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Con la rimodulazione del Pnrr la sanità territoriale perde pezzi

di Ettore Jorio

Dopo il progetto di rimettere in piedi la assistenza distrettuale - che ha costituito da sempre il più grande vulnus del sistema sociosanitario del Paese, sino a divenire penoso nel Mezzogiorno - supponendo di fare bene con le previsioni contenute del cosiddetto DM77, ha preso maggior vigore il percorso del sembrare piuttosto che quello dell’essere.  

01 AGO -

Sembrerebbe che la rimodulazione del PNRR costerà cara alla salute. Oltre 400 case di comunità in meno da sottrarre alle regioni, senza sapere neppure ove diverranno maggiormente una pericolosa illusione andata in fumo.

Dopo il progetto di rimettere in piedi la assistenza distrettuale - che ha costituito da sempre il più grande vulnus del sistema sociosanitario del Paese, sino a divenire penoso nel Mezzogiorno - supponendo di fare bene con le previsioni contenute del cosiddetto DM77, ha preso maggior vigore il percorso del sembrare piuttosto che quello dell’essere.

Si promuove e si vende una sanità teorica da parte dei servizi sanitari regionali, con un ministro tecnico a fare da buon mediatore e propositore di nuove logiche utili soprattutto a conseguire due risultati: il primo di incrementare la presenza di professionisti della salute, cominciando anche a ragionare sul migliore utilizzo dei medici di famiglia da contrattualizzare in via innovativa; il secondo di rendere i Lea ovunque esigibili, con un grado di percezione il più elevato possibile, con conseguente attenuazione delle liste di attesa, con l’aspirazione di renderle compatibili con il fabbisogno epidemiologico ad immediato rischio di peggioramento.

A PNR² (preferisco definirlo così stante la difficoltà di pronuncia) indebolito del 31% nella parte che afferisce alla medicina di prossimità, che farà tanto male a quelle realtà che vivono l’isolamento assistenziale, necessiterà predisporre una immediata soluzione, pena il lasciar morire quella popolazione sempre più anziana abbandonata da Iddio e dagli uomini, specie nelle regioni a prevalenza montana.

Prima di tutto occorre perfezionare una nutrita “cassetta degli attrezzi”. In attesa di acquistarne di nuovi attraverso una auspicata riforma strutturale del sistema della salute, non potrà farsi altro che mettere a migliore uso gli utensili disponibili, quelli messi in campo sulla base di leggi nazionali, quanto a principi fondamentali, e quelli “inventati” dalle Regioni senza alcuna previsione statale. Poi, si sa, una brutta abitudine delle Regioni è quella di imitarsi l’una con l’altra, per evitare di non rimanere indietro nei pseudo primati, con la conseguenza che ognuna di esse ha costruito un mondo diverso che sul piano della assistenza reale fa acqua da tutte le parti.

Una tale situazione ha generato un macello: cinque regioni con le aziende zero (le identifichiamo così perché tale è il risultato cui le stesse sono pervenute), alcune che le imitano acriticamente e altre che desistono, spesso perché consce di non aver capito a cosa possano servire ma soprattutto come debbano funzionare.

Da qui, l’esigenza irrinunciabile di rimettere in moto la macchina attraverso la previsione statale di una sua regolazione di massima, che non sia però quella di promuoverla con il ruolo di holding. A fronte di questo, nel mentre, la predisposizione di un vocabolario che ne dia una definizione uniforme nel Paese e un manuale di istruzione che suggerisca, imperativamente, l’approccio sistematico, la dimensione e i limiti delle sue competenze, il rispetto dei ruoli con le attività dei dipartimenti regionali e della autonomia imprenditoriale delle aziende sanitarie, il divieto di assumere competenze di indirizzo, di programmazione e di controllo, che sono prerogative esclusive del decisore politico.

Credo, comunque, che qualcuno di quelli che tiene all’efficienza del welfare assistenziale ci stia già pensando. Si confida in una molto prossima soluzione.

Ettore Jorio



01 agosto 2023
© Riproduzione riservata


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