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Medici e pubblicità. Conte (Fnomceo): “Nel nostro paese è preminente il diritto alla salute o quello alla concorrenza ed al libero mercato?”

di Luigi Conte

La pubblicità non mina la deontologia, ma sgretola le basi su cui si sviluppa il ragionamento etico che la supporta. Rende difficile mantenere l’integrità e l’autonomia professionale. E per questo le norme deontologiche tutelano la salute pubblica indicando le caratteristiche del messaggio pubblicitario sanitario senza le quali può essere messo a rischio l’esercizio di una scelta libera e consapevole della persona

30 LUG - L’Ordine dei medici è un soggetto pubblico che opera in forza di pubbliche attribuzioni e questa sua natura istituzionale non viene certamente meno se l’Antitrust considera l’Ordine un’associazione d’impresa sulla base della sua normativa. La Fnomceo è una Pubblica Amministrazione ed è un Ente Pubblico riconosciuto dalla giurisprudenza (C.Cost. 3.11.2005 n.405; Cass. SS.UU. 12.3.2008 n. 6534; CdS 21.8.2006 n. 4859).
 
In particolare, la FNOMCeO è un ente pubblico non economico istituito con atto normativo primario che svolge attività a carattere pubblicistico ed opera con strumenti pubblici sotto la vigilanza del ministero della Salute. Funzione primaria della FNOMCeO per specifica attribuzione dell’art. 15 del DLCPS 233/46, mai modificato, è “la conservazione del decoro e dell’indipendenza della professione medica e della professione odontoiatrica”. Essa persegue inoltre interessi generali a tutela del bene salute.
 
Ma l’Antitrust dice che il riferimento alla conservazione del decoro professionale rappresenta un’intesa restrittiva alla concorrenza.
L’azione della FNOMCeO si esplicita mediante atti amministrativi, provvedimenti, atti generali, e regolamenti, tra i quali si ascrive il Codice di deontologia medica. La natura di atto amministrativo posseduta dal codice è anch’essa unanimemente riconosciuta dalla giurisprudenza.
Fatta questa premessa utile a riconoscere valore giuridico al Codice di Deontologia Medica e ribadire la necessità di coerenza di comportamento e giudizio tra pubbliche amministrazioni entriamo nel merito delle regole e caratteristiche all’interno delle quali deve e può prendere corpo la pubblicità informativa sanitaria.
 
Il Codice di deontologia Medica 2014, agli articoli 55, 56 e 57, recita:
Art. 55 Informazione sanitaria
Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.
Il medico, nel collaborare con le istituzioni pubbliche o con i soggetti privati nell’attività di informazione sanitaria e di educazione alla salute, evita la pubblicità diretta o indiretta della propria attività professionale o la promozione delle proprie prestazioni.
 
Art. 56 Pubblicità informativa sanitaria
La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto esclusivamente l’attività professionale, i titoli professionali e le specializzazioni, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.
La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i principi propri della professione medica, dovendo sempre essere prudente, trasparente, veritiera, obiettiva, pertinente e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria ed è verificata dall’Ordine professionale competente per territorio.
Al medico e alle strutture sanitarie pubbliche e private non sono consentite forme di pubblicità comparativa delle prestazioni.
Il medico non deve divulgare notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo sanitario non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico, in particolare se tali da alimentare infondate attese e speranze illusorie.
 
Art. 57. Divieto di patrocinio a fini commerciali 
Il medico singolo o componente di associazioni scientifiche o professionali non concede patrocinio a forme di pubblicità promozionali finalizzate a favorire la commercializzazione di prodotti sanitari o di qualsivoglia altra natura.
 
Cominciamo a distinguere tra informazione (notizia, dato o elemento che consente di avere conoscenza più o meno esatta di fatti, situazioni, modi di essere riguardanti la salute del singolo e della collettività) e pubblicità (nell’accezione di divulgazione, diffusione tra il pubblico. In particolare, l’insieme di tutti i mezzi e modi usati allo scopo di segnalare l’esistenza e far conoscere le caratteristiche di prodotti, servizi, prestazioni di vario genere predisponendo i messaggi ritenuti più idonei per ...esiste anche la pubblicità commerciale che è ogni forma di comunicazione volta a promuovere la vendita di beni o la prestazione di servizi da parte di un operatore economico).
 
Trattandosi di tema attinente un diritto costituzionalmente tutelato e definito fondamentale, appare legittimo stabilire regole precise e stringenti che non lascino libertà interpretative,
L’Informazione sanitaria corrisponde all’offerta di notizie utili e funzionali per il bene salute delle persone, consentendo loro di scegliere consapevolmente quali competenze professionali corrispondono ai loro bisogni, di essere aggiornati sui progressi delle conoscenze scientifiche praticamente utilizzabili e sulle possibili alternative di cura offerte dalla moderna tecnologia sanitaria. Ecco il senso della specifica aggettivazione: accessibile (facilmente ottenibile e comprensibile), trasparente (non inquinata da interessi diversi dal conseguimento della cura migliore del malato), rigorosa (che risponda alle migliori regole dell’arte medica) e prudente (che non determini attesa impossibili o che non lascino adito alla speranza). Non è consentito l’utilizzo di fraseologia generica e termini miracolistici utili solo ad attrarre l’attenzione e l’interesse del cittadino o che dichiarino comparazioni non documentate e/o documentabili.
 
La definizione di pubblicità informativa sanitaria riesce da subito a delineare che per quanto consentita, anche nella sua accezione di pubblicità commerciale, deve in ambito sanitario  essere informativa. Ed a tal proposito va ricordato che la Conferenza Internazionale degli Ordini dei Medici Francesi, a Parigi nel 1994, a proposito della pubblicità dei medici, precisò con grande chiarezza, ed in termini ancora attuali ed utili per legislatore e medici, che “l’esercizio della professione non è un’attività artigianale né commerciale. Il medico, sia dipendente sia libero professionista, può rendere noti al pubblico la propria formazione di base e specialistica e gli altri elementi necessari all’informazione dei pazienti nel rispetto dei principi stabiliti dall’Ordine nazionale (o similari) e dalla legge. Tale informazione va chiaramente distinta dall’annuncio pubblicitario di carattere promozionale che rischia di trarre in inganno i pazienti e che è considerato non conforme all’etica dei medici in tutti i paesi europei…”.
 
Nella nostra attuale società tutto è commercio e la concorrenza è sempre più esasperata.  Questo viene ritenuto utile a garantire costi bassi ritenendo che poi possa essere il cittadino a stabilire la qualità del bene o della prestazione. Questo principio condivisibile per le merci ed i relativi servizi appare poco adattabile alla tutela della salute che ha come esito negativo la malattia o la morte. Gli aspetti economici e commerciali stanno avendo il sopravvento su valori fondanti il vivere civile e la coesione sociale ed anche nel mondo sanitario una doverosa informazione sanitaria sta lasciando il posto alla pubblicità commercial-sanitaria. Ed il Segretario Generale della Federazione Concessionarie Pubblicità, Billy Fratteschi, riconosce che “la professione del medico è affare troppo serio per poter essere promosso attraverso messaggi paragonabili alla pubblicità dedicata alla vendita di un prodotto di largo consumo o di un servizio generico. La professione del medico richiede una serietà nell’approccio e una cura alla salute del paziente che difficilmente si adatta ai messaggi che tradizionalmente siamo abituati a vedere veicolati sui mezzi dedicati al grande pubblico. [……] La qualità del servizio offerto deve essere al centro del messaggio, sottolineando il rischio della diminuzione di qualità del servizio legata alla diminuzione esasperata del suo costo. […..] La comunicazione di un Servizio Sanitario deve basarsi soprattutto sulla diffusione dei VALORI di qualità del servizio, ricordando che un’esasperata diminuzione dei costi comporta obbligatoriamente una perdita della qualità. Pertanto non di commercializzazione si deve parlare ma di comunicazione di conoscenza.”
 
Ecco il senso della indicazione delle caratteristiche della pubblicità proposte dal Codice di Deontologia a tutela della salute dei cittadini.
La dizione “Pubblicità informativa sanitaria” può a taluno apparire ambigua per il tentativo di far convivere l’informazione sanitaria con le sue caratteristiche con il termine pubblicità nella sua accezione corrente di pratica pervasiva e suggestiva di mercato, libera concorrenza, procacciamento di clienti, induzione di bisogni e marketing adatta a qualsiasi bene di consumo.
 
L’aggettivazione informativa alla pubblicità è una specificazione che vuole privilegiare il valore e la qualità del termine “sanitario”, i dati e le informazioni, ai quali subordinare il primo termine, gli strumenti e i modi impiegati per la loro trasmissione. La tecnologia della comunicazione, infatti, anche se non neutrale, non è di per sé stessa buona o cattiva, ma sono i contenuti, gli scopi e i modi dei messaggi scelti dagli utilizzatori a determinarne o meno il valore e il significato.
 
L’Ordine dei medici non ha mai ignorato, nel corso della sua lunga storia, l’importanza deontologica di un’informazione etica dei sanitari, e ha vigilato, nei limiti del possibile, affinché il medico non ricorresse a messaggi scorretti, ambigui o ingannevoli, causa di gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini, di disdoro per l’immagine della professione e di illecita concorrenza da parte degli abusivi o tra colleghi. (Pagni, 2007)
 
Superato con la Bersani l’obbligo autorizzativo preventivo della pubblicità sanitaria in capo all’Ordine resta in capo agli Ordini l’obbligo di verificare che le informazioni degli iscritti siano scientificamente corrette e veritiere. D’altra parte è altrettanto vero che il cambiamento del paradigma dalla malattia alla salute ed al benessere ha favorito l’ingresso in campo di altri numerosi attori, esterni alla professione, nel campo della pubblicità sanitaria commerciale. “Infatti i cospicui investimenti delle industrie parasanitarie nell’organizzazione di messaggi promozionali pubblici (non propriamente falsi, ma spesso privi di riscontri scientifici),destinati al cosiddetto “salutismo” dei cittadini (che si vogliono capaci di discernere l’affidabilità o meno dei messaggi che ricevono, in una contrattazione che , tuttavia, rimane inevitabilmente asimmetrica), non mancano di creare nei destinatari attese difficilmente controllabili, falsi bisogni, sconcerto, suggestioni e credenze, sfiducia nei confronti della comunità scientifica e, qualche volta, anche danni alla salute”. (Pagni)
 
“In questa cornice si può ben capire che la sanità è comunque un mercato dove la domanda può essere fortemente influenzata dall’offerta, quindi con grandi potenzialità di profitto. Si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine talvolta non necessarie se non addirittura nocive e pericolose oppure di curare malattie che non esistono o, peggio, create dalla “disease mongering” a tavolino. Si calcola che la medicalizzazione di questo settore, negli ultimi anni, negli USA ha portato ad una spesa di 77 miliardi di dollari /anno pari al 3.9 % della spesa sanitaria statunitense”. (Benato, 2013).
 
Se si lascia il mercato libero di funzionare si ottiene sempre un risultato efficiente, ovvero, come dicono gli economisti, non c’è bisogno di intervento pubblico, mentre nel mercato dei servizi sanitari si creerebbe il fallimento dello stesso. E tutto questo permette di affermare l’importanza dell’intervento pubblico diretto o delegato al fine di mantenere/raggiungere l’efficienza che da solo il mercato non riesce ad ottenere. Altra giustificazione riguarda l’equità: lo Stato può essere interessato ad un certo risultato finale in nome della sua idea di giustizia sociale, sempre chiamato a intervenire per equità ed efficienza, dato che, se lasciato libero, il mercato dei servizi alla persona fallirebbe.”(Benato).
 
Un fatto è indubitabile: nel modello classico del liberismo il consumatore è sovrano e le sue decisioni e scelte influenzano e determinano la produzione ed il mercato. Nel campo sanitario, al contrario, il consumatore è l’anello debole della catena perché esercita la sua domanda in condizione di necessità, in assenza /scarsità informativa o disorientamento per eccesso d’informazioni senza capacità gestionale, elevatissima asimmetria informativa.
 
Un riferimento specifico va fatto al divieto di pubblicità comparativa, basata sul confronto espresso tra beni e servizi concorrenti, presente nel CDM 2014.
 
Ed a tal proposito ci appare chiaro ed esaustivo quanto Giovanni Morrocchesi ed Aldo Pagni affermano : “Il legislatore, comunitario prima e nazionale poi, secondo la tesi esposta da G. Rossi in IL DIRITTO DI TUTTI, l’avrebbero invece incoraggiata (la pubblicità comparativa), “abbandonando la tradizionale posizione di chiusura” , in omaggio al principio della necessaria trasparenza del mercato, e ai presunti vantaggi che deriverebbero al consumatore da un surplus di informazioni nel confronto tra beni e servizi offerti dai concorrenti.
 
“Il silenzio quasi totale imposto alla pubblicità comparativa dall’autodisciplina”, ha scritto Rossi, “ricorda analoghi silenzi pubblicitari imposti da altre etiche, ad esempio, quelle amministrate dagli ordini professionali, oggi in fase di erosione grazie all’impulso comunitario e in particolare del diritto antitrust”. In realtà il divieto dell’Ordine dei Medici non è frutto né del timore del potere della pubblicità , come osservato maliziosamente da G. Rossi, nè per difendere con il silenzio “le magagne” dei concorrenti e l’immagine della categoria, ma soltanto per consentire ai cittadini scelte libere ed autonome sulla base della cultura e dell’esperienza personale, e per tutelarlo da informazioni comparative incontrollate, difficilmente controllabili e potenzialmente dannose nell’indurre scelte ingannevoli”.
 
Quello sanitario nel nostro paese, con un SSN universalistico e solidaristico, è un mercato “sui generis”,un mercato “non mercato”, dove lo Stato privilegia l’offerta pubblica e “amministra” e calmiera la domanda di salute sulla base delle risorse disponibili e controlla l’offerta privata. Queste sono le motivazioni che fanno della sanità un settore specifico e molto delicato dal punto di vista della pubblicità.
Nel nostro Paese non sono mai stati definiti per legge i requisiti di qualità delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche e private, che consentirebbe una rigorosa e obiettiva valutazione comparativa dell’offerta disponibile. Un tentativo virtuoso è sicuramente il Piano Nazionale Esiti, alla sua seconda edizione, messo in campo da AGENAS ma che è ancora parziale e necessita di molto lavoro.
Per contro dobbiamo rilevare che soltanto giornali e riviste fino ad oggi si sono arrogati la pretesa di stilare classifiche dei migliori medici e dei migliori ospedali italiani sulla scorta di un’arbitraria discrezionalità talvolta non molto trasparente.
 
Il mercato sanitario è un mercato ad alto rischio perché, aldilà di semplicistiche ed interessate semplificazioni, è pervaso da molte anomalie: nel SSN esiste un “terzo” pagante tra chi chiede una prestazione e chi la eroga, tutto quanto riguarda la medicina è dominato dall’incertezza dei risultati, la fortissima asimmetria informativa tra operatori e utenti per niente risolta da internet, la difficilissima misurabilità della qualità dei servizi, la possibilità di conflitti di interesse, la non facile trasparenza nel “decision making”.
 
Tutte le considerazioni svolte servono a chiarire le motivazioni alla base del divieto di pubblicità comparativa che ben si poteva anche scrivere in modo positivo: "La pubblicità comparativa è consentita sulla base di requisiti di qualità delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche e private , che consentano una rigorosa e obiettiva valutazione comparativa dell’offerta disponibile."
 
“L’etica mostra la sua differenza più profonda rispetto al diritto; non si tratta di censura imposta dall’esterno […], ma di scelta consapevole e libera di autolimitazione, operata in nome di valori superiori e nella consapevolezza della responsabilità che grava su chi si avvale di strumenti così potenti come la pubblicità, e i mezzi di comunicazione di massa […]. Essa è il risultato di una consapevole scelta di libertà, che comporta il sacrificio (parziale) di un potere, di una fonte di ricchezza o di un consenso “. (G. Rossi citato da Pagni).
 
Secondo il Parlamento europeo “servizi sanitari sono destinati a persone in difficoltà e non possono perciò essere messi sullo stesso piano di una qualsiasi merce offerta in vendita”. Questo principio si discosta decisamente da quello statunitense e quindi si presume che ne debbano discendere, per la nostra società e la nostra cultura, conclusioni diverse da quelle di voler affermare a tutti i costi la primazia del libero mercato su ogni altro valore sociale e civile.
 
La Corte di Giustizia Europea considera i servizi sanitari quali servizi economici, anche se dagli atti emergono affermazioni quali: prendere atto che la tradizione europea è largamente basata sulla garanzia della tutela della salute in una cornice pubblica che assicura un servizio sanitario universalistico. La caratteristica più saliente di questa tradizione europea è, infatti, l’inclusione delle politiche sanitarie in una più ampia rete di protezione sociale, pertanto la cura della salute è concepita come un bene sociale, nel senso che è ritenuto un beneficio per tutti i membri della società il fatto che un individuo sia assistito in caso di malattia.
 
La Commissione Europea, recependo i principi del totale liberismo tipico della cultura anglosassone, si ispira ad un modello sanitario dove il riconoscimento degli imperativi economici del libero mercato devono essere il fondamento , ma si affretta , in ossequio al rispetto di valori umani e sociali irrinunciabili, ad introdurre circostanze limitanti per conseguire obiettivi sociali quali l’uguaglianza di accesso a beni sociali, la solidarietà infra ed intergenerazionale, la sostenibilità dello sviluppo, il rispetto e la tutela dell’ambiente, ecc.
 
Bisogna recuperare l’orgoglio per i nostri valori sociali e lottare per il loro rispetto. La legislazione italiana in recepimento della Direttiva Comunitaria 2000/ n° 31 ha adottato il DLGS 9 aprile 2003 n° 70 che all’art. 10 recita: “L’impiego di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, deve essere conforme alle regole di deontologia professionale e in particolare, all’indipendenza, alla dignità, all’onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi”.
 
Come si può vedere, in analogia a quanto previsto dal codice di deontologia, anche le leggi fanno un uso diffuso dell’aggettivazione per specificare le caratteristiche che consentono alla pubblicità sanitaria la fattibilità. E nella stessa legge, mai abrogata, si fa riferimento alla dignità ed all’onore della professione con accezione analoga al riferimento del codice deontologico 2006 al decoro professionale che invece viene censurato dall’antitrust come elemento utile a indurre una restrizione della concorrenza. E parimenti nella Legge 4 agosto 2006 n° 248 all’ Art. 2 comma 1 lettera b) si legge : “Sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dell’Ordine”. Concetti ribaditi tra i nuovi principi sulla tematica della pubblicità sanitaria nell’ambito della riforma degli ordinamenti professionali di cui all’ Art. 3 comma 5 Legge 14 settembre 2011 n° 148 : [….]g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.
 
A questo punto mi sia consentito un espresso richiamo alla vicenda della sanzione comminata dall'Agenzia Antitrust alla FNOMCeOin merito alla regolamentazione della pubblicità sanitaria contenuta nel CDM del 2006 ed anche del 2014.
Tale vicenda è particolarmente dolorosa laddove realizza di fatto un conflitto di competenze ed interpretazioni tra Pubbliche Amministrazioni.
 
Entrando nel merito occorre ribadire che la FNOMCeO non ha mai messo in discussione che le disposizioni deontologiche ed il CDM soggiacciano alla disciplina antitrust ed alla verifica dell'Autorità, quanto che esse, per i profili contestati, possano essere considerate esclusivamente alla stregua di un atto di autoregolamentazione privata di un'associazione di imprese; che le disposizioni sulla regolamentazione della pubblicità non promanino da una Pubblica Amministrazione titolare di prerogative specifiche di legge; che le restrizioni contestate siano prive di una funzione sociale e di tutela di interessi generali a garanzia dei consumatori.
 
L’orientamento antitrust nasce dalla considerazione, a nostro avviso scorretta, che gli Ordini professionali sono associazioni di imprese ai fini specifici della tutela della concorrenzaed i loro atti – tra i quali il codice di deontologia medica- deliberazioni riconducibili al novero di quelle descritte all’art.2, comma 1, della legge 287/90. Su tale assunto esclude che le disposizioni contestate assolvano ad una funzione sociale, al punto di negare che costituiscano l’esercizio di pubbliche prerogative come invece abbiamo sinora tentato di dimostrare.
 
Tale motivazione non si fa carico di esaminare, come rileva il collegio di difesa (Clarich, Alpa, Longhin), con un giudizio di concretezza né se l’art. 2 del DL 223/2006 nella necessaria correlazione con l’art.15 del DLCPS 223/46 attribuisca alla Fnomceo un qualche potere, una qualche prerogativa con riferimento alla pubblicità dei propri iscritti, né se la riconduzione dell’Ente al novero dell’associazione di imprese ai fini della normativa antitrust sia idonea a modificare la natura istituzionale di Ente pubblico, ma neppure se le disposizioni deontologiche siano o meno necessarie al conseguimento di obiettivi legittimi.
 
Il secondo comma dell’art.21 bis della legge 287/90, richiamato espressamente nella sentenza antitrust impugnata, là dove fa genericamente riferimento ad un “atto” adottato dalla Pubblica Amministrazione, deve essere necessariamente letto in relazione al primo comma dello stesso articolo dove risulta meglio esplicitato che per atti si intendono gli “atti amministrativi generali”, i “regolamenti, i “provvedimenti” di QUALSIASI Pubblica Amministrazione.
 
L’uso dell’aggettivo “qualsiasi” che nel testo precede “pubblica amministrazione” non è casuale e non è privo di significato, perché per quanto gli Ordini professionali siano considerati associazioni di imprese ai fini della normativa antitrust, sono pur sempre soggetti pubblici che operano in forza di pubbliche attribuzioni e questa loro natura istituzionale non viene meno nella qualificazione ai fini della normativa antitrust.
La Fnomceo è infatti una Pubblica Amministrazione al pari degli altri organismi che raggruppano a livello nazionale gli ordini professionali, ed è un Ente pubblico come unanimente riconosciuto dalla giurisprudenza (C.Cost. 3.11.2005 n. 405; Cass. SSUU 12.3.2008 n.6534;CdS 21.8.2006 n.4859).
 
In particolare , la FNOMCeO è un ente pubblico non economico (CdS, sez. IV, 27.7.2011 n. 4496; idem, sez. III, 11.6.2010 n.139; TAR Puglia, sez. II 13.11.2007 n.3825;Cass. 5.4.1993 n.3657), istituito con atto normativo primario che svolge attività di carattere pubblicistico ed opera con strumenti pubblici sotto la vigilanza del Ministero della Salute (CdS, sez. IV, 16.3.2004 n. 1344). Funzione Primaria della FNOMCeO per specifica attribuzione dell’art. 15 del DLCPS 233/46, mai modificato, è “la conservazione del decoro e dell’indipendenza” della professione medica e della professione odontoiatrica; essa persegue inoltre interessi generali a tutela del bene salute.
 
In sostanza, come più volte richiamato, la valutazione delle norme deontologiche operata dalla sentenza antitrust impugnata, muove da un’insufficiente e parziale analisi del quadro normativo sulla liberalizzazione della pubblicità, nel quali gli Ordini professionali vedono riconosciute specifiche funzioni e prerogative. L’art. 2 , comma 1 lett. B) del DL 223/2006 nell’eliminare ogni divieto di svolgere pubblicità informativa anche per i professionisti ha attribuito agli Ordini la specifica funzione di verificare la trasparenza e la veridicità dei messaggi pubblicitari. Ed al terzo comma prevede che “le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 siano adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità ………”.  Questo riconoscimento smentisce che l’intera materia sia ormai regolamentata solo dalla legge e porta ad escludere che nell’elaborazione delle regole deontologiche gli Ordini non esercitino prerogative pubbliche, non siano pubbliche amministrazioni e le disposizioni contestate non assolvano ad alcuna funzione sociale.  Il D.L. 223/ 2006 depone per il contrario laddove attribuisce agli Ordini il controllo su specifici parametri ed impone l’adeguamento delle disposizioni deontologiche.
 
Mi piace concludere con un richiamo delle accorate parole di Maurizio Benato: “La deontologia corregge l’intrinseca asimmetria del rapporto medico-paziente esplicitando le norme di comportamento cui i sanitari, in quanto professionisti, si impegnano ad attenersi e nello stesso tempo tutela il paziente da eventuali comportamenti illeciti dei membri della professione.” Noi non vogliamo affermare un neopaternalismo mascherato ma soltanto garantire un approccio etico alla tutela del bene salute. Allora la pubblicità mina la deontologia? La pubblicità non mina la deontologia, sempre adeguata all’evoluzione professionale e disciplinare e dei contesti storici, ma “sgretola le basi su cui si sviluppa il ragionamento etico che lo supporta. Rende difficile mantenere l’integrità e l’autonomia professionale. L’autonomia del medico è strettamente collegata al principio della giustizia e dell’equa distribuzione delle risorse che è presente sia nell’esercizio pubblico che privato della professione. Ma pensandoci bene, forse questo è anche il male minore perché la pubblicità interviene ben più in profondità: snatura l’integrità della nostra professione nella sua proceduralità e permette al mercato di servirsi dei suoi contenuti professionali facendone un’ancella triste del potere economico. Difendere la professione significa difendere il significato più intimo del termine professare, mettere in evidenza, mettere davanti a tutti ciò che si è, ciò che si ha, ciò che si crede, ciò che si sa, nella teoria e nella pratica con il solo vincolo di essere di aiuto alla persona sana , alla persona malata, alla società”.
 
Le norme deontologiche non mirano soltanto ad indicare comportamenti utili a garantire il decoro professionale ma tutelano la salute pubblica indicando le caratteristiche del messaggio pubblicitario sanitario senza le quali può essere messo a rischio l’esercizio di una scelta libera e consapevole della persona.
 
Luigi Conte
Segretario Generale FNOMCeO

30 luglio 2015
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