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Sicurezza sul lavoro. Con l’aumento dei lavoratori anziani serve una valutazione dei rischi specifica per età

di Domenico Della Porta

Benché ancora molto ci sia da fare, soprattutto in certi contesti lavorativi come per esempio l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, in linea di massima sembra che i tempi siano ormai maturi per un approccio biopsicosociale nella valutazione dei rischi, nella connotazione sociale della popolazione lavorativa, nell’analisi dei dati anonimi e collettivi acquisiti nel corso della sorveglianza sanita- ria dal medico competente e nella stesura del Piano di prevenzione

02 NOV -

L’Oms definisce come lavoratore che invecchia (aging o ageing) colui che ha superato l’età di 45 anni e come lavoratore anziano (aged) chi ha oltre 55 anni. I dati relativi agli ultimi anni mostrano che i lavoratori in età avanzata costituiscono una parte crescente della forza lavoro, e di conseguenza la gestione della SSL per tale classe di lavoratori è divenuta una priorità per le politiche nazionali ed europee.

La struttura del mercato del lavoro dell’UE è cambiata in modo significativo dal 2010 al 2021. Uno degli aspetti rilevanti è la quota crescente di occupati di età compresa tra 55 e 64 anni, gruppo che nel 2010 rappresentava il 12,5% del totale degli occupati (15 - 64 anni), salendo al 19,0% nel 2021.

Questi ed altri elementi sono stati illustrati in una recentissima pubblicazione dell’INAIL “Invecchiamento della popolazione attiva” di qualche giorno fa, utile da consultare per chi si occupa di salute e sicurezza sul lavoro in tutti i comparti lavorativi.

Con l’avanzare dell’età tendono a ridursi alcune capacità individuali, principalmente fisiche e sensoriali, e si vedono aumentare malattie croniche, come i tumori e i disturbi muscolo-scheletrici, spesso favoriti dalla pregressa esposizione. Concentrando l’attenzione sulle malattie correlate al lavoro prevalenti tra i lavoratori anziani, e distinguendole per genere, le malattie professionali degli over 55 registrate nel sistema Malprof aumentano per gli uomini dal 44,3% al 62,6% (+41%) e per le donne ancora più sensibilmente, dal 29,3% al 45,7% (+56%). L’analisi del PRR indica come maggiormente associati agli over 55 i gruppi delle malattie tumorali e respiratorie.


Inoltre le analisi dei dati consentono di evidenziare le tendenze del fenomeno in modo da valutare l’efficacia delle attività di prevenzione e contribuire ad identificare le attività lavorative, e i relativi rischi, che richiedono particolare attenzione in termini di sorveglianza sanitaria e vigilanza.

Occorre anche evidenziare che circa un terzo dei soggetti di età 62-67 anni, riferisce di avere limitazioni funzionali e di soffrire di almeno una patologia fisica o mentale. Quindi da una parte i rischi lavorativi restano quelli di ogni lavoratore adulto, dall’altra si modificano gradualmente le condizioni psico-fisiche, anche se non in eguale misura tra persone e generi. Come è naturale.

Questo espone i lavoratori maturi a due effetti. Da una parte un aumento dell’esposizione ai rischi lavorativi e alle conseguenze ad essi connessi, dall’altra a una riduzione del proprio livello di produttività e quindi di maggiore esposizione a pressioni per prepensionarsi, ridurre l’orario lavorativo, assentarsi e così via. Anche perché è stato stimato che la maggior parte delle imprese non avranno sufficienti risorse finanziarie per adattare le condizioni di lavoro ad un gran numero di lavoratori con limitazioni funzionali o con malattie croniche.

Le soluzioni sono: procedere verso l’effettiva costruzione di “posti di lavoro salutari per ogni età”, mediante interventi di promozione, incentivazione e controllo; ove ciò non sia totalmente realizzabile, gestendo le “diverse età” sul lavoro individuando mansioni e condizioni atte in generale ai lavoratori più anziani – affrontando concretamente, efficacemente e diffusamente i problemi dell’anziano che risulti parzialmente idoneo o non più idoneo alla sua mansione in età precedente il pensionamento. Vale la pena dare uno sguardo ai fattori di rischio.

Questo sembra sottolineare la necessità di una valutazione dei rischi specifica per età, oltre che per genere, come indicato dal d.lgs. 81/2008. Benché ancora molto ci sia da fare, soprattutto in certi contesti lavorativi come per esempio l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, in linea di massima sembra che i tempi siano ormai maturi per un approccio biopsicosociale nella valutazione dei rischi, nella connotazione sociale della popolazione lavorativa, nell’analisi dei dati anonimi e collettivi acquisiti nel corso della sorveglianza sanita- ria dal medico competente e nella stesura del Piano di prevenzione.

Tutto questo deve mirare ad assicurare un equilibrio tra la prestazione lavorativa richiesta e le capacità individuali del lavoratore. Gli studi di questi anni dimostrano che, se viene mantenuto tale equilibrio, i lavoratori più anziani non hanno maggiori assenze per malattia o maggiori infortuni rispetto ai giovani.

Ai fini della valutazione può essere di aiuto una mappa descrittiva dei compiti, delle mansioni, dei ruoli con particolare attenzione ad identificare la distribuzione per età, ad esempio sopra e sotto i 45 anni. Il medico competente dovrebbe essere coinvolto anche nella definizione dei compiti lavorativi e dei rischi correlati, soprattutto se ai lavoratori anziani sono già state impartite limitazioni/prescrizioni.

Un utile strumento a disposizione dei medici competenti per il monitoraggio della capacità lavorativa, soprattutto nella popolazione anziana, può essere il questionario per la valutazione del Work ability index messo a punto da Ilmarinen e tradotto in italiano da Costa, capace di individuare i soggetti più fragili e che necessitano di interventi più mirati.

Domenico Della Porta
Referente nazionale di Federsanità per la salute e sicurezza degli operatori sanitari



02 novembre 2023
© Riproduzione riservata


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