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Ipoacusia. Può aumentare fino a 5 volte il rischio di demenza


Presentato un Consensus Paper che mette in luce la relazione tra ipoacusia e demenza. Oltre 7 milioni di italiani convivono con un deficit dell’udito. I casi di demenza per ipoacusia destinati a crescere con l’aumento della longevità. Ecco il decalogo "salva udito".

08 OTT - Udito e cervello, sordità e demenza. È un connubio che fa paura quello messo in evidenza dal Consensus Paper “Sentire bene per allenare la mente”, promosso da Amplifon e presentato oggi a Milano: oltre 7 milioni di italiani e 590 milioni di persone nel mondo convivono con un deficit dell’udito e vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare forme di demenza. Il pericolo di decadimento cognitivo è direttamente proporzionale al livello di ipoacusia: può aumentare fino a 5 volte nei casi più gravi di sordità e per ogni peggioramento dell’udito di 10 decibel si registra una crescita del rischio di demenza di circa 3 volte.
 
Si stima che già oggi in 1 caso su 3 la demenza - che oggi colpisce 36 milioni di persone nel mondo - possa essere causata da ipoacusia, ma anche il decadimento cognitivo può essere responsabile di una progressiva perdita uditiva. “Oggi sappiamo che tra ipoacusia e demenza esiste una relazione bidirezionale - spiega Alessandro Martini, Direttore Dipartimento di Neuroscienze e Organi di Senso e Professore Ordinario di Otorinolaringoiatria, Azienda Ospedaliera Università di Padova - e che un grave deficit uditivo è in grado di aumentare di ben 5 volte, in maniera indipendente rispetto ad altri fattori, il rischio di sviluppare demenza. Dobbiamo quindi intervenire tempestivamente sul danno uditivo, con opportuni test audiometrici e i giusti apparecchi acustici, in modo da contrastare il più possibile il decadimento della funzione uditiva. Rallentare anche di un solo anno l’evoluzione del quadro clinico, porterebbe a una riduzione del 10% del tasso di prevalenza della demenza nella popolazione generale, con un notevole risparmio in termini di risorse umane ed economiche”.
 
E le prospettive non sono rosee. Nei prossimi 30 anni la percentuale di anziani raddoppierà e nel 2050 gli ultrasessantenni saranno quasi 2 miliardi di persone (il 21% della popolazione mondiale). Nello stesso periodo, anche le persone affette da sordità raddoppieranno e supereranno il miliardo, mentre gli individui con una forma di demenza triplicheranno e saranno ben più di 100 milioni. “L’allungamento della vita media - commenta Roberto Bernabei, Direttore Dipartimento per l'Assistenza Sanitaria di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma - Presidente di Italia Longeva- è un dato di fatto: chiunque viva oggi continua a guadagnare 3-4 mesi di aspettativa di vita ogni anno che passa ed è molto probabile che i nuovi nati arrivino a festeggiare i 100 anni. Dobbiamo però prendere atto di come il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione sia correlato alla demenza e al deficit dell’udito, un po’ come dopo i 50-60 anni si è tutti o quasi colpiti dalla presbiopia. Ebbene, se oltre il 50% delle persone con più di 85 anni ha un deficit cognitivo e quasi il 90% ha un disturbo dell’udito, c’è il rischio paradossale di arrivare tutti a vivere fino a 100 anni di età, ma senza accorgercene”.
 
La ragione del legame tra ipoacusia e demenza resta sconosciuta, ma gli studiosi hanno avanzato alcune ipotesi. La più affascinante ritiene che gli stessi meccanismi patogenetici neurodegenerativi riconosciuti in alcune forme di demenza, quali la malattia di Alzheimer, possano essere alla base di alterazioni centrali del sistema uditivo. Un’altra ipotesi, altrettanto suggestiva, sostiene che l’ipoacusia comporti un maggiore sfruttamento delle risorse cognitive per decodificare i suoni in informazioni utili, rendendo così la persona più vulnerabile alla demenza. Infine, altri studiosi si soffermano sul rischio di isolamento sociale, che rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per l’insorgere della demenza ed è strettamente associato all’ipoacusia, in quanto il deficit uditivo comporta una diminuzione del desiderio di uscire e di farsi coinvolgere in conversazioni.
 
I risultati del Consensus Paper “Sentire bene per allenare la mente” suggeriscono che è possibile ritardare l’invecchiamento cognitivo tramite l’adozione di semplici rimedi, come l’uso di apparecchi acustici e una maggiore attenzione verso la prevenzione e l’identificazione precoce della sordità. “Occorre riflettere sulla valenza della riabilitazione acustica, che non interviene solo sulla funzione uditiva, ma è anche utile per ridurre, contrastare e rallentare la progressione di disordini cognitivi di vario tipo e grado. E in ogni caso i pazienti con apparecchio acustico hanno dimostrato, indipendentemente dall’esito sui disturbi cognitivi, un decorso migliore in termini di mantenimento delle relazioni sociali, lavorative e affettive”, aggiunge Martini.

Eppure, gli apparecchi acustici sono fortemente sotto-utilizzati nel nostro Paese: si stima che l’età media degli italiani “portatori” di apparecchi acustici sia di 74 anni contro una media europea di 60,5 anni. “È un problema culturale, che necessita di un’operazione di informazione e sensibilizzazione della popolazione. Se un bambino sente poco è automatico suggerire una soluzione acustica, se un cinquantenne non riesce più a leggere il giornale è automatico che inforchi gli occhiali: è mai possibile che su oltre 7 milioni di italiani ipoacusici solo 700.000 portino gli apparecchi acustici?”, conclude Bernabei.
 
“Con la presentazione di questo Consensus Paper - dichiara Franco Moscetti, Amministratore Delegato del Gruppo Amplifon - l’obiettivo è di fare cultura, informare e sensibilizzare la popolazione per sottolineare da un lato come la soluzione sia spesso a portata di mano e dall’altro per combattere lo stigma e l’auto-isolamento delle persone con ridotta sensibilità uditiva”.
 
 
 
 
 

08 ottobre 2013
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