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Morti e assistiti. Bartoletti (Fimmg): “Colpa delle Regioni, non del medico”


La truffa più vecchia del mondo e l’ultimo caso è avvenuto a Roma, con 9 medici di famiglia accusati di aver incassato i soldi per assistere e prescrivere farmaci a pazienti già morti da un pezzo. Ma i medici si difendono: “Aggiornare l’elenco degli assistiti spetta alla Regione, che deve cancellare i defunti su segnalazione dei Comuni”. Su questa truffa, che sa molto di film in bianco e nero ma che costa un sacco di soldi al Ssn, abbiamo intervistato Pier Luigi Bartoletti, segretario del Lazio della Fimmg.

10 DIC - Erano morti, anche da più di 3 anni, ma continuavano ad essere assistiti dai medici di famiglia, con una spesa da parte dell’erario di circa 200 milioni di euro tra emolumenti diretti nelle buste paga dei medici e rimborsi per farmaci che i pazienti, ormai defunti, non potevano più utilizzare. Per questa ragione 9 medici di Roma e dintorni sono stati denunciati all’autorità giudiziaria e alla procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti con l’accusa di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale. Insieme a loro anche alcuni funzionari pubblici delle Asl che avrebbero dovuto vigilare sulla corrispondenza e l’aggiornamento degli elenchi dei pazienti.
Si tratta dell’ultimo caso, ma fatti simili si sono susseguiti negli anni un po’ in tutte le Regioni di Italia. Una vecchia truffa che però riesce sempre. Almeno per qualche tempo. Come è possibile? E se c’è una falla nel sistema che permette ai medici di “nascondere i cadaveri”, perché lo Stato non ha messo in campo gli strumenti più efficaci per tenere d’occhio la corrispondenza tra gli elenchi degli assistiti e i decessi?
Quotidiano Sanità lo ha chiesto a Pierluigi Bartoletti, segretario regionale Fimmg Lazio.

Dottor Bartoletti, casi come quelli di Roma si verificano ormai da diversi anni, in tutte le Regioni. È così facile per un medico “nascondere un cadavere”?
No, non lo è, perché la denuncia di morte passa attraverso i familiari e, in certi casi, le forze dell’ordine e altri organi predisposti. Il fatto è che non spetta al medico aggiornare l’elenco degli assistiti e cancellare i pazienti defunti. Se muore un paziente, io posso solo cancellarlo dal mio archivio, ma gli emolumenti ai medici di famiglia non vengono corrisposti sulla base degli elenchi personali che un medico tiene nel proprio ambulatorio. In parole povere, non è il medico a dire quanti assistiti ha e quindi per quanti deve essere pagato.
Attenzione, però. Bisogna distinguere caso per caso. Sui fatti di Roma non sono noti i dettagli, quindi non so se si tratti o meno di truffa.

A chi spetta aggiornare gli elenchi degli assistiti?
I decessi vengono registrati alle anagrafi comunali sulla base dell'incrocio di informazioni tra il Comune stesso e le Asl. Le informazioni vengono poi trasmesse alla Regione, che aggiorna gli elenchi degli assistiti di ogni medico e corrisponde ad ogni medico gli emolumenti relativi al numero di pazienti che assiste. Esclusi i deceduti, quindi.
Tuttavia succede in continuazione che un medico continui ad essere pagato per un paziente morto. La colpa, però, non è del medico, che non ha alcun potere giuridico per aggiornare l’elenco assistiti. La colpa è dei ritardi dei Comuni e delle Asl, e poi delle Regioni. Perché spetta ad essi aggiornare le anagrafi e gli elenchi dei pazienti.
Lo stesso avviene con le pensioni, che in più di un caso sono state assegnate per anni a persone già morte. E la causa è la stessa: mancata tempestività di raccolta e scambio di informazioni tra gli enti predisposti a questo lavoro.

Sta dicendo che nella maggior parte dei casi il medico percepisce denaro indebito senza tuttavia essere autore di alcuna truffa.
Anzi, è vittima di un sistema inefficiente. Sia perché il medico non può sostituire il defunto con un nuovo paziente, ma anche perché la Asl prima o poi rivorrà indietro i soldi percepiti per un’assistenza non prestata, visto che il paziente era morto. A volte, per evitare di avere dei morti negli elenchi, alcuni medici ricorrono all’espediente di ricusare l’assistito. Ma è un paradosso, non è certo la soluzione al problema.
Ribadisco: se il mio stipendio fosse determinato sulla base della mia autodeterminazione, allora avrei delle colpe a percepire guadagni su un paziente morto, perché denuncerei dati falsi. Ma se il mio stipendio è, come oggi, basato sulla determinazione fatta dai Comuni e dalla Regione, che colpa ho io, che non ho obbligo né potere di aggiornare gli elenchi?
Attenzione, però. Questo non vuol dire che il medico sia sempre innocente. Esistono infatti ambiti in cui è responsabilità del medico fornire informazioni. Ad esempio per le cosiddette prestazioni di “impegno particolare”, come l’Adi. Se il medico percepisce denaro perché afferma di aver erogato prestazioni a un paziente morto, si tratta senz’altro di una truffa. Ma si tratta di un’ipotesi molto diversa dalla precedente.

Nel caso di Roma si parlava anche di false prescrizioni di farmaci. È possibile?
Il dolo è sempre possibile. Ma anche in questo caso esistono tante ipotesi che possono condurre a un’irregolarità senza colpe del medico. Ad esempio, se io prescrivo un farmaco oggi, il paziente muore domani e il giorno successivo la ricetta viene utilizzata, ci sarà senz’altro una mancata corrispondenza tra l’atto prescrittivo e quello di utilizzo della prescrizione. Ma a compiere il reato è chi utilizza una prescrizione destinata a un’altra persona, quella deceduta. Il medico non ha alcuna colpa, perché ha rilasciato la prescrizione per un paziente che in quel momento era vivo e ne aveva bisogno.
Nel ricettario viene segnata la data di emissione e apparirà datata quando la vittima era ancora in vita. Il fatto è che il riscontro si fa sulle informazioni inviate dalle farmacie. Anche in quel caso, quindi, agli organi di controllo apparirà una prescrizione fatta a un paziente morto senza che il medico abbia però compiuto alcuna irregolarità.
I fatti, però, vanno valutati caso per caso. È chiaro che se un medico prende soldi da un’azienda farmaceutica per fare false prescrizioni a nome di un defunto e l’azienda farmaceutica invia poi qualcuno a ritirare i medicinali in farmacia fingendo che siano per il defunto, il reato esiste. C’è, infatti, un indebito arricchimento da un mio comportamento illecito. E su questi casi, anche noi della Fimmg non facciamo sconti.

Dal quadro che disegna, però, si tratta spesso di “false truffe”. Perché, allora, non si pensa a un sistema più efficiente che permetta un aggiornamento tempestivo degli elenchi degli assistiti prevenendo sia gli errori che le truffe?
La Fimmg Lazio ha più volte segnalato il problema alla Regione, ma non è mai stato avviato un confronto sull’argomento. Avevamo chiesto di poter essere noi medici a denunciare il decesso, ma ci hanno risposto che non si può fare. Neanche questo, d’altra parte, risolverebbe totalmente il problema. In alcuni casi, infatti, neanche il medico di famiglia è a conoscenza della morte di un suo assistito.
Ci sono pazienti che vengono nei nostri studi tutti i giorni. Altri che non vediamo mai. Se un paziente giovane e in salute, che non viene mai in ambulatorio, muore in un incidente stradale, il medico potrebbe non sapere mai di aver perso un paziente. In questo caso non resta che aspettare che il Comune trasmetta alla Regione l’aggiornamento dei decessi e che la Regione depenni il paziente dall’elenco del medico.

Dobbiamo quindi rassegnarci ad altri casi di presunta truffa su pazienti morti?
In un sistema come il nostro, questo è un rischio strutturale. C’è un fisiologico ed eccessivo ritardo tra la segnalazione e l’attuazione delle procedure. E questo non vale solo per la sanità.

Ma intanto scattano le denunce…
Questa è un’aberrazione. I procedimenti contro i medici di questo tipo difficilmente vanno avanti, perché se ne esce usando la razionalità, cioè cancellando il defunto dall’elenco e conguagliando al medico la somma percepita nei mesi trascorsi tra il decesso e l’aggiornamento degli elenchi.
 

10 dicembre 2010
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