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Governo Monti/3. Federalismo e fondi integrativi. Anche in Italia si parla di “big society”

di Lucia Conti

Sviluppare una rete integrata tra pubblico e privato dando impulso a un modello orientato alla responsabilizzazione dei cittadini e alla mutualità solidaristica. Le idee di Collicelli (Censis), Mastrobuono (Tor Vergata) e Labate (Un. York) al convegno Anaste e Federsalute.

18 NOV - Aumenta la spesa sanitaria ma diminuiscono i finanziamenti. Quasi azzerati quelli per l’assistenza sociale, nonostante anche per questa voce di spesa l’aumento sia esponenziale. E le due condizioni sono tutt’altro che slegate perché i bisogni aumentano e “una drastica riduzione, senza una strategia precisa, della spesa sociale può riflettersi sul versante sanitario determinando una maggiore richiesta di servizi soprattutto di emergenza e vanificare, nelle regioni in piano di rientro, gli sforzi per la riduzione della spesa sanitaria. Sarebbe dunque un errore strategico guardare alla spesa sanitaria senza contemporaneamente considerare quella sociale”. Ad affermarlo è stata stamani Isabella Mastrobuono, direttore sanitario del Policlinico Tor Vergata di Roma e sub commissario alla Sanità della Regione Molise intervenendo a un convegno su una nuova riforma del welfare al fine di affrontare il grave problema della disabilità e delle cure di lungo termine in Italia promosso ieri a Roma dall’Anaste, l'associazione strutture terza età, in collaborazione con Federsalute.
 
“Il convegno – ha spiegato Alberto De Santis, presidente Anaste e di Federsalute - intende proporre un nuovo patto di solidarietà tra tutti gli attori del sistema sanitario nazionale. Ciò può rendersi utile anche per lo sviluppo di edilizia sanitaria,  intelligente ed innovativa, per il completamento di 245.000 posti letto, di strutture residenziali per anziani  come grande occasione di sviluppo e di lavoro professionalizzato”.  Una rivisitazione complessiva, quindi, sottolinea De Santis “del nostro sistema attuale di welfare, che da una logica essenzialmente monetaria ha bisogno di riconvertirsi ad una logica di servizi, chiamando alla sua realizzazione istituzioni pubbliche, mercato profit e non profit, cittadini portatori di diritti e le loro famiglie ad orientare un nuovo patto sociale, pur dentro la crisi, che sia occasione di diritti e servizi”. Ma per Anaste è “indispensabile anche la creazione di un Fondo Unico per la non autosufficienza, costituito da tutte le parti sociali, coinvolgendo i Fondi Sanitari Integrativi. Una scelta non più procrastinabile”.

Guardando nel dettaglio le risorse dedicate a questo capitolo, illustrate da Grazia Labate, ex sottosegretario del Govero Amato e docente di Economia sanitaria all'Università di York, "dal 2007 il Fondo nazionale per le politiche sociali ha avuto un trend decrescente. La parte di fondo destinata alle Regioni, (al netto della parte di finanziamento destinata ai diritti sogettivi), per le politiche sociali a livello locale, passa da 745 milioni di euro del 2007 ai 274 milioni di euro del 2011. Per il 2012: 69 milioni. Per il 2013: 44 milioni. Il Fondo per la non autosufficienza passa da 100milioni di euro del 2007 ai 300milioni di euro del 2008 ai 400 milioni di euro del 2009 e del 2010 fino ad azzerarsi nel 2011 e per gli anni successivi". A questo si aggiungono i tagli strutturali ai bilanci delle autonomie locali. "Nel 2012 - spiega Labate - Regioni, Province e Comuni dovranno risparmiare 6 miliardi di euro. Nel 2013 e nel 2014 diventeranno 6 miliardi e 400 milioni, che incideranno principalmente sul trasporto pubblico e l’assistenza sociale. E per effetto del Disegno di legge delega, in materia fiscale ed assistenziale N°4566 già in discussione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati, il Governo sarà delegato ad emanare provvedimenti tali da determinare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per l’anno 2012 e per 20 miliardi di euro a decorrere dal 2013".
E intanto "circa il 6% delle famiglie italiane si impoverisce, di cui il 4,1% sostiene le cosiddette spese catastrofiche, cioè quelle che superano il 40% della capacity to pay. Specialistica, cure odontoiatriche, disabilità, farmaci, non autosufficienza sono le voci di maggior spesa".

E i bisogni assistenziali delle famiglie italiane, come illustrato da Carla Collicelli, vice direttore del Censis, sono consistenti e in crescita, basta considerare il trend di invecchiamento della popolazione. Da un’indagine del Censis emerge che il 30,8% delle famiglie italiane oggi abbia una situazione che configura carico assistenziale per la famiglia: nel 9,3% c’è un bambino in età scolare e nel 20,1% un minorenne, nel 6,9% delle famiglia c’è un anziano non autosufficiente o un adulto con disabilità assistito a casa. Tuttavia il contributo pubblico al sostegno è in costante diminuzione e registra anche forti variabilità territoriali: per l’assistenza agli anziani la spesa media procapite dei Comuni è di 117 euro, ma con quote che passano dai 165 nel Nord-Est a 59 euro nel Sud. In generale, per le situazioni di disagio (anziani, disabili, minori…) nel 2008 i Comuni hanno speso in media 111 euro pro capite, pari a 6,7miliardi in totale, lo 0,42% del Pil.
E così “è la sussidiarietà a far fronte a queste situazioni”, afferma Collicelli spiegando che i bisogni legati alla disabilità e alla non autosufficienza vengono fronteggiati soprattutto da mogli e madri (36,8% dei casi), a cui si aggiungono figli che ritardano l’uscita da casa (6%) e soprattutto aiuti a pagamento (28,2%). Ma tutto questo pesa sulle tasche delle famiglie. Tanto che, secondo Collicelli, si può affermare che “la sanità è salvata dalla famiglia” sia in termini di prestazione assistenziale che di costi, dal momento che la spesa annua privata, secondo i dati del Censis, è di 958 euro all’anno, che salgono a 1.418 per le cure odontoiatriche.
In particolare, il 70,9% delle famiglie paga di tasca propria i farmaci acquistati (a prezzo pieno) in farmacia. D’altra parte, spiega Collicelli, “il farmaco è diventato un ammortizzatore sanitario”, come dimostra il fatto che il consumo di medicinali, secondo i dati 2011 del Censis, è ad esempio cresciuto del 21% nel Lazio, del 13% in Sicilia e del 9% in Campania nonostante l’indice di vecchiaia in queste Regioni sia rispettivamente di 134,1, di 104,1 e di 81,9, a fronte del 240,1 della Liguria e del 185,3 del Friuli Venezia Giulia che, tuttavia, hanno registrano una diminuzione del consumo di farmaci rispettivamente del 3 e del 6%.
Intanto anche l’apporto del volontariato è in calo: oggi rappresenta il 6,6% dei care giver contro il 7,9% del 1983 e il 5,6 del 1998.

Come fronteggiare questa situazione? “Valorizzando i finanziamenti aggiuntivi e le risorse spontanee a integrazione di quelle pubbliche e private”, risponde Collicelli. Secondo Labate, "per troppi anni non si è affrontato nel nostro Paese il disegno di dar vita a ciò che la Riforma ter della sanità del 1999 aveva previsto all’art, 9 e che la legge 328 di riforma dell’assistenza aveva previsto all’art. 26. La necessità di attivare un secondo pilastro di finanziamento della Sanità, attraverso i Fondi sanitari integrativi e la mutualità volontaria".

Per Mastrobuono occorre intervenire rapidi “da attuarsi parallelamente agli interventi di ‘moralizzazione’ dell’assistenza”, afferma prendendo a prestito il termine utilizzato nel disegno di legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale e che, spiega, “che consiste nel convertire i contributi monetari o parte di essi (l’indennità di accompagnamento, pensione di reversibilità) in servizi, utilizzando la rete dei partecipanti al terzo settore (fondi integrativi, volontariato, cooperative) con il contributo dell’imprenditoria for profit. Se è vero – ha continuato - che allo stato attuale in Italia sono presenti 242.028 posti letto residenziali e semiresidenziali (Anaste 2011) a fronte di un fabbisogno (su valori internazionali) di 496.198 (dati Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei LEA- 2007), che l’ADI viene erogata a 385.348 anziani  (22 ore di assistenza su base annua-dati Ministero della salute 2007) a fronte di un fabbisogno almeno pari al 6%, e cioè 870.000 assistiti (ad almeno 8 ore a settimana, come da valori internazionali), la conversione di quote delle prestazioni in moneta in servizi consentirebbe di avviare un sistema in grado di offrire in breve tempo una risposta ai maggiori bisogni della popolazione e delle famiglie (non più sole ad affrontare i problemi), contribuendo all’occupazione di 500.000 persone. Tagli, dunque, non lineari ma finalizzati ad una crescita di sistema che consenta di veicolare le riduzioni alle indennità reimmettendo una parte di esse nel sistema Paese attraverso i fondi integrativi sanitari e sociosanitari, consentendo investimenti nel settore dell’edilizia e nuova occupazione”.
“È giunto il tempo – ha dichiarato Mastrobuono - per completare il quadro normativo dei fondi integrativi: l’obiettivo finale è quello di sviluppare una rete integrata tra pubblico e privato quale passaggio fondamentale per dare impulso ad un modello italiano di ‘big society’, orientato alla responsabilizzazione dei cittadini ed alla mutualità solidaristica”.
 
"Non mancano - ha concluso Labate - proposte, idee riformatrici, che non smarriscono l’universalità del sistema, ma che si sforzano di coniugare secondo una cerniera di coerenza, il ruolo delle istituzioni pubbliche, la sussidiarietà orizzontale e verticale, un vero federalismo e decentramento dei diritti di cittadinanza costituzionalmente protetti, il pilastro della fiscalita generale con pilastri collettivi di socializzazione dei rischi, per allargare l’esigibilità dei diritti e renderli aderenti alla domanda di un moderno welfare, in cui nascere ed invecchiare deve poter essere un binomio accompagnato da una migliore qualità della vita per tutti".
 
Lucia Conti

18 novembre 2011
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