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Tumore ovarico. Una donna su tre lo confonde con quello dell'utero. E solo il 13% va dal medico 


Il 33% delle donne italiane crede che il carcinoma ovarico e quello dell’utero siano modi diversi per indicare un’unica malattia. Si ignorano totalmente le novità terapeutiche oggi accesibili e in pochissime vanno dal medico per informarsi. Questi i principali dati della ricerca condotta da Onda che oggi ha lanciato una nuova campagna di sensibilizzazione.

21 FEB - Una donna su tre è convinta che il tumore all'ovaio e quello dell'utero siano la stessa cosa. L’87% non ne ha mai parlato con il proprio medico, il 70% non ne conosce le manifestazioni e solo l’11% sa che l’ecografia transvaginale è fondamentale per la diagnosi. Poca conoscenza anche sulle prospettive della ricerca scientifica, che sta registrando risultati incoraggianti da nuovi studi sui farmaci anti-angiogenetici.
Questo nonostante quello dell’ovaio sia il sesto tumore più diffuso fra le donne, con 5.000 nuovi casi registrati ogni anno in Italia. Ed è uno dei tumori femminili più pericolosi, perché circa il 70% dei casi viene diagnosticato quando è ormai in fase avanzata.
Forse è per questo che le donne chiedono maggiore informazione: il 69% ritiene che se ne parli in maniera insufficiente, e comunque, limitatamente agli aspetti di prevenzione.
Sono questi i dati di una ricerca condotta dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da) in collaborazione con Cegedim Strategic Data (CSD). L’occasione è l’avvio di una campagna di sensibilizzazione promossa da O.N.Da con il sostegno di Roche.
“Occorre prestare maggiore attenzione a questa neoplasia – ha dichiarato Francesca Merzagora, presidente di O.N.Da – la cui percezione di rischio, come è emerso dalla nostra indagine, non è così evidente fra le donne. L’impegno del nostro Osservatorio sarà oggi ancora maggiore, per sconfiggere il vero problema di questo tumore: l’asintomaticità che impedisce la diagnosi precoce. Al momento non esistono programmi di screening scientificamente affidabili, quindi la migliore via di prevenzione resta la visita ginecologica annuale poiché già la palpazione e l’ecografia transvaginale possono evidenziare una lesione in fase iniziale. Nel nostro network Bollini Rosa esistono ospedali che offrono servizi mirati per il carcinoma ovarico e centri in cui sono in corso sperimentazioni con vaccini utili a stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro questo tumore”.

Sul fronte terapeutico, poche donne sanno che oltre alla chirurgia e alla chemioterapia la ricerca si sta concentrando su terapie biologiche per migliorare la qualità di vita delle pazienti. “Solo nel 25% dei casi – ha spiegato Nicoletta Colombo, direttore del Centro di Alta Specialità del Carcinoma Ovarico presso l’Istituto Europeo di Oncologia – il cancro viene diagnosticato in una fase precoce, quando con un intervento chirurgico corretto le possibilità di guarigione sono intorno al 80-90%. La chirurgia eseguita in modo adeguato è determinante nel carcinoma ovarico dove l’obiettivo da raggiungere è non lasciare alcuna massa residua visibile o almeno lesioni minime, perché si tratta di un tumore molto sensibile alla chemioterapia, che può sconfiggere la malattia. Quando questo non è possibile, esiste la possibilità di ottenere una migliore qualità di vita grazie a cure innovative e a nuove tecniche di somministrazione dei farmaci per via intraperitoneale. Oggi - ha aggiunto l'esperta - si stanno testando vaccini e nuovi farmaci che in fase preliminare hanno dato risultati promettenti: tra questi vi sono i cosiddetti inibitori dell’angiogenesi che sembrano in grado di raddoppiare la percentuale di risposta e di prolungare la sopravvivenza senza progressione della malattia. Un importante passo avanti a favore della qualità di vita della donna”.

“Come azienda leader in oncologia – ha sottolineato Maurizio de Cicco, Amministratore Delegato Roche S.p.A. – ci impegniamo per mettere a disposizione di medici e pazienti nuove soluzioni terapeutiche, attraverso un programma di Ricerca e Sviluppo tra i più estesi e avanzati. Dopo oltre 15 anni di assenza di novità terapeutiche per il tumore dell’ovaio, il nostro impegno costante ci consente ora di dare nuove speranze alle pazienti. Auspichiamo ora che questa innovazione, in grado di offrire un beneficio clinico concreto in termini di qualità della vita e sopravvivenza senza progressione di malattia, venga riconosciuta come importante passo in avanti contro questo tumore, e che ne sia assicurata l’omogeneità d’accesso a tutte le pazienti ovunque esse risiedano”.

“L’informazione rappresenta, insieme alla ricerca, un fattore chiave per contrastare il tumore ovarico – ha commentato Franco Odicino, Dipartimento Ostetrico-Ginecologico, Spedali Civili di Brescia –. Una maggiore conoscenza della malattia è il primo passo per migliorare la diagnosi di questo tumore, che non comporta sintomi specifici e passa inosservato fino alle fasi avanzate proprio perchè i suoi primi sintomi sono spesso associati a disturbi intestinali o psicosomatici”.

E proprio sul problema di un informazione giudicata “troppo limitata”, si è registrato l’intervento di Flavia Bideri, socia fondatrice di ACTO (Alleanza contro il Tumore Ovarico onlus), che ha evidenziato come sia “fondamentale che tutte le donne sappiano riconoscere quei disturbi indicatori che arrivano dal proprio corpo così da sottoporsi, in tempo utile per una diagnosi il più possibile tempestiva, a visite ginecologiche oncologiche. È per questo che al nostro gruppo di donne colpite da tumore ovarico si sono uniti anche medici specialisti in maniera da rendere più efficace e responsabile la nostra azione di sensibilizzazione”.

“È dunque necessario – ha concluso Francesca Merzagora – che le donne restino sempre in ‘ascolto attivo’ del proprio corpo. Se quei piccoli disturbi come pesantezza/tensione, aerofagia e una vaga dolenzia addomino-pelvica si protraggono nel tempo, è necessario recarsi dal ginecologo. All’Osservatorio siamo consapevoli di quanto sia difficile affrontare l’esperienza di un tumore, per questo vogliamo sensibilizzare la popolazione femminile affinché riesca a difendere e proteggere la propria femminilità facendo sì che la malattia, per quanto grave e importante, non ferisca la parte più intima del loro essere”.
 

21 febbraio 2011
© Riproduzione riservata


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