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I documenti congressuali/11. La sanità del sud


17 GIU - Non è possibile pensare alle regioni meridionali in “piano di rientro” alcune “commissariate” come un unicum, ma sicuramente alcune radici socio-politiche comuni esistono.
Nel meridione l’assistenza sanitaria è stata spesso interpretata come propaggine di un potere politico che eroga servizi sanitari, non è mai stata sentita dagli utenti come un diritto inalienabile legato all’essere “cittadino”. È mancato quello che in altre parti del paese potremmo definire “controllo democratico sull’utilizzo delle risorse pubbliche in sanità”.
In questo contesto è stato facile per politici ed operatori creare negli anni una sanità a loro immagine e somiglianza dove spesso l’obiettivo della cura del paziente era subordinato a quello della conservazione del potere dei singoli.
Il fatto che le Regioni in piano di rientro hanno avuto un unico interlocutore ministeriale, il così detto “tavolo Massicci”, ha reso sostanzialmente sovrapponibili i modi e i limiti assistenziali imposti da questo. I tempi sono stati ovviamente diversi, in quanto differenti erano le situazioni economiche di partenza e diversa è stata la capacità politica di interpretare i piani stessi.
 
Un po’ tutte le regioni del sud hanno ultimamente vantato grandi successi economici, a fronte però del fatto che circa la metà degli italiani, quelli che rappresentano la parte più povera di economia produttiva ed occasioni di lavoro, hanno un ridotto o ridottissimo accesso ai LEA. Nel mentre sono le stesse Regioni (quelle meridionali) che finanziano, attraverso la mobilità passiva, le Regioni che hanno investito nel così detto “turismo sanitario”. Intendiamoci, la classe medica ha spesso assecondato, per i più vari motivi, il patologico strutturarsi di situazioni funzionali ad interessi politici o più banalmente personali, e di questo il nostro sindacato se ne è fatto interprete denunciando le situazioni, pure a scapito di sporadiche perdite di consenso sindacale.
 
Un’altra nota metodologica negativa è senza dubbio quella di affidare la gestione commissariale agli stessi presidenti delle Regioni commissariate, cosa che spesso ha addirittura portato all’emanazione di leggi contrarie alle norme nazionali ed ai dettami dei piani di rientro tanto da essere spesso giudicate incostituzionali.
Negli ultimi anni è comparsa la parola magica “spending review”. Però non bisogna confondere la spending review con i piani di rientro, anche se le cose sono temporalmente coincise. Dal nostro punto di vista la spendin review rappresenta un’occasione e quindi una opportunità, in quanto negli anni che verranno dovremo necessariamente spendere di meno e quindi spendere meglio mentre paradigma dei piani di rientro sono stati i tagli lineari soprattutto a carico della spesa per il personale, con la creazione di vere e proprie voragini assistenziali. È oggi opinione comune che i tagli lineari alla spesa fanno più danni dei risparmi che producono. Noi dobbiamo tendere, realisticamente, ad una spending review trasformativa, che guarda alle esigenze dell’utenza, alla qualità dei servizi, alla semplificazioni delle procedure, alla reingegnerizzazione dei processi.
Il sindacato in questo non deve tenere una posizione di retroguardia, deve avere il coraggio di innovare, essere “trasgressivi”, rompere gli schemi di organizzazioni e metodologie consolidate.
Oggi vi sono grandi movimenti di protesta in alcune regioni del sud come quelli dei colleghi A.O. dell’Annunziata di Cosenza, come vi è un diffuso profondo disagio generale legato al perdurare del blocco delle assunzioni, del precariato ingovernabile, della mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro, all’opinione negativa che spesso la stampa alimenta con pervicace scandalismo e per tanto altro ancora.
 
La politica dà risposte parziali o non ne dà affatto e spesso ritiene di trovare le soluzioni delegando alla sanità privata quello che non riesce a realizzare nel sistema pubblico, alimentando una deriva privatistica che di fatto snatura e svilisce la migliore tradizione di servizio pubblico nazionale.
Il sud è ancora malato di “ospedalecentrismo”, inventa ogni possibile forma di pseudo trasformazione per non chiudere e riconvertire piccoli ospedali. Manca la cultura e la volontà per un reale sviluppo dell’assistenza territoriale che sottragga all’ospedale l’onere di un’assistenza di primo livello, tipica del territorio avanzato.
Bisognerebbe portare sul territorio le migliori professionalità e le migliori attrezzature attivando sale operatorie, diagnostica strumentale qualificata, day service medici e chirurgici, ambulatori medici e chirurgici attrezzati al fine di trasferire l’utenza dalle strutture ospedaliere a quelle territoriali.
L’Ospedale insomma deve essere sempre di più il luogo dell’acuzie e di una organizzazione a questa finalizzata.
 
Il territorio deve invece aprirsi alla sfida delle cronicità, del recupero funzionale, della prevenzione e dell’urgenza di primo livello. Le formule sono tante, e questa non è la sede per esaminarle, ma il nostro sindacato non può e non deve sottrarsi alle sfide ed alle soluzioni che questo tempo richiede, anche, talvolta “osando” ed utilizzando tutte le migliori esperienze che Regioni più attente e lungimiranti delle nostre hanno adottato o sono in procinto di adottare.
In politica come nel sindacato è forse il tempo di limitare le spinte regionaliste per ricercare la migliore sintesi possibile tra le specificità regionali e l’esigenza di un autorevole governo nazionale a garanzia dei LEA sanitari.
 
A cura del Gruppo di lavoro: Giuseppe D’Auria, Gianluigi Scaffidi, Santo Monastra, Alessandro Falzone, Bruno Zuccarelli
 
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17 giugno 2014
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