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Potenziali cause e possibili mitigazioni del conflitto medico-paziente 

di Giovanni Brandi

Due leggi precedenti (Balduzzi e Gelli-Bianco) non hanno minimamente scalfito il problema che anzi si è accresciuto. Ora è in campo una terza Commissione (D’Ippolito) con l’incarico di affrontare e risolvere (od almeno mitigare) la questione.

15 APR - Il problema della responsabilità professionale del medico è grande ed irrisolto, dipendendo da cose semplici ma difficili da gestire. Nel rapporto medico-paziente non si considera mai il contesto in evoluzione rapidissima in cui lato paziente sono accresciute aspettative e conoscenze (in alcuni casi elevate a nuovi diritti, vedi ad es norme sulla privacy), mentre dal lato del medico a fronte di, ovviamente, incrementali conoscenze tecniche si è rimasti immortalati in un assetto giuridico-normativo obsoleto.

Due leggi precedenti (Balduzzi e Gelli-Bianco) non hanno minimamente scalfito il problema che anzi si è accresciuto. Ora è in campo una terza Commissione (D’Ippolito) con l’incarico di affrontare e risolvere (od almeno mitigare) la questione. Vista la rilevanza del tema, Cavicchi ha stimolato un confronto ampio che possa aiutare la commissione nel suo difficile compito.

Schematicamente vi sono alcuni punti che non possono non essere affrontati per poter pensar a una qualche modalità di mitigazione del problema.
1. Qual è il momento causale del conflitto attuale?
2. EBM e Best Practice sono parametri adeguati su cui basare la compensazione del conflitto?
3. Come e dove posizionare il nuovo assetto normativo.

Esaminiamo il primo punto: relazione medico paziente e questione medica
La relazione medico paziente è verosimilmente il punto più elevato di accordo sociale, in quanto affido ad altra persona della propria salute e della propria vita. Essendo ai vertici della scala sociale questa relazione può sopravvivere in maniera corretta solo se la società che lo esprime vive una condizione di wellbeing. Questo rapporto è come il canarino in miniera: è il primo a morire in presenza di gas grisou. La nostra società, espressione di un modello di sviluppo nell’era della sua stessa catastrofe (Naomi Klein), è ormai visibilmente sfibrata e il medico essendo il frontman con una persona malata (e perciò, di default, arrabbiata col resto del mondo) ne paga per primo le conseguenze.

Parliamo spesso di “Questione Medica” ma è un concetto difficile da comprendere. Epifenomeno della QM sono le aggressioni fisiche, sono i contenziosi giuridici, è la perdita di status sociale, è l’attacco alla nostra sovranità clinica con il voluto affido di parti fondamentali del core business medico ad altre figure sanitarie, oggi, e ad Avatar di intelligenza artificiale, domani. Causa profonda della QM è che la classe medica non domina più culturalmente il grado di complessità crescente che la professione richiede al giorno d’oggi.
Se nei secoli i medici hanno gestito le relazioni con i loro malati senza necessità cogente di altri expertise, ora la complessità della società rende indispensabile l’interfaccia con altri attori a livello di comunicazione, di economia, di aspettative.

Il malato da paziente diventa esigente (grazie anche alla affermazione costituzionale dei diritti del malato) ma è già sulla via di essere trasformato in cliente (e futuro nullatenente), traguardo finale della medicina del profitto. Vi sono passaggi ormai ineludibili: l’epoca della cosiddetta benevolenza paternalistica è finita. I pazienti vogliono essere coprotagonisti delle cure. L’oncologia docet. Sapendo che un fallimento gestionale spesso si paga con la morte ed essendo (per evoluzione e novità terapeutiche) disciplina di punta della medicina, in oncologia (ma non solo) vi è una incrementale “pressione” dei pazienti nella condivisione del percorso terapeutico. Si è già molto al di là della pratica del consenso informato. La visione che hanno dei loro problemi clinici è tutt’altro che querula e tutto ciò costringe il medico ad un vero surplus di impegno che può essere anche positivo. Il patto fiduciario oggi è divenuto molto più oneroso per il medico ma anche più stimolante e se lo si vuole conservare non può essere mantenuto come ieri ma deve crescere di livello.

Dai pazienti si impara molto e ci si rende conto che non sono nostri avversari ma nostri alleati; capiscono che il medico che hanno di fronte può essere in difficoltà non per incapacità o disinteresse ma perché semplice ingranaggio all’interno di un sistema di Medicina dove domina l’Etica dell’Organizzazione e i trattamenti sono soggetti a compatibilità economiche (per sistemi pubblici) e al profitto (per quelle private). Per questo sistema, che avanza a grandi passi, la cura non è il fine ma un mezzo mercantile di profitto ed anche il medico dovrà diventare non solo strumento della gestione ma anche cliente. A quel punto si lascino pure i clienti a scontrarsi fra loro, anzi lo si favorisca, magari con discipline giuridiche dedicate.

I primi a pagarne le conseguenze sono i medici ma poi toccherà ai pazienti: il loro vero diritto, che è quello di esser curato al meglio, evaporerà e non sarà ripagata da nessuna compensazione economica, peraltro in prevedibile ribasso progressivo. Il processo è in corso e l’esito non è ancora definito. Nel conflitto giuridico i pazienti rivendicano la tutela di valori immateriali (in sintesi i diritti che l’assetto costituzionale garantisce) e di valori materiali ((in sintesi: risarcimento). Questi ultimi alle volte sono sacrosanti, ma spesso sono surrettiziamente indotti da categorie di lobbing assicurativo-legali che scambiando l’insuccesso per errore creano artificialmente un conflitto trasformandolo da relazionale a legale e così accrescendone l’impatto numerico. Cari stakeholders vogliamo fronteggiare questa deriva o vogliamo continuare a favorirla? Il degrado del SSN, paradigma dello smantellamento il welfare generale a favore di un welfare privato surrettizio per ricchi, è obiettivamente un motore potente del conflitto. Le nostre leadership da “Marchese del Grillo” non hanno mai avuto il coraggio di esplicitarlo espressamente ma il retropensiero è chiarissimo da tempo: “il debito pubblico italiano è alto, ma il risparmio privato è quattro volte tanto. Pertanto, gli italiani si possono pagare le cure da soli!”.

Perfino un tandem culturalmente improbabile come l’Aristotele della “Politica” e il Warren Buffet delle considerazioni sulle tasse, si rendeva conto della pericolosità sociale di queste tendenze. E dire che i pazienti potrebbero essere grandi alleati di cambiamenti positivi. Ad esempio tutti i pazienti che si interpellano sono consapevoli che la sanità pubblica è in grave crisi semplicemente perché si tutela crescentemente il profitto privato ben finanziato coi soldi pubblici. Gli italiani magari ignorano i dati OCSE che certificano per loro una spesa “out of pocket” più alta di tutti o che l’aspettativa di vita è in calo proprio dove la spesa sanitaria privata è massima (USA), ma capiscono sulla loro pelle che in Sanità il privato è più costoso e meno efficiente. Questo mood diffusissimo dei malati (di qualunque tendenza politica) rappresenterebbe un gigantesco capitale politico, capace di per sé di difendere la sanità pubblica se vi fosse qualcuno con la volontà politica di interpretarlo.

La Medicina in quanto interfaccia più alta fra scienza e “human being” rimane la più alta delle discipline ma parimenti ai grandi artigiani/scienziati del restauro anche il medico ha bisogno di tempo e strumenti adeguati non più garantiti dai nuovi assetti della Sanità attuale e la crisi già devasta le aspettative nelle giovani generazioni di specializzandi e perfino di studenti. Ci si è chiesto perché negli ultimi due anni vi sono migliaia di posti di specialità che vanno deserti? Anche la norma di assunzione a tempo determinato degli specializzandi dal 2° anno e mandarli in sedi extra universitarie sembra essere un buco nell’acqua, in quanto considerato dagli interessati strumento tampone e indifferente alla loro formazione. Inoltre, più della metà degli studenti sta studiando una seconda lingua straniera perché hanno in mente di fare una specialità in Francia, o in Germania o in Svizzera o altrove: questo perché non c’è più fiducia che lo stato italiano possa garantire una vita professionale accettabile. Non è sconvolgente questo? Sta venendo meno gran parte del futuro (vedi commenti di uno specializzando e il commento di una studentessa di medicina).

EBM: è un buon parametro di cura su cui basare giudizio legale?
L’evidence based medicine (EBM) che si è strutturata in questi ultimi 20 anni ha sicuramente contribuito al consolidamento dell’attività medica; tuttavia, occorre avere ben presente i suoi limiti che non sono sormontabili semplicemente con un incremento degli studi e del tempo. Pertanto, è errata questa visione suprematista della EBM tanto da basarvi le scelte giurisdizionali del rapporto medico-paziente.

Facciamo solo alcuni esempi sulla validità relatività degli studi che assurgono ad EBM.
• Tutti gli studi clinici fino a qualche anno fa venivano condotti su pazienti con età inferiore a 60 anni (oggi 70) e nulla sappiamo di preciso cosa accade per età superiori. E’ solo una inferenza.

• Negli studi randomizzati di fase 3 è pressoché assente la valutazione (stratificazione preliminare) di fattori prognostici che di per sé spostano, anche grandemente, l’asticella della sopravvivenza, rendendo sempre relativo il risultato ottenuto. Questa non è necessariamente una critica al disegno degli studi che diverrebbero quasi infattibili se si includessero tutti questi parametri, ma è una severa critica epistemologica alla loro accettazione acritica. Tuttavia, pur in presenza di così gravi bias, spesso li si eleva al rango di standard of care(1).

• Altro problema è l’analisi per sottogruppi catturata da “forrest plot” specifici. Un farmaco può raggiungere una efficacia statisticamente adeguata all’insieme della popolazione analizzata, ma non in certi sottogruppi. Quindi, per questi non vi è prova che quel trattamento sia utile. Ebbene questi bias vengono poi sistematicamente ignorati e una volta ottenuta la bollinatura in una linea guida non si va più per il sottile. Come valutare pertanto le rimostranze di un paziente trattato seguendo pedissequamente la linea guida pur con caratteristiche da ”forrest plot inadeguato” e con risultato negativo?

• Concetto di asimmetria. Ogni volta che c’ è asimmetria negli esiti, la mediana (usata in medicina) non definisce una distribuzione delle probabilità. In una condizione in cui il guadagno è basso nel 99% dei casi ma la perdita è molto grande nello 1% dei casi il quadro deve esser analizzato in base alla grandezza dell’esito piuttosto che sulla probabilità. Calcolosi della colecisti e relativo cancro sono esempio perfetto di asimmetria. Solo 0,5% dei portatori di calcoli faranno un cancro della colecisti, ma quasi tutti i cancri delle colecisti si verificano su colecisti calcolotiche! Le linee guida ancor oggi dubitano sulla bontà dell’asportazione preventiva in caso di calcolosi asintomatica, privilegiando l’aspetto meno grave del problema. Altro es. di potenziale asimmetria riguarda la tendenza a non operare subito i pazienti con carcinoma del pancreas resecabili upfront se portatori anche di un solo fattore prognostico ritenuto negativo e ad indirizzarli a chemioterapia preliminare. Pur non entrando nella reale accountability dei fattori prognostici (quasi sempre prodotti da limitate valutazioni retrospettive), cosa dire al paziente che non arriva poi all’intervento per progressione?

• La complessità può non essere clinica ma politica. Vi è un farmaco per l’HCC che non sarà mai disponibile per i pazienti italiani per mancato accordo tra AIFA e company. Se un singolo medico può essere portato in giudizio per non aver garantito il miglior trattamento possibile al suo paziente, in questo specifico caso nessuno sarà giudicabile?

• Si vede che perfino nella certificazione del sistema EBM vi è necessariamente un passaggio più o meno ampio di soggettività. Nel sistema GRADE, (che riunisce esperti per valutare uno studio clinico) la decisione avviene in maniera soggettiva (benché strutturata).

Se questo livello di incertezza esiste per le Linee Guida questo è enfatizzato per le cosiddette Best Practice (BP) che potremmo semplicemente definire come Linee Guida che non ce l’hanno fatta! Si dovrebbe averne una codifica condivisa su qualunque aspetto della medicina non coperto da LG. Si guardi ai reali dati prodotti dagli incaricati (CNEC 2023): 4 o 5 mini-documenti. Allora alla luce di LG e BP assenti come si sarebbero dovuto valutare scelte terapeutiche fatte fuori di studi clinici ma poi rivelatasi pioneristiche? (2,3). Inoltre, come valutare alla luce di LG (BP) la pratica diffusa di non iniziare una chemioterapia in caso di assenza di esame istologico (peraltro tentato più di una volta senza successo come accade frequentemente nel cancro del pancreas) pur in presenza di imaging e laboratorio congruenti?

Se si pensa di affidarsi alle Best Practice (peraltro già previste dalla legge 24) si sappia che è una scommessa perdente, poiché se le LG hanno un grado di relatività… le BP sono inconsistenti!

La complessità crescente causata dal cambiamento sociologico della società e dallo stesso cambiamento della medicina richiederebbe un maggior grado di discrezionalità dell’agire medico. Viceversa, vi è la volontà semplicistica di imbullonare la professione in linee guida che ne segmentano l’azione in tanti atti medici separati che, parimenti ai tasselli di un mosaico bizantino, si ha poi la pretesa di poter assemblare ricostruendo un tutto di per sé congruente in quanto sotteso da logica matematica algoritmica.

Osservando un’opera d’arte si vede subito la differenza in termini di profondità ed espressività che vi è ad es fra un mosaico bizantino ed un affresco di Giotto o un quadro di Raffaello. La medicina è scienza ed arte, ancor oggi non separabili, e quando ci prendiamo cura di una persona ogni giorno noi restauriamo un Raffaello pari ai grandi maestri restauratori utilizzando come loro le massime competenze scientifiche ed artistiche disponibili. Se pensassimo di dover restaurare uno o più tessere di un mosaico basterebbe un buon vetraio. Purtroppo un mosaico non sarà mai un quadro di Raffaello; noi siamo singolarità e non un assemblato mosaicismo.

E’ solo la segmentazione dell’atto medico che può essere registrato e quantificato con algoritmi solo in apparenza gestiti dalle società scientifiche, ma in realtà benedetti dalle assicurazioni che pesano il singolo atto per pagarlo e soprattutto per farsi anticipatamente pagare. Non sembra un ologramma della legge 24 “Gelli-Bianco”? Ad una complessità aumentata si vorrebbe rispondere con una trasformazione ad applicatori di linee guida o al meglio di Best Practice. Allora tanto vale farlo fare ad un immanente robot ad Intelligenza Artificiale (IA). Tutto ciò avviene perché si concepisce un segmento di corpo malato , cioè ci si piega sulla malattia e non sul malato.

Questa non è una visione romantica del problema ma è la più pragmatica esplorabile. L’oncologia ancora ci insegna. Si vuol dipingere il cancro come una monade malata di una parte del corpo per il resto intonso. In realtà il cancro è definito “l’Imperatore di tutte le malattie” in quanto malattia sistemica non solo dell’organismo ma dell’individuo ed addirittura della società (basti pensare alla tossicità finanziaria del cancro). Un esempio: si pensi al sintomo più costante ed ingestibile: la “fatigue”. Questo avviene almeno perché la cellula cancerosa, in pieno conflitto di interesse, piega il resto delle cellule normali (più o meno limitrofe) ad una rivoluzione metabolica (pari a riconversione forzata da economia di pace ad economia di guerra) inducendole ad inefficienza energetica al solo scopo di produrre materiali in sede per le sue nuove sintesi.

Oggi vediamo che perfino l’evoluzione terapeutica più avanzata, la tanto decantata Medicina di Precisione nata proprio per l’oncologia (i farmaci oncologici quotano per il secondo capitolo di spesa farmacologica e per il guadagno più elevato per i produttori) sia inadeguata a dominare questo problema. Anche pensare di limitare il concetto di complessità al malato anziano con pluripatologia, è semplicisticamente inadeguato poiché la Medicina, con qualche rara eccezione, è sempre complessità per quasi tutti i pazienti e i processi.

E’ paradossale che si sia de facto dimenticata la lezione di Virchow (gigante della medicina assieme a Morgagni degli ultimi 5 secoli) che, da vero eretico superò la visione della malattia come aberrazione in un organismo peraltro sano, considerandola viceversa come alterazione complessiva dello stato di salute (cioè un degrado della fisiologia) e per ciò mai completamente sovrapponibile da persona a persona. Virchow afferma:” La medicina è una scienza sociale in quanto scienza dell’uomo e la medicina clinica non è medicina scientifica, neppure se praticata dal più grande maestro, la medicina clinica è l’applicazione della medicina scientifica”.

Si è invece assistito ad una retroconversione positivistica mainstream che considera tutti gli eventi in medicina quali esiti semplicistici di causa/effetto. Ma già come diceva Jung con intuito ipermoderno, certe cose cliniche non sono quantificabili (sembrano risposte su base quantistica). Popper ma perfino Keynes in economia, hanno rifiutato l’idea, a fondamento dell’inferenza statistica, che l’aumento dell’informazione (es dei dati numerici) porti automaticamente ad un aumento di conoscenza.

Ciò si adatta ai parametri positivisti dell’EBM. Ma l’essenza della conoscenza non consiste nel gestire quello che sappiamo ma nel gestire quello che non sappiamo. E nella relazione di cura quello che non sappiamo è sempre maggiore di quello che sappiamo. E’ così che Popper, quale antidoto del positivismo, dice estremizzando che la scienza non deve essere mai presa troppo sul serio.

In definitiva affidare la risoluzione di un conflitto nato all’interno di una relazione terapeutica ormai inadeguata, alla quantificazione “certificata EBM” di un singolo tassello del mosaico dell’agito medico è sbagliata sia da un punto di vista epistemico che econometrico.

La medicina è in trasformazione costante e quello che è valido oggi non lo è più domani. Il giudizio unicamente basato su EBM è sdrucciolevole e l’analisi del singolo tassello del mosaico dell’atto medico può dare risultati diversi da momento a momento. Dal punto di vista econometrico questo approccio è molto pericoloso poiché è proprio una delle cause che favorisce il conflitto legale che così strutturato diviene un mercato.

Terzo punto: come e dove posizionare il nuovo assetto normativo
La ipotesi di risolvere il conflitto depenalizzando gli atti medici e trasformandoli in risarcimento può sembrare una facile modalità di risoluzione, ma ritengo sia sbagliata. Prima di tutto ci sono condizioni non depenalizzabili. Ricordiamo il caso estremo del chirurgo italiano all’ergastolo per dolo eventuale della sua attività medica nel privato convenzionato. Poi il conflitto numericamente aumenterà, poiché, come detto, la prospettiva di risarcimento economico (più o meno stimolato) è uno dei motori del conflitto.

Infine in giudizio la stima della responsabilità sulla base di LG o ancor peggio su BP è, come già visto, un terreno infido. E’ sicuramente suggestiva la proposta originaria di Cavicchi ripresa anche dai colleghi dell’ODM di Trento di depenalizzare non l’atto medico (come proposto da Fnomceo) bensì la complessità della medicina che nel frattempo diventa high complexity. Cavicchi chiarisce bene questo punto: esistono insuccessi ed errori: i primi dipendono dalla complessità del malato e non sono addebitabili al medico i secondi lo sono se negligente e non conforme alle regole. La distinzione tra insuccesso e errore non c’era nella legge Gelli-Bianco e nella Balduzzi per cui ancora oggi tutti gli insuccessi sembrano errori e in quanto tali tutti finiscono in tribunale e in molti casi favorendo le speculazioni e l’opportunismo di cittadini e avvocati senza scrupoli.

La meritoria distinzione tra insuccesso ed errore introdotta nel 2018 proprio dall’ODM di Trento ha lo scopo di evitare la sovrapposizione tra questi due concetti che è alla base del fatto che almeno il 95 % dei casi che finiscono in tribunale si concludono con l’assoluzione per il medico. Mi auguro che finalmente la nuova legge distingua l’insuccesso dall’errore considerando la depenalizzazione (o come diversamente la si voglia definire) della complessità medica.

Le grandi norme giuridiche poi cambiano in positivo le società. Se dalla Costituzione nascono i diritti, cioè i valori immateriali che sono una delle fonti del conflitto, perché allora non pensare addirittura alla Costituzione come luogo supremo di conciliazione del conflitto?

Se poi non si ha coraggio di questa difficile strada, allora conviene pensare a invertire la rotta dalle pratiche precedenti puntando perlomeno ad una mitigazione del danno:

• In breve, quello che si potrebbe consigliare è di rimanere nell’ambito penale ma restringendo quest’ambito stesso e legandolo esclusivamente al concetto di colpa grave. Questo anche da un punto di vista logico e costituzionale non potrà mai essere eluso. La restrizione di questo ambito potrebbe essere codificata come si è fatto per la pandemia o altri casi di ostacoli obiettivi insuperabili.

• Valuterei di lasciare la pratica di possibile risarcimento economico all’interno del processo penale, il che ridurrebbe fortemente gran parte dell’indotto surrettizio. Se da un lato può essere la via più breve per ottenere un risarcimento è anche un deterrente per le costituende parti civili contro un imputato per responsabilità medica in caso emergano ex post situazioni diverse o rappresentazioni distorte della eventuale responsabilità dell’imputato. Già solo questo dissuaderebbe molti ad andare in giudizio.

• Infine, a corollario di ciò, per evitare lo stigma della conoscenza di un processo penale a carico di un medico per la sua attività, si dovrebbe utilizzare al meglio la recente normativa della non diffusione precoce ad organi esterni del procedimento in corso.

Prof Giovanni Brandi, MD PhD
Associate Professor in MedicalOncology-UNIBO
Director of Master In Palliative Care-UNIBO
P.Director of Postgraduate School of Medical Oncology –UNIBO
Member of the International Board of Collegium Ramazzini
Founder of APIC (Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma)

BIBLIOGRAFIA
1. Brandi G et al Second-line FOLFOX chemotherapy for advancedbiliary tract cancer. Lancet Oncol. 2021
2. Brandi G et al, Durable complete response to frontline docetaxel in an advanced prostate cancer patient with favourable CYP1B1 isoforms: suggestion for changing paradigms? Eur Urol. 2008
3. Brandi G et al, Sustained complete response of advanced hepatocellular carcinoma with metronomic capecitabine: a report of three cases. Cancer Commun (Lond). 2018

15 aprile 2024
© Riproduzione riservata


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