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Sanità in Europa/2. Reginato (Fems): “Solo in Italia i medici si devono specializzare all'università. Nel resto d'Europa dopo la laurea si va in ospedale”

di E.M.

E' questa una delle differenze più evidenti per i medici italiani rispetto ai colleghi europei. Un gap che contribuisce anche all'alto tasso di disoccupazione della categoria. E per il presidente dei medici specialisti europei è l'Olanda il modello da seguire: "Lì siamo noi a gestire il sistema, non la politica o i burocrati"

13 FEB - Un’Europa comune ma tanti sistemi sanitari diversi. Difficile capire quale sia il modello migliore da seguire. Anche se la formula vincente è quella adottata in Olanda dove la gestione del sistema è affidata ai medici. Un paese che ha raggiunto risultati eccellenti anche sul fronte  dei costi benefici. E l’Italia? Arranca soprattutto considerando che secondo il report dell’Euro Health Consumer che confronta i sistemi sanitari europei siamo scivolati al 20°. Ma non solo, l’Italia deve risolvere al più presto il nodo del percorso formativo dei giovani medici: la formazione deve essere fatta nelle corsie ospedaliere come nel resto d’Europa per diventare realmente competitivi. Di questo e altro abbiamo parlato con il presidente della Fems, Enrico Reginato che ha aperto il Convegno Internazionale “Sanità europea a confronto” organizzato dalla Fems in collaborazione con la Fondazione Pietro Paci e il sindacato dei medici oggi a Firenze.
 
Dottor Reginato, un’ Europa unita, ma a livello sanitario con regole e sistemi differenti. C’è un sistema che più di altri funziona meglio?
In Europa abbiamo due sistemi, il Beveridge e il Bismarck, il primo finanziato dallo Stato attraverso la fiscalità generale, il secondo dalle assicurazioni private.  Non sappiamo quale sia quello che funziona meglio. Ma una cosa la possiamo dire: sicuramente il sistema sanitario che sta dando i migliori risultati è quello olandese. È un sistema bismarckiano, ma è soprattutto un sistema che si è liberato dei “dilettanti”, ossia, politici, manager, amministrativi, ecc. e ha lasciato ai medici la gestione dell’attività del sistema. I Cda sono gestiti dai medici e dagli ospedali stessi. E i risultati si misurano anche dal punto di vista dei costi-benefici.
 
Bene, bisognerà guardare con attenzione all’Olanda. E l’Italia?
In base a una classifica dei servizi sanitari stilata dall’Euro Health Consumer su una serie di variabili come l’accessibilità, out come, costi e dotazioni tecnologiche,  è emerso che l’Italia  sta scivolando sempre di più verso il basso: lo scorso anno eravamo al 14° posto ora ci siamo posizionati al 20°. Se pensiamo che, nel 2000, l’Oms aveva collocato l’Italia al secondo posto al mondo come livello di qualità complessiva del proprio sistema sanitario nazionale, ci rendiamo conto dello stato di sofferenza del nostro sistema.
Ma se l’Italia arranca, ci sono anche nazioni dove la situazione è disastrosa non solo sul fronte economico, ma anche organizzativo. Un esempio su tutti la Slovacchia, qui il personale sanitario non può protestare perché la sanità è considerata come servizio di emergenza nazionale e come tale esentato dalla possibilità di scioperare. I medici possono venire sospesi dalla professione fino a 5 anni. Una situazione che la Fems ha cercato anche di combattere.
 
Ci sono quindi molte disparità…
Sicuramente. Il problema reale è come conciliare l’autonomia di ogni Paese, riconosciuta dai trattati europei, con la mobilità dei pazienti. Su questo fronte ci sono problemi seri. Il paziente che si sposta, paga al Paese dal quale ha ricevuto la prestazione, la tariffa locale e poi viene rimborsato in base alla propria tariffa nazionale. Questo è un punto debole, se l’autorizzazione a farsi curare all’estero è su base solidaristica sarebbe corretto far pagare ai pazienti il costo marginale e non il costo medio della tariffa che comprende tutta una serie di spese accessorie. Se così non sarà, si avrà una libera circolazione solo per chi può permetterselo.
 
Torniamo all’Italia. Quanto siamo competitivi rispetto al resto d’Europa?
La sanità Italiana, nonostante le tante criticità è indubbiamente eccellente. Ma abbiamo un problema che ci  differenzia dal resto d’Europa. Ogni anno abbiamo circa 10mila laureati. Peccato che i posti per la specialistica siano poco più di cinquemila. C’è quindi un numero elevatissimo di persone che rimante tagliato fuori e non ha prospettive lavorative. Inoltre in Italia, l’unico modo per entrare in ospedale è avere già la specializzazione che si acquisisce solo attraverso le Università.  Un imbuto demenziale anche perché nel resto di Europa i medici una volta laureati si formano direttamente nelle corsie ospedaliere.  Pensiamo che i nostri chirurghi nel corso della specializzazione corrono il rischio di non riuscire neanche ad entrare in camera operatoria. Il risultato? Vuoti formativi che lo rendono meno competitivo con i colleghi europei.  In sostanza, la specializzazione si trasforma in un'enorme area di parcheggio per i giovani che imparano poco e vengono poi gettati nel mercato del lavoro costretti a ripartire da zero imparando a lavorare in ospedale. Questo è un problema enorme. Produciamo la metà degli specialisti necessari, e quelli che si sono specializzati hanno carenze formative perché sono tenuti lontani dalla vita ospedaliera. Come potrà quindi realizzarsi una libera circolazione dei professionisti se non saniamo questo aspetto?
 
Un altro problema comune a tutta Europa è la carenza di medici...
Certamente. Sarà una grande criticità. Nel 2020 è previsto un calo di fabbisogno di medici, infermieri e dentisti del 13% per ognuna di queste aree. Consideriamo che in Francia il 24% dei medici in ospedale è straniero. In Germania è stata messa in piedi un’organizzazione tedesco indiana per far arrivare i medici dall’India.
 
Ester Maragò

13 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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