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La sanità in piazza contro la “stupidità” di questi tagli

di Ivan Cavicchi

Per me aderire alla manifestazione nazionale del 27 ottobre è come ribellarmi alla stupidità gratuita di chi non sa niente di medicina e di sanità, cioè ai modi insipienti di perseguire gli obiettivi di risparmio facendo strage di diritti, di conoscenze, di saperi, di esperienze, di umanità

11 OTT - Ho già dichiarato su questo giornale le ragioni della mia adesione alla manifestazione dei medici organizzata per il 27 ottobre (QS 7 agosto).Torno sull’argomento per ringraziare e sostenere nel mio piccolo i medici che si fanno carico di una questione che certamente li colpisce nelle carni ma che è “questione generale”, e per guardare le cose in faccia senza nasconderci né le difficoltà né i rischi, che stiamo correndo. 
 
Siamo in una situazione politica difficile dove è improbabile, almeno nel breve periodo, cambiare gli orientamenti del governo, tuttavia tra pochi mesi vi sarà una scadenza elettorale importante che ci chiede proposte, idee, progettualità. In ogni caso, crisi o non crisi, dobbiamo contrastare delle politiche economiche inaccettabili, regressive, incivili che pretendono di riscrivere le regole dell’esercizio della medicina nel nostro paese.
Il tratto che più mi colpisce di queste politiche non è la loro brutalità finanziaria che pure è ragguardevole, ma la loro stupidità. La logica lineare è una logica elementare, semplicistica, banale che si spiega solo dentro una visione burocratica e contabilistica del mondo. Vi sono altre logiche, quelle discrete, che senza nulla togliere agli obiettivi di contenimento finanziario possono risolvere il difficile rapporto tra diritti, risorse e professioni. Peccato che esse siano estranee a questo governo.
 
Per me aderire alla manifestazione del 27 ottobre è come ribellarmi alla stupidità gratuita di chi non sa niente di medicina e di sanità, cioè ai modi insipienti di perseguire gli obiettivi di risparmio facendo strage di diritti, di conoscenze, di saperi, di esperienze, di umanità. Tutti sono capaci di distruggere diritti e tradizioni professionali per far quadrare i conti. Non tutti sono capaci, come ha sottolineato di recente il presidente Napolitano, di far quadrare i conti nel rispetto dei diritti civili e professionali.
La manifestazione è un atto doveroso da parte dei medici e, mi dispiace sottolinearlo, dovrebbe esserlo anche per tutte le altre professioni che lavorano nella sanità. Se si mancano certi appuntamenti poi diventa difficile non diventare “operatori invisibili”. Oggi si chiede implicitamente ai medici di non essere più medici, ma anche agli infermieri di non essere più infermieri, cioè di derogare per ragioni economiche dalla loro ortodossia e dalla loro deontologia.
E’ questa pretesa assurda, a fare dei tagli lineari, un gigantesco problema bioetico, scientifico e finanziario. Quindi una questione generale. Se è vero, a proposito dell’Ilva, che la salute è un valore intangibile, e se è vero che l’Ilva e la spending review compromettono questo valore non si capisce perché la prima è condannata e la seconda no. Che senso ha il diritto alla salute senza un welfare sanitario? E che senso ha un welfare sanitario senza operatori capaci autonomi e responsabili?
 
Questo è il senso dello slogan della manifestazione “diritto alla salute e diritto di curare” che mi sento di sottoscrivere in pieno. Ciò detto dico ai medici “guardiamoci nelle palle degli occhi”: la manifestazione serve come il pane ma deve aprire un serio lavoro di progettualità. Non dobbiamo e non possiamo fare la fine che ha fatto la prima “conferenza nazionale della professione medica” ( Fiuggi giugno 2008) che si concluse con delle “dichiarazioni di consenso” disperse nel vento.
 
In quella occasione e comunque con pesanti ritardi abbiamo compreso tutti come particolarmente il medico, ma non solo lui, si trovi da tempo tra un inedito cambiamento epocale (post modernità) che gli richiede dei ripensamenti , e la crisi di sostenibilità economica dei sistemi di welfare (post welfarismo) che gli condiziona l’esercizio della professione. Il medico oggi le prende sia dalla postmodernità che dal postwelfarismo. Da una parte è perseguitato dal contenzioso legale fino ad essere costretto a rifugiarsi nella medicina difensiva, dall’altra con le limitazioni economiche la sua prassi è condizionata al punto tale da mettere seriamente in discussione ortodossia e deontologia.
 
Oggi la spending review è semplicemente una esasperazione di questa vecchia storia. Ma insisto, se la mobilitazione non sarà sostenuta da una adeguata progettualità, essa rischia di rivelarsi come una drammatica testimonianza di impotenza. Ai tagli lineari si deve rispondere con fermezza ma accettando le sfide del nostro tempo. Non si vince la battaglia per il futuro restando nel passato. Sappiamo come eravamo, dobbiamo chiarire come vogliamo essere. La spending review è una politica negativa che trasforma le cose nel loro contraddittorio: la regione in non regione, l’azienda in non azienda, il pubblico in non pubblico, la solidarietà e l’equità in non solidarietà e non equità, e quindi i medici in non medici. “Non medici” significa avere “non diritti”. Tutto qua.
 
Ivan Cavicchi 

11 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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