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Decreto “Rilancio”, le opportunità e le incognite di un provvedimento monstre

di Ettore Jorio

Al di là delle aspettative naturali per un siffatto monumentale provvedimento legislativo si stanno tuttavia determinando alcune preoccupazioni. Quella più comune è costituita non solo dalla difficile approfondita lettura della cascata di articoli (266) di cui lo stesso si compone bensì dai circa cento provvedimenti attuativi (98) che occorrono per concretizzare i suoi effetti, senza i quali tutto rimane com'è oggi. 

23 MAG - Fare presto e bene. E' quanto si ha modo di esclamare a seguito della pubblicazione del «decretone» 19 maggio 2020 n. 34. Un provvedimento d'urgenza destinato, per la sua dimensione unica, ad essere convertito così com'é con il voto di fiducia, soggetto dunque a modifiche - che si preventivano numerose - da perfezionarsi ove mai con successivi omologhi atti legislativi.
 
Ovunque si avverte l'esigenza di colmare la sete di quattrini che l'epidemia ha determinato. Da qui, la corsa a ricorrere in massa alla «borsa della spesa» che il provvedimento del Governo ha aperto. La sensazione che si ha è quella generata dalle folle che si assiepano nelle zone di guerra di fronte alle vettovaglie che arrivano sui mezzi della Croce Rossa.
 
Una lettura non propriamente facile
Al di là delle aspettative naturali per un siffatto monumentale provvedimento legislativo - giustificativo di un entusiasmo comune anche perché prodotto con un intento chiaramente risarcitorio dei danni generali sopportati a causa del Covid-19, sino ad oggi non sufficientemente attenuati da misure governative adeguate - si stanno tuttavia determinando alcune preoccupazioni. Quella più comune è costituita non solo dalla difficile approfondita lettura della cascata di articoli (266) di cui lo stesso si compone bensì dai circa cento provvedimenti attuativi (98) che occorrono per concretizzare i suoi effetti, senza i quali tutto rimane com'è oggi.
 
Quindi, alla naturale fretta dei più «bisognosi» di fare proprie le risorse necessarie per non morire (e non di Covid-19) - intendendo per tali le imprese in asfissia e i lavoratori cassaintegrati in deroga rimasti ancora a secco del denaro per vivere - sussegue la paura dei medesimi di non trovarsi di fronte alla soluzione, neppure temporanea, dei loro problemi.
 
Il D.L. 34/2020 nasconde, infatti, non poche difficoltà applicative. Troppa la farraginosità dell'impianto normativo ed elevata la difficoltà di lettura dell'articolato. Esagerate le subordinazioni delle erogazioni previste - condivisibili quanto a destinazioni e beneficiari - ad un esagerato numero di decreti attuativi. Non solo. E' subordinato alla elaborazione di strumenti di programmazione operativa, a loro volta condizionati all'esito di altri omologhi provvedimenti previsti nell'ordinamento.
 
Insomma, è tutto un rincorrersi tra provvedimenti dello stesso tipo, tanto da generare la diffusa idea di trovarsi di fronte ad un gioco che è una via di mezzo tra un puzzle, del quale si conosce il disegno ma difficile da mettere insieme, e una matrioska, cui oramai i più recenti legislatori sogliono ricorrere soventemente per rendere, inconsapevolmente (!), difficili le applicazioni delle leggi.
Una opzione, questa, che renderà il provvedimento di non facile conseguimento del risultato preteso, che ben sarebbe potuto essere destinato ad una più facile e celere portata satisfattiva del bisogno sociale, nei confronti del quale lo stesso si propone idealmente come soluzione.
L'indice che manca
Quanto al provvedimento è comunque da ritenere pieno zeppo di misure favorevoli destinate: alla riorganizzazione della sanità (artt. 1-23), con prevalenza per quella territoriale e per le cautele strutturali emergenziali; al sostegno economico e delle imprese (artt. 23-81), con accesso ad agevolazioni fiscali e creditizie (artt. 24-52) nonché con ricorso ad aiuti specifici (artt. 53-65); alle tutele e al sostegno economico dei lavoratori (artt. 66-81); agli interventi solidali nei confronti delle famiglie rese deboli dall'epidemia, del tipo il reddito d'emergenza, la ridisciplina delle modalità alternative al lavoro ordinario, il rifinanziamento dei fondi sociali e l'assistenza alla disabilità (artt. 82-105); al supporto finanziario al sistema autonomistico territoriale e allo smaltimento del loro debito pregresso, ivi compreso quello contratto dagli enti del sistema sanitario nazionale (artt. 106-118); all'instaurazione di facilitazioni fiscali e di differimento degli adempimenti dei contribuenti (artt. 119-164); all'intervento finanziario per il settore creditizio di ridotte dimensioni (artt. 165-175). E ancora, tanti interventi settoriali su: turismo e cultura; editoria, trasporti e infrastrutture; sport; giustizia; agricoltura e pesca; ambiente; istruzione e università/ricerca; innovazione tecnologica; coesione; accelerazione dei concorsi e semplificazione delle procedure (artt. 176-266).
La salute prima di tutto
Interessante è la introduzione di alcune misure di natura preventiva/cautelativa e il rafforzamento degli strumenti esistenti in materia di tutela della salute, dalla quale dipendono gli approcci e gli esiti delle iniziative volte alla salvaguardia e al rilancio di tutti gli altri ambiti.
 
Quanto all'intervento che il decreto legge prevede risulta interessante una consistente riorganizzazione dei sistemi sanitari regionali, con prevalenza della sanità territoriale, necessariamente da potenziare, di quella ospedaliera, da riordinare in funzione emergenziale, e di tutte quelle maggiori cautele strutturali da opporre all'espandersi dell'epidemia Covid-19.

Metodo, tempi realizzativi ed efficienza
Pregevoli gli intendimenti e gli obiettivi. Interessanti gli strumenti, soprattutto quelli programmatori. Qualche perplessità sul funzionamento a regime e di pregio dell'assistenza territoriale, per non parlare delle Usca che rimangono, così come implementate, più un tentativo che una soluzione.
 
Tante le difficoltà attuative della riscrittura dell'assistenza, affidate alla corretta redazione dei piani riorganizzativi e di potenziamento, da dovere poi essere recepiti nei programmi operativi previsti nell'art. 18, comma 1, del D.L. 18/2020. Un adempimento non facile da assolvere nei tempi brevi, specie da parte di quelle Regioni in eterno ritardo con l'efficienza dei loro sistemi salutari.
 
Per intanto, c'è la necessità - solo che si voglia mantenere il SSN nella sua attuale esistenza regionalizzata - che le Regioni comincino a fare da sole e bene, magari consentendo loro di accedere a personale qualificato e altamente formato da inserire nei loro organici, oramai all'osso anche a causa del blocco del turnover.
 
Un intento sino ad ora non realizzato a causa delle più generali condizioni legislative, che hanno prodotto inutili commissariamenti e dannose assistenze da parte di organismi terzi che, completamente avulsi dai territori e dalle collettività di riferimento, hanno spesso rovinato del tutto i sistemi della salute assegnati alle loro costose «cure».
 
Nella logica comune che «tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare», la speranza è che - con l'attuazione del D.L. cosiddetto rilancio - non ci siano, alla fine della «regata», troppi naufraghi con al seguito qualche servizio sanitario regionale affondato.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria


 


23 maggio 2020
© Riproduzione riservata


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