generale o specialistico classicamente inteso), che si estende funzionalmente anche alle realtà sanitarie territoriali”;

“ciò che è territoriale deve essere considerato pre e post-ospedaliero, in una visione integrata delle due realtà.”

In questa logica (se ce n’è una, e a me non pare) la rete ospedaliera del DM 70 viene definita come una rete da “ospedale minimo” per cui la rivisitazione del DM 70 per questi interlocutori privilegiati del Ministro è un suo superamento con un ulteriore potenziamento del livello ospedaliero, mai definito con precisione, ma sempre rivendicato.

In attesa che il Ministro esca dal porto delle nebbie e faccia uscire non dichiarazioni ma documenti su “suo” DM 70, confermo che questa tendenza a scegliersi interlocutori prevalentemente clinici con una forte rappresentanza universitaria è sbagliata e certo non casuale. Come gli è stato del resto ricordato di recente per il recente Tavolo Ministeriale sulla Salute Mentale da Andrea Angelozzi, che in particolare a proposito della componente universitaria del tavolo scrive: “E’ difficile tuttavia non porsi delle domande relativamente al ruolo importante riservato alla Università, a fronte di segnali che la vedono spesso lontana dalla organizzazione effettiva dei servizi e selettivamente orientata, per quanto riguarda ricerca e formazione, ad un modello a forte impronta biologistica.” Sottoscrivo in pieno sostituendo per la parte che mi compete “ospedaliera” a “biologistica”.

Claudio Maria Maffei



09 maggio 2023
© Riproduzione riservata


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