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Dodici milioni di italiani hanno scelto la sanità integrativa. Prendiamone finalmente atto

di Grazia Labate

A fine 2016 gli iscritti si avvicineranno complessivamente ai 10 milioni, gli assistiti circa a 12 milioni. Non si può più rinviare l’attuazione di quel secondo pilastro capace di rendere più solide e proattive le politiche pubbliche di tutela e promozione della salute e del benessere dei cittadini

09 GIU - Il sesto Welfare Day, dove ieri è stata presentata l’indagine Censis sulle sempre crescenti difficoltà di accesso alle cure per motivi economici, ha rappresentato anche quest’anno un momento di serio approfondimento intorno alle problematiche del SSN e alla possibilità di attuarne una maggiore integrazione con il sistema dei fondi sanitari oggi esistenti, nonché la necessità di governare l’ingente massa di spesa sanitaria out of pocket sostenuta dai cittadini e dalle famiglie.
 
La riflessione concorre alla ricerca di miglioramenti sia ordinamentali ex novo, che di regolamentazione attuativa, tutt’ora mancante, al fine di rendere più efficace ed efficiente il sistema nel suo complesso e nel contempo rendere l’attuale ossatura dei fondi aperta ad una maggiore rispondenza tra bisogni attuali e strategie future in sinergica integrazione con il SSN.
 
Il sistema sanitario italiano fondato su principi di universalità, articolato su diversi livelli di responsabilità e governo, con un’accentuata differenziazione territoriale nella qualità ed efficienza delle prestazioni è un sistema complesso, il cui assetto generale presenta aspetti positivi, ma al contempo fattori che rappresentano vere e proprie criticità di sistema.
 
Efficienza, riorganizzazione del sistema di cure, riduzione dei tempi di attesa, superamento di fenomeni di razionamento delle cure, adozione di sistemi informatici intelligenti, legalità e trasparenza delle e nelle procedure, (dagli appalti alle nomine), ma anche incremento dei bisogni sanitari causati dall’invecchiamento della popolazione e soprattutto alle polipatologie croniche e degenerative.
 
L’11°rapporto CREA sulla sanità dell’Università di Tor Vergata del 29 ottobre scorso, ed il recente rapporto Gimbe, nonché l’analisi approfondita dell’universalismo diseguale del nostro sistema di protezione della salute in essi contenuta, evidenzia che occorre un approccio del tutto nuovo al netto dell’efficienza che pur occorre compiere, reinvestendo in sanità i risparmi ottenuti, ma che appare da sola del tutto insufficiente a garantire un universalismo equitativo a medio e lungo termine.
 
Questa a mio avviso la lista delle priorità di intervento:
• la definizione della quota di domanda sanitaria soddisfabile con le risorse pubbliche e la costruzione di un universalismo socio-sanitario solidaristico finanziato dalla fiscalità generale, incorporando e gestendo risorse acquisite attraverso attori privati, portatori di interessi pubblici non orientati al profitto, ampliando così la copertura dei bisogni, riducendo l’out of pocket, garantendo con equità il diritto alla salute con un approccio plurale controllato dal pubblico;

• la consistenza della spesa privata, da rendere governata, e quindi la definizione delle regole di governo della sanità integrativa, definendone la meritorietà sociale e i rapporti con il SSN;

• fermo restando che il pilastro principe è quello fondamentale, caratteristico di quel modello sociale europeo di cui non vogliamo disperdere nulla e tanto meno la copertura universale, rimane vero che l’integrazione non avviene da sola, da sola si crea solo l’indifferenza tra i due sistemi che viaggiano paralleli e che ogni tanto si toccano in qualche punto perché lo Stato concede la defiscalizzazione. Per avviare una logica di sistema occorre lavorare sulla cultura politica. A quanto detto si lega la regolamentazione perché non si integrano, per definizione, due sistemi così diversi, uno iper-regolamentato e l’altro quasi per nulla regolamentato, la diversità è troppo forte per favorire un processo di integrazione. Se manca la regolamentazione è una grave mancanza della politica, è assurdo che ad 8 anni di distanza dai decreti Turco e Sacconi il completamento delle norme attuative non siano state emanate”;

• l’estensione dei fondi sanitari in tutta la contrattazione di primo e secondo livello rendendoli sempre più aperti non solo ai familiari a carico o al periodo di post-pensionamento ma rendendoli protagonisti con gli enti locali della costruzione di fondi aperti alla popolazione;

• le esperienze possibili di costruzione di fondi sanitari territoriali e la rivalutazione dell’accreditamento professionale come criterio per perseguire una adeguata appropriatezza prescrittiva e parallelamente dell’accreditamento delle strutture come leva di governo dell’offerta, evitando una burocratizzazione del sistema e la rottura del rapporto fiduciario medico paziente;

• il funzionamento più adeguato e performante dell’Anagrafe dei Fondi, la sua costruzione a regime;

• secondo gli ultimi dati sono 290 i Fondi Sanitari iscritti, di cui 4 appartenenti alla categoria Fondi Sanitari Integrativi e 286 a quella degli Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso. Vi sono poi un numero considerevole di fondi che si sono registrati, ma non sono stati attestati perché sotto istruttoria per la verifica della documentazione richiesta. nell’anno 2014 il numero totale degli assistiti dei Fondi è stato di 6.914.184, di cui 4.734.681 sono lavoratori dipendenti, 539.864 sono lavoratori autonomi, 1.373.444 sono i familiari dei lavoratori dipendenti e 266.195 familiari dei lavoratori autonomi;

• l’ammontare delle risorse destinate alla copertura di tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti è stato complessivamente pari a 2 miliardi e 111 milioni di euro. L’ammontare delle risorse impegnate riferite a prestazioni di assistenza odontoiatrica, di assistenza socio¬sanitaria e di prestazioni finalizzate al recupero della salute, in misura non inferiore al 20 per cento dell’ammontare totale, è stato, di circa 691milioni di euro. Cioè il 32,7% ben oltre il 20% del vincolo posto dai decreti suaccennati;

• circa la metà dei Fondi Sanitari (124 Fondi) gestisce il rischio con una convenzione assicurativa, 121 Fondi sono autoassicurati e solo 44 Fondi utilizzano una forma mista di autoassicurazione e polizza;

• la maggior parte dei Fondi Sanitari è stata costituita tramite CCNL (131 Fondi), seguono gli accordi fra persone fisiche per 98 fondi, gli accordi societari per 31, gli accordi tra società e persone fisiche per 15, gli accordi aziendali per 7, altre tipologie come l’adesione alla lega delle cooperative per 8;

• l’esistenza di una pluralità di enti di assistenza sanitaria integrativa che operano con caratteristiche giuridiche, assetti strutturali e modelli gestionali significativamente diversi tra di loro rende importante e urgente la realizzazione dell’apparato normativo, oggi carente, che regoli in modo organico la materia dei fondi;
 
Dal 2015 al 2016 altri fondi nascono. Il 19 ottobre 2015 è stata rilasciata l’attestazione di iscrizione all’anagrafe dei fondi al Fondo sanitario POSTE VITA il fondo sanitario integrativo dei dipendenti delle poste e di altre aziende collegate.
 
Il 24 marzo è partita la Campagna di Adesioni per l’iscrizione a Sanifonds, fondo territoriale del Trentino alto Adige. Entro il 15 giugno 2016 terminerà la raccolta delle “liste di adesione”. Il fondo si è dato l’obiettivo di raggiungere 200.000 adesioni.
 
E’ nato il Fondo Sanitario dei medici e dentisti SALUTE MIA. Servirà a tutelare la salute degli iscritti all’Enpam e dei loro familiari. Il fondo sarà integrativo rispetto al Servizio sanitario nazionale. Le adesioni verranno aperte nei prossimi mesi e comincerà ad operare. L’elenco delle prestazioni garantite è in via di definizione ma si sa già che i benefici per gli aderenti potranno andare dal rimborso dei ticket a quello delle tariffe per l’intramoenia, passando per le cure odontoiatriche, l’acquisto di lenti da vista e i costi legati alla long term care.
 
Trattandosi della sanità dei sanitari, il fondo integrativo dei medici e dei dentisti è destinato a diventare il termine di paragone per i numerosi operatori del settore. L’ambizione è quella di diventare un modello da copiare per le buone pratiche adottate: coperture a sostegno (e non in sostituzione) del Ssn, valorizzazione del lavoro dei camici bianchi inseriti nel sistema pubblico e di quello dei liberi professionisti nell’erogazione delle prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza.
 
Platea potenziale: Il Fondo è promosso dall’Enpam e vede come fondatori i sindacati Fimmg (medici di medicina generale), Fimp (pediatri), Sumai (specialisti ambulatoriali), Andi (dentisti), Anaao Assomed e Cimo (dipendenti ospedalieri).
In termini numerici la platea degli aderenti comprende i 356.375 medici e dentisti attivi iscritti all’Enpam e i 98.396 pensionati. A questi si aggiungono, oltre alle loro famiglie, il personale degli Ordini dei medici e quello delle organizzazioni sindacali mediche con i rispettivi famigliari, per un totale che può essere stimato tra 1 e 1,5 milioni di persone.
 
A fine 2016 gli iscritti si avvicineranno complessivamente ai 10 milioni, gli assistiti circa a 12 milioni.
In sostanza, tutte questioni ampiamente sollevate nei precedenti welfare day, affrontando la più generale questione della sostenibilità equitativa del sistema, senza voler rinunciare ai principi fondativi del SSN, ma lavorando alla costruzione di un nuovo universalismo solidaristico socio-sanitario, finanziato dalla fiscalità generale capace di rendere protagonisti e gestire risorse acquisite attraverso attori privati, portatori di interessi pubblici non orientati al profitto, ampliando così la copertura dei bisogni, riducendo la massa ingente dell’out of pocket a tutto carico dei cittadini.
 
In sostanza attuare quel secondo pilastro capace di rendere più solide e proattive le politiche pubbliche di tutela e promozione della salute e del benessere dei cittadini. Non sono mancate a questo scopo vere e proprie proposte di revisione organica della normativa esistente: dalla costruzione di un testo unico proposto dall’ANIA e da RBM salute ad una legge quadro univoca ed esaustiva, sulle orme di quanto è accaduto con la previdenza complementare, proposto da Assoprevidenza, misure correttive all’attuale normativa in materia, volte a superare l’art 9 della legge 229, chiarire dopo i decreti 2008 e 2009 le differenti visioni interpretative dei medesimi tra Agenzia delle Entrate e Ministero della salute, questione di fondi Doc e non Doc, e di conseguenza le anomalie del TUIR, omogeneizzazione della platea della deducibilità fiscale.
 
Ed ancora, estendere gli ambiti di operatività almeno alla prevenzione così come originariamente era previsto dal decreto 2008, riorganizzazione delle funzioni dell’Anagrafe dei fondi, regolazione delle procedure gestionali dei fondi, costituzione di un Organismo di vigilanza, costruzione di fondi a livello territoriale degli enti locali, necessità di convenzionarsi anche con le strutture del SSN per quanto riguarda la libera professione intramuraria, l’alta diagnostica ecc. stabilendo tariffe e modalità di accesso alle strutture pubbliche in tempi e metodi, così come già accade già in diverse realtà italiane(Milano, Verona, Cuneo, Roma, ecc).
 
Quali proposte sento di poter avanzare? Occorre fare alcune osservazioni preliminari. A proposito del testo unico. Per testo unico, nel nostro ordinamento s'intende una raccolta di norme che disciplinano una determinata materia. Fino al 1988 erano emanati con decreto del Presidente della Repubblica, ma, dallo stesso anno, dopo la promulgazione della legge n. 400 del 23 agosto 1988, (rubricata"Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri"), possono essere emanati anche con decreto legislativo.
 
Con tale raccolta normativa su un determinato argomento di diritto, si coordina una congerie di provvedimenti legislativi che, accavallandosi in sequenza, portano all'interprete scarsa chiarezza di applicazione; nella fattispecie, leggi susseguitesi nel tempo che modificavano altre leggi, e/o introducevano nuove norme sulla materia; altre leggi che si affiancavano alle precedenti aggiungendovi norme, ecc.
 
Il testo unico, solitamente di tipo compilativo, ha perciò il pregio di accomunare in un solo corpo testuale – spesso definito "codice" poiché generalmente manca della necessaria sistematicità – tutta la regolamentazione su una materia, evitando così al destinatario, la possibilità di incorrere in errori dovuti alla pluralità di norme sparse per il sistema legislativo.
Si parla quindi di testi unici quando si tratta di riunire più testi di legge in uno solo, che per questo prende il nome di testo unico.
La forza di legge non deriva dal testo unico ma dal supporto normativo in esso riunito e quindi, eventuali difformità di tale testo non avrebbero influenza sulle norme vigenti.
 
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 54 del 10 aprile 1957, ha affermato che il testo unico predisposto in base a delega legislativa è un vero e proprio decreto legislativo, che ha quindi forza di legge. Occorrerebbe quindi una delega legislativa che non si limiti a riordinare quello che c’è ma a modificare a monte norme istitutive.
 
Non mi risulta al momento che nessuna forza politica parlamentare abbia predisposto una proposta di legge delega sulla materia dei fondi sanitari e quindi ritengo abbastanza complicato predisporci al T.U. essendo non solo di fronte alla necessità di assemblare, quanto in alcuni casi apportare emendamenti chiarificatori e nella maggior parte dei casi di fronte alla necessità di decreti attuativi che non sono mai stati predisposti.
 
Al tempo stesso una trasposizione meccanica di quanto avvenuto con la Previdenza complementare non mi pare corretta nei suoi meccanismi fondativi, poichè non si può non tener conto della differenza di merito delle 2 forme: una a capitalizzazione (previdenza complementare) l’altra a ripartizione (Fondi sanitari).
 
Infine per definire una omogeneità delle deduzioni fiscali attualmente in vigore in materia sarà più opportuno affrontare in modo compiuto la questione quando, in coerenza con la delega fiscale, si metterà mano alla questione detrazioni e deduzioni, potendo così definire deduzioni omogenee e non cumulabili con detrazioni.
 
Ciò che mi appare oggi realistico è rendere coerenti alcuni aggiustamenti necessari alla legislazione vigente, accogliendo molti dei suggerimenti, avanzati in questi anni nelle occasioni di dibattito sulla materia, completando il quadro attuativo che ancora manca, introducendo proposte innovative sul piano della costituzione di fondi territoriali, nella speranza che la discussione, ed ulteriori contributi ci consentano di sollecitare gli organi istituzionali con proposte congrue e fattibili.
 
Vediamo le possibili innovazioni e modifiche legislative:
1) In ordine all’anagrafe dei fondi a regime si potrebbe darne attuazione con una proposta di schema di decreto che tenga conto di alcune modificazioni da apportare al decreto 2008 e a quello del 2009 (Allegato 1).

2) Altre modifiche legislative si potrebbero apportare in ordine all’art.9 della 229/99 per superare l’arbitraria distinzione tra fondi Doc e non Doc, ricomparsa nella Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 3.12.2014 in ordine al REGIME FISCALE DEI FONDI SANITARI conseguente al parere interpretativo restrittivo del ministero della salute sia in ordine all’art. 9 della 229 che del decreto del marzo 2008. A tal proposito si potrebbero apportare alcuni emendamenti ulteriormente chiarificatori (Allegato 2).

3) Contestualmente, potrebbero essere apportate modifiche al decreto del Ministro della Salute del 31 marzo 2008 che estenda a tutto il comparto l’applicazione degli ambiti di intervento ora previsti dall’art. 1, comma 3 per i soli enti, casse e società di mutuo soccorso di cui all’art. 51 del Tuir. Si propone di abolire i commi 2 e 3 dell’art.1 del decreto del Ministero della Salute del 31 marzo 2008 sostituendoli come proposto (Allegato 3).

4) Al decreto Sacconi del 2009 di conseguenza si dovrebbero apportare le modifiche proposte nell’Allegato 4.

5) Si potrebbe infine proporre i decreti mancanti sulla cessione in gestione e quello sul regolamento dei fondi (Allegato 5).

Le proposte di modifica/integrazione legislativa avanzate costituirebbero la cornice all’interno della quale avanzare concretamente un modello di collaborazione tra i fondi integrativi, le società di mutuo soccorso e le casse esistenti ed in via di istituzione e le Regioni.
Infatti, una delle proposte più attuali nel complesso scenario della sanità integrativa è rappresentato dalla possibilità di favorire l’integrazione e la collaborazione tra i fondi, le società di mutuo soccorso e le casse e le realtà istituzionali del territorio (Regioni, Comuni, ASL ed altri enti territoriali ed i soggetti che operano nel mondo del no profit), anche attraverso la costituzione di Osservatori Regionali e l’introduzione di modelli sperimentali differenziati per aree geografiche. Si veda l’esperienza del Trentino Alto Adige.
 
Accanto alla possibilità di collaborazione tra Fondi/SMS/Casse esistenti e Regioni (ma il discorso vale anche per le altre istituzioni) deve essere tenuta in considerazione quella di dare origine a forme integrative di assistenza di cui si fanno promotrici proprio le Regioni, attraverso l’istituzione, prevista dalla normativa, di fondi integrativi su base regionale, ma anche locale con il coinvolgimento dei comuni. Possono essere individuati tre ambiti di prestazioni nei quali attivare la partnership tra i fondi/SMS/Casse e le Regioni: le prestazioni di specialistica ambulatoriale, le cure odontoiatriche e la non autosufficienza.
 
Nella fattispecie le ultime due fanno parte della quota vincolata attuale del 20% delle risorse dei fondi da destinare proprio a questi settori per poter accedere ai benefici fiscali di legge, che potrebbe agevolmente essere innalzata al 40%, visto che già oggi si attesta sul 37% Se è vero che il portafoglio dei fondi/SMS/Casse si aggira introno ai 4-5 miliardi di euro sul complesso della spesa privata, si tratta di circa 800 milioni, 1 miliardo di euro che oggi sono prevalentemente indirizzati verso l’odontoiatria e poche e disomogenee prestazioni sociosanitarie. Se, come dalla proposte di modifiche ed integrazioni normative proposte precedentemente la quota vincolata fosse portata al 40%, è evidente la maggiore disponibilità di risorse.
 
Considerando le enormi difficoltà dei Comuni a garantire la spesa sociale per parte pubblica e vista l’esiguità del Fondo nazionale per la non autosufficienza (440 milioni) si comprende come l’utilizzo di tali risorse sia fondamentale in un’ottica di partnership tra finanziamenti pubblici e privati.
 
Il settore della specialistica potrebbe essere utilizzato come “volano” per costruire pacchetti prestazionali per nucleo familiare esteso (che includa anche il familiare più anziano), garantendo agevolazioni fiscali per i sottoscrittori più giovani che in caso di adesione possano beneficiare per loro delle prestazioni sanitarie (per esempio le prestazioni specialistiche ambulatoriali) e per i loro familiari più anziani della copertura per la non autosufficienza e le prestazioni sociali e sociosanitarie; inoltre i fondi/SMS/Casse potrebbero costituire un “paniere dinamico” delle prestazioni, attività e servizi erogabili con i fondi, che sia in grado di raccogliere quelle stesse prestazioni che in base ai vari indicatori/parametri definiti dal legislatore dovessero risultare esclusi dal SSN. (vedi le prestazioni cosiddette inappropriate)
 
Con riferimento alla specialistica ambulatoriale, possono essere valutati modelli operativi in base ai quali gli iscritti ai Fondi accedano a prestazioni ambulatoriali erogate in strutture accreditate (pubbliche o private), le quali riservino ai Fondi una quota della propria capacità operativa disponibile per le prestazioni specialistiche e diagnostiche, sulla base di tariffe concordate. Tale modello prevede l’utilizzo del canale produttivo della libera professione aziendale o del singolo professionista che aderisce a tariffe concordate.
 
L’ accordo tra Regione e Fondi/SMS/Casse per l’erogazione di concertati volumi di attività ambulatoriale compresi nei Livelli essenziali di assistenza (garantiti dai fondi ai loro iscritti) possono essere erogati presso strutture accreditate secondo protocolli definiti e tariffe calmierate.
La Regione potrebbe stabilire tetti alle stesse prestazioni erogabili nell’ambito del SSR, se già erogate dai Fondi.
 
Grazia Labate

09 giugno 2016
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