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Congresso Aio. Intervista al presidente Pierluigi Delogu. “L'Italia deve rivedere i percorsi formativi. L'abusivismo non è il problema principale”

di Gennaro Barbieri

Parte domani a Cagliari il congresso dell'Associazione italiana odontoiatri. Il presidete affronta i temi caldi della professione, in primis la formazione: “In Italia non è diffusa e radicata l'altissima qualità”. Ma gli sta a cuore anche smentire quello che giudica un luogo comune sempre più dannoso: “L'abusivismo non può essere il punto di partenza di ogni ragionamento. Le cifre generalmente discusse cozzano con i numeri dei Nas”.

10 GIU - La formazione da rinforzare in Italia per poterci confrontare con le altre realtà europee dotati di maggiore competitività . E poi il fenomeno della cosiddetta "pletora", con un'offerta che è cresciuta in modo esponenziale a fronte di una domanda compressa dalla recessione degli ultimi anni. Una dinamica che ha generato effetti devastanti, soprattutto per i giovani professionisti e per la qualità delle prestazioni erogate. Pierluigi Delogu, presidente dell'Associazione italia odontoiatri (Aio), ha analizzato a 360 gradi questi e altri passaggi nodali, proprio alla vigilia del 27° Congresso nazionale e 8° Congresso internazionale. 
 
Quali sono i temi congresso su cui avete costruito l’organizzazione del vostro congresso?
I lavori si preannunciano un grande successo, poiché la preparazione è durata oltre due anni ed è stata imperniata su un’idea nuova di congresso legata soprattutto all’internalizzazione. Non a caso la lingua ufficiale è l’inglese e ai partecipanti verranno riconosciuti anche i crediti previsti dalla Formazione continua statunitense. Nel complesso parteciperanno colleghi provenienti da tutto il pianeta: Argentina, India, Nepal, Iran, Tunisia, Turchia, Repubblica Ceca, Libano, Germania, Spagna, Francia e via dicendo. Il tema della formazione sarà centrale e, in particolare, verrà sottolineata la necessità di rendere omogenei i percorsi . In Italia possiamo vantare infatti delle eccellenze in campo odontoiatrico, ma spesso fatichiamo a diffondere e a radicare una formazione uniforme di altissima qualità. E’ questo il nodo per vincere il confronto con tutti gli altri Paesi europei. Rivedere l’iter formativo del nostro Paese è diventata quindi una priorità non più rinviabile.

Il vostro slogan è “meno ingegnere più medico". Come nasce?
Lo slogan parte dall’idea di rivedere l’organizzazione sanitaria in ambito odontoiatrico, puntando in maniera convinta sulla prevenzione. L’idea è quindi quella di interagire con la parte governativa su questo aspetto, partendo da dati e da proposte concrete. A livello ministeriale abbiamo ottenuto finalmente l’avvio di un’indagine epidemiologica, in campo odontoiatrico, su scala nazionale. Il nostro settore non può più essere considerato la cenerentola della medicina, poiché gli stili di vita corretti che proponiamo noi sono gli stessi che consentono la prevenzione di tante altre patologie come diabete, malattie cardiovascolari e oncologiche. La salute orale produce effetti su tutto l’organismo e costituisce la sentinella dello stato in cui versa l’individuo.

Come definirebbe il vostro rapporto con i medici del territorio e con le altre professioni, per esempio igienisti e odontotecnici?
Abbiamo proposto dei documenti da sottoscrivere e condividere alla Fimmg, al Sumai, alla Fimp per creare una rete di collaborazione che metta al centro il paziente nella sua generalità. In questa l’ottica possiamo parlare di passaggio da odontoiatra a medico-odontoiatra. Campagne e percorsi condivisi con medici di base e pediatri devono riguardare, in primis, la prevenzione attiva su popolazione infantile e over 65. La nostra apertura è massima e anche da parte loro abbiamo registrato un ottimo spirito collaborativo per consolidare azioni efficaci e durature. Dall’altra parte nutriamo assoluto rispetto e stima verso le persone che collaborano con noi per raggiungere gli obiettivi di salute orale, quindi certamente anche igienisti e odontotecnici. E’ però opportuno che ognuno tuteli la propria peculiarità affinché, all’interno del proprio ruolo, tutti contribuiscano a costruire quell’odontoiatria di eccellenza di cui il Paese ha assoluto bisogno.

Abusivismo e pletora sono considerate due enormi spine nel fianco della vostra professione. Come fronteggerebbe queste criticità?
In questa fase la pletora sta producendo effetti interconnessi alla crisi generale: è aumentata l’offerta proprio mentre si registrava una fase di contrazione della domanda dovuta alla crisi. Tale dinamica incide notevolmente sulla qualità delle prestazioni erogate. I colleghi che non trovano sbocchi, dovendo fronteggiare grosse difficoltà, oggi cercano infatti di barcamenarsi in situazioni non proprio al top della correttezza e magari cedono alle lusinghe di catene di low cost oppure di franchising che li cooptano pagandoli cifre irrisorie e obbligandoli a lavorare al limite dell’etica e della deontologia. L’abusivismo è invece una questione certamente rilevante, ma non può essere considerato il centro dei problemi attuali dell’odontoiatria a meno che non si semplifichi in maniera estrema il quadro. Quando si tratta il tema si citano infatti numeri biblici circa gli abusivi mentre, al contrario, le cifre dei Nas si collocano sotto la soglia dei mille l’anno. Non riesco quindi a capire come si possano mettere assieme tali dati. Le alternative sono quindi due: c’è un’omertà di fondo da parte di chi deve vigilare nella professione su questo aspetto oppure i dati diffusi sono artatamente confezionati per ragioni di campagne mediatiche. In nessun altro Pase del mondo si inizia a parlare di odontoiatria ponendo il tema dell’abusivismo in cima all’agenda.

Ritiene che la Cao stia difendendo adeguatamente la professione?
La Cao dovrebbe svolgere una funzione istituzionale e non politica, garantendo quindi un operato super partes che sia anche una sorta di autogoverno della categoria. In questo senso non sono più rinviabili alcuni punti salienti: prima di tutto far rispettare in modo ferreo le regole di accesso alla professione. La Cao deve poi monitorare con assoluta attenzione il fenomeno della pubblicità sanitaria, perché non è più accettabile un atteggiamento compromissorio. La pubblicità in sanità distrugge infatti la corretta impostazione della salute per i cittadini e spesso si creano bisogni inesistenti, creando un forte disorientamento generale. La Cao è l’organismo che deve fare la voce grossa su questo tema, non cercando alcun tipo di scappatoia come a volte è capitato. Basti pensare che la pubblicità sanitaria è vietata in realtà come Belgio, Romania, Portogallo. Se vogliono, possono quindi intervenire realmente, anche a costo di ricevere determinate sanzioni. Serve una volontà solida e decisa.
 
Gennaro Barbieri
 


10 giugno 2015
© Riproduzione riservata

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