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La sanità sospesa tra le poche risorse e la paura di cambiare

di Luciano Fassari

Dalle riforme mancate, agli scarsi finanziamenti i molteplici nodi irrisolti della nostra sanità stanno venendo al pettine e rischiano di erodere i buoni risultati in termini di cure che ancora oggi possiamo vantare. Ecco perché nel suo 45esimo anno il Ssn avrebbe bisogno di interventi più incisivi e coraggiosi.

05 OTT -

“Una priorità” ma con “margini di risorse limitate”. Questa è la situazione della sanità fotografata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla vigilia della manovra di Bilancio e dopo la pubblicazione della Nadef che ha sostanzialmente evidenziato come poco per il comparto arriverà. Niente tagli dunque ma nemmeno la marea di risorse auspicata.

Una “situazione complessa”, quindi come ha ricordato Meloni che lucidamente ha elencato la ‘tempesta perfetta’ di un paese che invecchia, ha una crescita dello zero virgola e paga l’abbandono del suo sistema sanitario negli ultimi 15 anni (periodo Covid a parte).

Fin qui un’analisi perfetta come del resto da un anno a questa parte fa il Ministro della Salute, Orazio Schillaci e come hanno fatto molti dei suoi predecessori. Ricette coraggiose e risolutive però ancora fanno fatica ad intravedersi. Si punterà a limitare la fuga di medici e infermieri dal sistema pubblico con qualche risorsa per abbattere le liste d’attesa, si chiuderanno le porte ai medici a gettone (anche se ad oggi ancora in molte regioni se ne fa largo uso) e dulcis in fundo si punterà sull’appropriatezza. Materia quest’ultima assai complessa. Come non ricordare il tentativo fatto dall’allora Ministro Lorenzin che fu sostanzialmente seppellito dopo la levata di scudi dei medici che vedevano ledere la loro libertà di diagnosi e prescrizioni. E come non ricordare il Dm 70/2015 sugli standard ospedalieri che a conti fatti ha visto un taglio di letti. Insomma, il messaggio che arriva per il prossimo futuro è un film già visto: spendere bene e meglio ciò che (poco) si ha.

Il punto però, è che nel suo 45esimo anno il Ssn avrebbe bisogno di interventi più incisivi e coraggiosi. Non che sia tutto da buttare, i dati Ocse evidenziano come la sanità italiana a fronte di poche risorse garantisca elevatissimi standard ma è chiaro che se si vuole mantenere alto il livello serve osare di più. In primis l’assistenza territoriale. Le Case della Comunità previste dal Pnrr faticano a partire sia per mancanza di personale (Schillaci per esempio ha chiarito che serviranno infermieri dall’estero per aprirle) che per la mancata riforma della medicina di famiglia. Su quest’ultimo tema sono decenni che si tentenna senza fare sostanzialmente nulla e così oggi i medici di medicina generale sono sempre meno, sempre più oberati di pazienti e di scartoffie in studi che in media sembrano di tutto tranne che dei luoghi di cura da terzo millennio. Da un lato i sindacati hanno sempre difeso questo modello e la loro ormai poco ‘libera professione’ chiedendo incentivi per assumere personale amministrativo e infermieristico alle loro dipendenze e avere tecnologie diagnostiche per fare esami di primo livello (Speranza stanziò 235 mln che si sono persi nelle nebbie). Dall’altra, sempre sullo sfondo c’è la strada della dipendenza con tutti i suoi pro e i suoi contro. Ecco siamo arrivati ad un punto in cui una scelta andrà presa perché lo status quo disegna un futuro chiaro: l’abbandono dell’assistenza territoriale da parte del pubblico (cosa che già oggi per un largo numero di italiani è già un fatto).

Altro tema sono gli ospedali: sfida anch’essa ardua. Con una sanità territoriale efficiente gli ospedali dovrebbero essere grandi Hub dell’alta complessità. Lo si dice da anni, ma oggi, per colpa in primis della politica che ha invaso il settore fin nei reparti, abbiamo ancora una rete che fa acqua da tutte le parti: pochi letti e pure divisi in malo modo, sale chirurgiche mal utilizzate con tassi di inappropriatezza elevatissimi, senza dimenticare gli anacronistici piccoli ospedali (il Piano esiti insegna: dove si fanno più interventi si cura meglio). Ma si sa è difficile andare a togliere primariati e costruire una rete di cura e assistenza efficace che dalla casa, passando per il territorio fino all’ospedale renda chiaro al cittadino il suo diritto alla Salute e, soprattutto, dove trovare le risposte ai suoi bisogni. In questo caos di offerta viene naturale rivolgersi al Pronto soccorso per qualsiasi problema.

C’è poi il nodo irrisolto dell’assistenza domiciliare: ci sono i 2 mld del Pnrr ma è evidente che molte regioni sono all’anno zero e poi non si deve dimenticare che una volta finiti i soldi europei bisognerà trovarne altri per mantenere il servizio. Anche qui molta strada da fare.

Dicevo della politica e del male che sta facendo e ha fatto alla sanità. Anche su questo campo ci vuole coraggio. Se il Ssn pubblico e universalistico come dichiarato da tutti i partiti in Parlamento è un bene da difendere e tutelare la politica dovrebbe fare un passo indietro. In Italia si vota praticamente sempre e ogni volta ci si trova di fronte a sconvolgimenti tra spoil system, commissariamenti e via dicendo col risultato che in base all’appartenenza partitica ognuno vuole issare una bandierina, scaricare le responsabilità su chi c'era prima, perdendo però di vista l’obiettivo comune.

Tutti aspetti che sostanzialmente bloccano nuove idee ed energie: non a caso i lavoratori della sanità hanno una media di età molto alta e chi può non vede l’ora di scappare tra basse retribuzioni e orari massacranti.

Altra questione dove ci vuole coraggio è quello della prevenzione. Rispetto al secolo scorso di passi ne sono stati fatti ma nel cittadino medio (soprattutto di sesso maschile) l’idea che della salute ce ne si deve occupare solo quando si sta male è ancora forte. Il prendersi cura sia di sé stessi che per la propria comunità dovrebbe essere favorito: abbiamo per esempio un’ottima assistenza nei primi anni dell’infanzia, ma poi il cittadino è sostanzialmente abbandonato fino a che non arriva l’età (avanzata) dei primi screening che tra l’altro si fanno sempre meno.

In questo contesto ci sono poi le nuove tecnologie e le nuove terapie farmacologiche. Gli ultimi modelli, come per tutte le cose, costano e il nostro Stato indebitato avrà sempre minor peso se non interverrà con politiche industriali in grado di attrarre ricerca e investimenti. E lo stesso vale per la tanto enfatizzata telemedicina.

Fin qui ho ricordato solo alcuni macro-temi ma l’elenco dei nodi da sciogliere è ancora estremamente lungo e come noto molto complesso. Sfide impossibili da vincere si dirà ma la manutenzione della macchina non basta più. Servono maggiori risorse? Sì, ma anche per quelle servono idee chiare e tanto coraggio.

Luciano Fassari



05 ottobre 2023
© Riproduzione riservata


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