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Le nuove maxi Asl dopo le fusioni. Meglio o peggio? Lo studio di Fiaso

di Michela Perrone

Il lavoro presentato al Forum Risk Management 2020. Ripa di Meana: “Molte realtà sono state sottoposte a uno stress test da fusione, al quale si è poi aggiunto quello imposto dell’emergenza pandemica, nel corso della quale molte Aziende hanno tenuto proprio perché i loro DG sono stati in grado di “esserci”.

17 DIC - Quanto sono flessibili al cambiamento le aziende sanitarie? Quali sono i rapporti tra top e middle management? Quali strategie sono state messe in campo per far sì che le fusioni avvenute negli scorsi anni abbiano portato un valore aggiunto?
 
Solo alcune delle domande alle quali risponde lo studio “Governare le Aziende sanitarie in cambiamento”, condotto da Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie ed ospedaliere, e curato da Mario Del Vecchio, professore di economia aziendale all’Università di Firenze e Anna Romiti, ricercatrice e professoressa aggregata di Economia e gestione delle imprese all’Università di Firenze. Il lavoro, presentato alla 15° edizione del Forum Risk Management, ha testato la capacità di adattamento delle aziende dopo gli accorpamenti che hanno caratterizzato la sanità negli ultimi anni. La ricerca ha preso in esame tre grandi aziende, nate da recenti fusioni in contesti urbani: la Asl Città di Torino, l’Ausl Toscana Centro e la Asl Roma1.
 
Reagire bene ai cambiamenti
“Sebbene lo studio sia stato effettuato prima della pandemia, riteniamo che contenga elementi utili anche alla luce di quello che è successo, poiché si concentra sul top e middle management e sulle strategie adottate dalle varie aziende per far fronte al cambiamento”, ha premesso Anna Romiti.
 
A questo proposito Francesco Ripa di Meana, presidente Fiaso, ha sottolineato il ruolo fondamentale svolto dai direttori generali, che sono stati un punto di riferimento importante nell’incertezza della pandemia. Per il numero 1 di Fiaso “è necessario che il sistema prenda atto dei loro sforzi, per almeno due motivi. Il primo è che se la scarsa visibilità è parte del ruolo, non è pensabile che ai Dg, e al top management nel suo insieme, rimanga solo l’onere dei rischi degli errori.Non è soltanto una questione di equità; in queste condizioni finiscono per prevalere atteggiamenti e comportamenti difensivi che priveranno le aziende di energie fondamentali, realizzando così facili profezie auto-avverantesi sulla scarsa utilità del management. Il secondo è che nella formazione, selezione e valutazione dei direttori generali dovrebbero essere adeguatamente tenute in considerazione le capacità legate a quella che in termini molto semplificati potrebbe essere definita come leadership. Per questo è giunto il momento di riprendere un dibattito sulle diverse responsabilità e su come devono articolarsi nelle aziende sanitarie pubbliche del futuro”.
 
Dallo studio è emerso che le aziende hanno mostrato una notevole capacità di adattamento al nuovo contesto, con un top management perfettamente all’altezza della situazione e un middle management con una sorprendente mancanza di tensione di fronte al nuovo ruolo. “Questa carenza di stress dovuto all’allargamento della struttura può essere interpretato in due modi – ha affermato Mario Del Vecchio – In chiave positiva, come l’accettazione del ruolo manageriale da parte dei professionisti. Oppure, potrebbe essere un segnale che la pressione sul middle management non sia adeguata, che manchi una corretta responsabilizzazione dei risultati”.
 
Le esperienze delle aziende
Per Carlo Picco, Direttore generale Asl Città di Torino, “Grazie al lavoro svolto dal mio predecessore Valerio Fabio Alberti, il Covid è stato una leva molto positiva per consolidare il concetto di azienda unica e l’orgoglio di appartenenza a questa realtà. La nostra Asl è infatti diventata il centro di riferimento di tutte le attività organizzative e scientifiche della Regione. Abbiamo potuto testare la nostra capacità di organizzare e gestire clinicamente determinate situazioni critiche e posso dire che abbiamo reagito bene”. Il Dg ha osservato “un forte compattamento da parte del middle management e di tutte le aree intermedie della catena di comando su aspetti tangibili che ha permesso di rispondere con efficacia e efficienza alle sfide che ci siamo trovati ad affrontare in questi mesi”.
Da parte sua Valerio Fabio Alberti, già Direttore generale dell’Asl Città di Torino e past president Fiaso, ha ricordato come sia stato determinante lavorare sul rafforzamento dell’identità culturale del personale: “Esiste una finestra nella quale le persone hanno sì paura del cambiamento, ma nutrono anche delle aspettative, quindi c’è una disponibilità da parte loro – ha spiegato – Noi abbiamo scelto di inserirci in questa apertura con una serie di interventi: abbiamo uniformato gli istituti contrattuali del personale, favorito un mescolamento tra Torino1 e Torino2 e lavorato sulla comunicazione, in modo che fosse chiaro a tutti il progetto di accorpamento”. In questo modo si è ridotta la paura, coinvolgendo di più il middle management nelle scelte e negli orientamenti da perseguire. “Abbiamo fatto tutto questo i modo sistematico e veloce, creando valore aggiunto all’accorpamento”.
 
Angelo Tanese Dg dell’Asl Roma1 e vice presidente Fiaso, ha evidenziato come il ruolo dei direttori generali sia sempre stato dato un po’ per scontato: “Il Dg oggi non è la stessa figura degli anni 90, quando era impegnato a introdurre strumenti gestionali. Adesso questa dimensione è più dinamica, siamo gestori di cambiamenti. Guardando alla mia esperienza, ritengo che siano due le figure manageriali fondamentali e su cui dovremo investire in futuro: il direttore di distretto, che più di tutti interpreta la mission e si occupa della gestione organizzativa nelle aziende sanitarie locali. E il facility manager, quella figura in grado di gestire con flessibilità la logistica di strutture e processi”.
 
Nell’esperienza diAntonio D’Urso, Dg dell’Ausl Toscana Sud Est, è fondamentale invece “avere una direzione presente, ma anche la capacità di delegare in modo forte al middle management. Credo che un modello che funziona è quello in cui è chiaro chi deve fare cosa e quando”. 
 
La percezione del cambiamento nel middle management
Ma come hanno percepito il processo di cambiamento i “direttori della produzione”, il middle management che ne è stato co-protagonista?
 
Da un lato il 64% percepisce l’apprezzamento da parte dei clinici del proprio ruolo manageriale, smentendo il luogo comune di una dicotomia che sembra trovare poche conferme sul campo. E il 78% del middle management esprime complessivamente soddisfazione per il proprio lavoro e senso di appartenenza aziendale (soddisfacente per il 66% degli intervistati). Però solo il 31% dichiara di esercitare un’influenza sulle decisioni aziendali. Così come solo il 39% si ritiene soddisfatto dei riconoscimenti per i risultati ottenuti.
 
Alta però risulta la dedizione al lavoro, con il 92% del middle management motivato nel formare il personale, l’83% che giudica molto validi e competenti i colleghi con i quali è in contatto e un buon 76% che nonostante le pressioni per rispettare gli obiettivi di budget non ha mai pensato seriamente di lasciare l’Azienda. Anche perché solo il 39% fa fatica a rendere compatibili le esigenze manageriali con quelle professionali, siano esse cliniche o tecnico-amministrative e un ancor più modesto 37% si è detto dispiaciuto per aver dovuto ridurre il proprio impegno nelle attività professionali a favore di uno maggiore richiesto dalla componente manageriale. Un insieme di elementi che concorre a definire un quadro di attaccamento all’Azienda molto lontano dall’immagine di un rapporto logorato e di una diffusa demotivazione, prevalente nel dibattito pubblico sulle Aziende sanitarie e sulla pubblica amministrazione.
 
Il peso della burocrazia è però aumentato per il 74% degli intervistati, così come la pressione per il raggiungimento dei budget, segnalata dal 68% dei manager.
 
I cambiamenti post-fusione
La ricerca analizza poi i principali cambiamenti imposti dalle fusioni nella struttura organizzativa, che variano da Azienda ad Azienda.
 
Così la Asl Roma 1 segnala un “maggiore contributo e supporto degli staff al vertice e alle funzioni di governo”, con una più netta separazione tra questa e “l’area di risposta ai bisogni”. Mentre nel rapporto Staff-amministrazione si è avuta una “concentrazione delle funzioni di supporto” con la creazione di un nuovo dipartimento per lo sviluppo organizzativo. Sul piano operativo poi si è invece molto puntato sulla trasversalità e continuità nel rapporto ospedale-territorio.
La Città di Torino ha invece optato per l’allargamento e la riconfigurazione del vertice strategico con l’introduzione di ruoli di coordinamento e con mandati ad hoc. Riguardo al rapporto staff-amministrazione si è proceduto a una divisionalizzazione delle funzioni di supporto, mentre sul piano operativo la scelta è stata quella di separare ospedale e territorio con “Strutture semplici trasversali sui distretti”.
 
La Ausl Toscana centro riguardo l’area del governo aziendale ha invece optato per una più compiuta divisionalizzazione, “che ha spostato la gestione della complessità interna sulle linee operative”, decongestionando le funzioni del vertice strategico. Nel rapporto staff-amministrazione si è andati nella direzione di una maggiore specializzazione delle linee amministrative con l’inserimento di nuovi staff. Sul piano operativo si è invece puntato su “trasversalità e continuità tra ospedale e territorio”.
 
La percezione condivisa dall’88% dei middle manager è che la gestione delle fusioni abbia comportato comunque un aumento significativo della complessità gestionale e solo il 34,7% crede a una semplificazione una volta terminato il processo di fusione. Anche se poi quasi all’unanimità (oltre il 90%) ritiene che l’esigenza di cambiamento sia un elemento costante dello scenario nel quale operano le Aziende sanitarie.
 
Plasticità aziendale e ruolo dei Dg
Le dinamiche di aggiustamento messe in moto dalle fusioni hanno avuto ripercussioni diverse su top e middle management. “Nel primo caso - scrivono i curatori dell’indagine Del Vecchio e Romiti - la ricerca ha mostrato la capacità del top management, pur nel perimetro di strutture immutate, di rimodellare le proprie condizioni di funzionamento, adattandole ai diversi contesti, anche in relazione alle proprie specifiche visioni. Si tratta di una plasticità finora poco considerata a causa della rigidità degli assetti istituzionali pubblici e che si riflette in vere e proprie strategie di governance che le direzioni generali sono state in grado di adottare. Se strutture e meccanismi di governo delle Aziende sono in larga parte predefiniti, il cambiamento di dimensione ha comunque consentito un ripensamento e una migliore focalizzazione del funzionamento del vertice attraverso una serie di elementi (distribuzione del potere, ruolo degli staff, cooptazione ecc.) che nel loro insieme, e per la loro coerenza, si configurano come assetti effettivi di governo”.
 
Nel caso del middle management “le possibili ipotesi in grado di spiegare le ragioni di una, per certi versi sorprendente, mancanza di tensioni sul ruolo sono meno chiare. Qui la risposta a un possibile aumento di complessità derivante da una dimensione più ampia sembra essere stata relativamente semplice, limitandosi a una diversa distribuzione del tempo tra attività professionali e attività manageriali. La possibilità che un mero adattamento quantitativo possa avere risolto il problema di come bilanciare offerta (del middle management) e domanda (dell’Azienda) di capacità e impegno gestionale è un risultato che dovrà essere meglio indagato, soprattutto in assenza di tracce evidenti di qualche difficoltà, se non nella situazione presente, almeno nella transizione da uno stato all’altro”.
 
Le conclusioni ricollocano comunque il Dg al centro del villaggio. L’appartenenza aziendale, che tanto ha contribuito a superare i mille ostacoli frapposti dall’emergenza da COVID-19, passa dunque attraverso un rapporto più stretto tra direzioni e middle management, nel quale risiede anche la possibilità di generare e stimolare il senso di vicinanza alla Azienda.  “In una differente prospettiva - è la conclusione della ricerca - non sarebbero tanto l’appartenenza o la vicinanza del professionista all’Azienda a essere messe in discussione, quanto la legittimazione del top management rispetto all’Azienda stessa”.
 
Michela Perrone

17 dicembre 2020
© Riproduzione riservata


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