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Odontoiatri. Parla Renzo (Cao): “Fuori i mercanti da professione. Lo Stato investa nella salute orale”

di Eva Antoniotti

Il presidente della Commissione Albo Odontoiatri della Fnomceo a tutto campo. “La professione deve essere ripensata per essere in grado di accettare le sfide del futuro. Stop alla pletora”. E poi lancia l’appello: “Potenziare la rete degli ambulatori odontoiatrici pubblici, spesso in condizioni disastrose, almeno per rispondere alle esigenze primarie”

13 FEB - Il presidente della Cao Giuseppe Renzo guida con grinta gli odontoiatri italiani da molti anni. L’ultima iniziativa importante che ha fortemente voluto è la Carta dell’Odontoiatria, che fissa diritti e doveri peculiari della professione e che è stata varata a Taormina a dicembre, nel corso di tre giornate di lavoro che portavano un titolo significativo: “Fuori i mercanti dalla professione". E in quest’intervista che sarà pubblicata anche su La Professione – l’house organ della Fnomceo, scatta una fotografia a 360 gradi della professione, tra criticità e prospettive.
 
Presidente Renzo, quale scenario offre l’odontoiatria italiana?
La professione deve essere ripensata per essere in grado di accettare le sfide del futuro. Nell’ultimo periodo si sono evidenziate diverse criticità, generalmente non provenienti dalla professione ma dall’esterno: la crisi economica che ha messo in crisi gli odontoiatri e la “pazientela” sempre meno in grado di accedere alle cure odontoiatriche, i livelli minimi assistenziali non garantiti e l’impossibilità, in un prossimo futuro, di poter prevedere un intervento serio del SSN per sostenere l’ accesso alle cure odontoiatriche stesse. Sono tutti elementi che fanno soffrire le persone e che si ripercuotono fortemente sulla professione odontoiatrica.

In cosa si evidenziano le attuali “difficoltà della pazientela”?
Partiamo da un dato di fatto: le cure odontoiatriche sono economicamente onerose. Questo dipende da molti fattori: le cure odontoiatriche richiedono spesso interventi ripetuti e successivi ed inoltre impiegano, se si vuole intervenire con la massima qualità, materiali costosi, attrezzature sofisticate e personale formato. Mi si consenta una provocazione: perché soltanto per le nostre categorie i costi diretti e indotti per l’aggiornamento secondo ECM ministeriale sono a carico del professionista e non sono consentiti gli sgravi fiscali o detrazioni ? Si pensi che l’Odontoiatria è esercitata per il 90/92 % in libera professione e si capirà da cosa nasce la mia contestazione: la sperequazione! Alcuni costi sono incomprimibili, tanto è vero che il sistema pubblico non riesce a garantire le cure odontoiatriche, anche perché la stessa prestazione costa quattro volte di più nel pubblico che nel privato. E vengo al punto: la pazientela è in difficoltà perché da una parte patisce la crisi economica e dall’altra i Lea, in ambito odontoiatrico, non sono garantiti. Ora si parla di adeguatezza prescrittiva: in campo odontoiatrico significa semplicemente cancellazione di quasi tutte le prestazioni. La ridefinizione dei livelli minimi assistenziali secondo il decreto sull’appropriatezza prescrittiva in Odontoiatria è un non senso. Le cure odontoiatriche non sono mai state garantite dal cosiddetto Sistema Sanitario, se non per limitate fasce, in maniera parcellizzata sul territorio nazionale e con tempi biblici. Sorge spontanea una domanda: a parte le diverse catene, i liberi professionisti sono sempre più in affanno nel fare “impresa”, non si vorrà ripercorrere strade già battute, importando in Italia il modello delle “assicurazioni”? L’esperienza ha dimostrato che nel Paese che ha inventato questo sistema, gli Stati Uniti d’America, il risultato è stato negativo e ha recato solo inefficienza. Porre l’assistenza odontoiatrica nelle mani delle assicurazioni non significa applicare il sistema della mutualità volontaria e, ancora meno, delle mutue sociali.

E quanto questa crisi si ripercuote sulla professione?
Molto. Oltre alla crisi generale, oltre alla permanenza di costi importanti per lo svolgimento delle prestazioni con standard qualitativi adeguati, c’è un’ulteriore criticità, che è la pletora odontoiatrica. In Italia ci sono 61mila odontoiatri, con un rapporto di 1 ogni 900 abitanti, mentre l’OMS ha stabilito il rapporto ottimale in 1 a 2.000. Qualcuno pensava e continua a pensare che la pletora, in ragione dell’aumentata concorrenza, potesse far scendere le parcelle, ma questo non è accaduto, proprio perché gran parte dei costi, come dicevo prima, sono incomprimibili. I sempre presenti e solleciti “Soloni” dovrebbero verificare i dati: le parcelle non hanno subito il calo sperato, mentre si sono contratte le richieste e la qualità delle cure. Il rapporto medico-paziente in molti casi annullato, mentre le scelte terapeutiche subiscono l’inevitabile influenza del “datore di lavoro”, inevitabilmente orientato a valutare costi di investimento e ritorno economico per l’azienda e non ai benefici per il paziente.

Dobbiamo aspettare che emergano criticità in termini di sicurezza?
Le tariffe, di cui parla il sistema della concorrenza, possono subire una riduzione esclusivamente in presenza di scarsa qualità nelle prestazioni d’opera intellettuale, dei materiali e della sicurezza igienico-sanitaria!
Tutte le altre questioni, attualmente presenti nello scenario futuribile che vede contestato il Sindacato ANDI, che difende gli interessi dei propri iscritti, dai terzi lucranti (società commerciali, con finalità legittime di guadagno ma non certo paladini del diritto alle cure), non trovano l’Istituzione impreparata.
L’Ordine, in quanto ente ausiliario della Pubblica Amministrazione posto anche a tutela del diritto costituzionalmente riconosciuto alla tutela della salute, esprime con forza quanto più volte affermato: “Fuori i mercanti dalla professione”.
Il risultato vero e verificabile è che abbiamo cittadini che rinunciano alle cure odontoiatriche e contemporaneamente la professione registra una disoccupazione intorno al 12-15% e una sottoccupazione del 15-20%. Lo studio EURES, che abbiamo presentato a novembre a Taormina, mostra come i giovani odontoiatri nei primi tre anni dalla laurea guadagnano 1.000-1.200 euro al mese, mentre le donne, con la solita disparità, non arrivano a 900 euro. Una situazione che espone anche i colleghi più giovani alla pratica illecita del prestanomismo, con tutti i rischi legali e professionali.

Per arginare la pletora odontoiatrica si potrebbe intervenire sul numero di laureati e dunque sul fabbisogno stimato annualmente da Ministero della Salute. Avete fatto delle richieste in questa direzione?
I Collegi CAO provinciali chiedono da tempo una riflessione su questa situazione, tanto da proporre, provocatoriamente, un fabbisogno uguale a zero. Sappiamo– e si sono già manifestate le prime avvisaglie – che corriamo il rischio di farci considerare una casta chiusa, a difesa di privilegi, che non si vuole aprire ai giovani. Niente di più falso e lo dicono le statistiche: l’incremento di laureati iscritti agli Albi degli Odontoiatri è il più alto tra tutte le professioni intellettuali negli ultimi 15 anni !
Corriamo anche il rischio di fare saldare fra loro gli interessi dei poteri forti: Università che vogliono numeri per mantenere insegnamenti e cattedre e gruppi economici interessati ad investire capitali con l’ unica finalità del guadagno. Risultato: sforniamo disoccupati, manovalanza a basso costo ad enorme impatto sociale!
Come rappresentante della CAO Nazionale, ho personalmente inviato una lettera al Ministro Lorenzin proprio su questo tema, ribadendo come sia necessario armonizzare una strategia di livello europeo, sulla base dell’iniziativa della Joint Action on Health Workforce Planningand Forecasting promossa dalla Commissione Europea. In assenza di questi interventi, gli studenti italiani continueranno a orientarsi verso altri paesi europei o anche extraeuropei, vanificando ogni forma di programmazione e consentendo, nei fatti, il percorso di studi solo ai più abbienti.

Come si può intervenire per superare questa situazione difficile?
Noi stiamo innanzitutto cercando di far capire agli interlocutori politici e amministrativi che questa è una professione intellettuale e dunque non può essere regolata sic et simpliciter con le norme che si rivolgono alle imprese e al mercato. Alludo, chiaramente, alla politica dell’Antitrust, che non comprende che, se le aziende possono essere governate dal mercato, ovvero dalla legge della domanda e dell’offerta, le professioni intellettuali debbono invece rispettare anche altri requisiti: qualità, etica e deontologia, senza le quali la prestazione non può essere reputata sicura. Se questo non accade il primo ad essere danneggiato è il cittadino-paziente, e poi anche lo stesso professionista.

Pensa che ci saranno novità nei nuovi Lea annunciati per febbraio?
Il diritto alle cura, anche delle malattie del cavo orale, è un diritto sancito nella Carta costituzionale. Bisogna quindi potenziare la rete degli ambulatori odontoiatrici pubblici, spesso in condizioni disastrose per carenza di materiale e di attrezzature, almeno per rispondere alle esigenze primarie. In questo momento di crisi, per rispondere ai bisogni sempre più gravi dei cittadini, si sono anche attivate molte iniziative di volontariato in ambito odontoiatrico, rivolte alle scuole, ai portatori di handicap e alle fasce più disagiate della popolazione.
Non si può pensare, però, di risolvere i problemi col volontariato, ne’ dall’altra parte imponendo ai professionisti tariffe “calmierate” e insufficienti a coprire i costi, come qualcuno ha ipotizzato.
Occorre invece trovare strade per armonizzare il sistema pubblico con il sistema libero-professionale. Si potrebbe, per esempio, ripensare al sistema dell’assistenza indiretta: prestazioni erogate dai libero-professionisti, in parte sostenute dal SSN e in parte pagate dei cittadini. Si possono individuare prestazioni essenziali interamente a carico del SSN, prestazioni aggiuntive sostenute per una quota dal SSN e per un’altra dai cittadini e prestazioni superiori interamente pagate dal paziente.

Insomma, pensate di tornare al convenzionamento indiretto?
Potrebbe essere un grande servizio per la popolazione e anche un sostegno alla professione, che subisce la crisi. Aggiungo un solo elemento: la prevenzione in campo odontoiatrico può ridurre del 50% le patologie. Oggi non viene svolta in nessun modo dal servizio pubblico, ma solo da alcune iniziative volontarie dei professionisti, mentre si potrebbe fare molto.

Al di là del piano normativo, state pensando anche ad azioni positive rivolte ai professionisti?
Grazie all’azione di Enpam e Confprofessioni si sono aperte possibilità di accedere ai fondi strutturali FSE e FESR messi a disposizione dalla Comunità Europea, con prestiti e mutui rivolti ai professionisti, soprattutto ai giovani. È stata una battaglia vincente, ingaggiata a Bruxelles da tutte le forze politiche del nostro Paese, consentendo ai professionisti, e non solo alle imprese commerciali, di usufruire di queste risorse destinate all’innovazione e allo sviluppo.

A proposito di Enpam: c’è una novità importante che riguarda i giovani anche in ambito previdenziale. Può illustrarla?
Partiamo da una premessa: il percorso di formazione in Italia è particolarmente lungo, oltretutto con un problema specifico per le scuole di specializzazione in odontoiatria. Ancora una volta denuncio la sperequazione evidente tra Medici laureati in Medicina e Chirurgia e Medici laureati in Odontoiatria. Questo porta i nostri giovani ad entrare nel mercato del lavoro più tardi che in tutte le altre nazioni europee. È una situazione che accomuna medici e odontoiatri, che non cominciano a lavorare prima dei 28-32 anni. Considerato che la riforma pensionistica chiede ormai un periodo di contribuzione che supera i 40 anni, abbiamo pensato che fosse utile consentire agli studenti degli ultimi anni di poter avviare, con costi molto ridotti, la loro iscrizione all’Enpam, avvicinandoli così agli standard europei.

Qual è il problema della formazione specialistica in odontoiatria?
Ci sono due ordini di problemi: il primo è che mancano finanziamenti adeguati per le Scuole di specializzazione in odontoiatria e il secondo è che sono state erroneamente inserite in un profilo che non gli è proprio. Il risultato è che molte non riescono neanche a partire ed altre, come quella di Roma, non ricevono il riconoscimento europeo. È una situazione allucinante, sulla quale combattiamo da tempo e che porta molti laureati anche a proseguire gli studia all’estero.

Quale obiettivo si è dato per il 2016?
Vorreiche riuscissimo a superare le incomprensioni che abbiamo avuto in questi anni con alcuni interlocutori politici e istituzionali. La professione odontoiatrica è una professione intellettuale e non può essere trattata come un settore commerciale. Solo se c’è questo riconoscimento il professionista può lavorare con serenità e garantire la salute del cittadino.
 
Eva Antoniotti

13 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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