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La sentenza di proscioglimento dell’infermiera torinese e le sue ricadute. Pensando al ddl Gelli


La sentenza della Corte dei conti che ha prosciolto l’infermiera di Torino dall’obbligo del risarcimento del danno per la caduta di una paziente dalla barella, al di là del risultato, fa luce su altri importanti principi che riguardano la responsabilità. Il punto dell’Ipasvi.

20 FEB - La sentenza della Corte dei conti che ha prosciolto l’infermiera di Torino dall’obbligo del risarcimento del danno per la caduta di una paziente dalla barella (vedi news e testo), al di là del ristabilire la giustizia nei confronti della professionista innocente rispetto al fatto, fa luce su altri importanti principi.
Prima di tutto quello sulla responsabilità professionale in base alla quale l’infermiera era stata condannata per colpa grave.
 
“Nessuna colpa grave – spiega l’avvocato difensore in secondo grado dell’infermiera, Professor Massimo Occhiena, che ha ottenuto l’assoluzione – perché in base ai fatti non c’è stata alcuna sua negligenza: chiamata per una urgenza da un medico, ha messo in pratica la più ragionevole misura di prevenzione che, in quel contesto, poteva ipotizzare, ossia lasciare la paziente sulla barella con le sponde alzate, come prescrivono i protocolli. L’infermiera ha quindi operato secondo quanto previsto dalle linee guida, utilizzando i dispositivi in dotazione al Pronto soccorso e questo genera l’assenza di colpa grave, avendo agito nel rispetto dei principi e delle regole vigenti. Poi, avendo l’obbligo di coadiuvare un medico, nessun rimprovero può muoversi all’infermiera con riferimento all’allontanamento dalla stanza a seguito di chiamata del dottore che domandava assistenza”.
 
“D’altra parte – spiega ancora il Professor Occhiena - che non si possa parlare di colpa appare evidente anche dal tipo di lesioni della paziente: l’unico trauma ha riguardato il viso. Il che dimostra che la paziente è caduta dal fondo della barella, dove si era trascinata e, messasi carponi nel tentativo di alzarsi, è scivolata, cadendo al suolo battendo il volto. Infortunio, si ribadisce, del tutto incompatibile con una caduta laterale dalla barella e circostanza che dimostra che le spondine erano alzate e che la caduta è avvenuta dal fondo della lettiga. Nessuna omissione quindi, peraltro impossibile visto che quella mattina erano presenti in Pronto soccorso 16 infermieri, la caposala, il medico di turno e gli operatori socio sanitari: ognuno di loro avrebbe avuto l’obbligo di intervenire secondo protocollo se le spondine fossero state abbassate”.
 
“Come Collegio di Torino – afferma la presidente Maria Adele Schirru per spiegare la decisione di prendere parte alla causa d’appello – abbiamo ritenuto importante intervenire perché una condanna inflitta dal giudice contabile a un’infermiera iscritta costituisce indubbiamente un pregiudizio per l’intera categoria professionale, incrina il prestigio della professione e la relativa immagine e genera una perdita di credibilità del personale infermieristico nel suo complesso. Inoltre, a tutela di tutta la categoria degli infermieri, dobbiamo evitare l’affermazione di una responsabilità amministrativa di un iscritto ogni volta che all’interno di una struttura ospedaliera (in particolare nei pronto soccorso, caratterizzati da difficoltà organizzative e dall’elevato numero di degenti) si verifica un fatto analogo. Si deve tenere conto – aggiunge Schirru - come ribadiamo da sempre anche a livello nazionale, delle condizioni in cui spesso opera il personale infermieristico, inserito in un contesto organizzativo che non può controllare o determinare, con moltissimi pazienti da seguire, anche in condizioni di emergenza: in questi casi riconoscere una responsabilità amministrativa nonostante l’adozione delle corrette misure precauzionali, determinerebbe un pregiudizio irrimediabile all’intera categoria e alla serenità del suo operato”.
 
Un principio quindi, quello della sentenza di secondo grado della Corte dei conti, necessario a fissare precisi paletti sulla responsabilità professione, che anche nel caso dell’approvazione della nuova legge ormai in dirittura d’arrivo al Senato, si rivelano comunque utili per i professionisti.
 
“Se fosse stata già in vigore la nuova legge nel testo approvato dalla Camera che si si avvia, se non ci saranno incidenti di percorso, a essere quello definitivo – spiega la presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli -  l’obbligatorietà dell’assicurazione avrebbe superato uno dei gradini che si sono dovuti affrontare. Purtroppo però l’entità del risarcimento avrebbe dovuto scontare le franchigie e quindi alla fine gran parte del dovuto sarebbe restato a carico delle casse dell’azienda con la possibilità di reinnescare il processo bloccato dalla sentenza di appello. Importante invece sarebbe stato poter godere già in primo grado della previsione dell’interessamento del sanitario coinvolto nel processo civile, dove in questo caso l’infermiera non è stata neppure ascoltata”.
Nella sentenza di appello infatti, i giudici della terza sezione della Corte dei conti affermano chiaramente che la sentenza di primo grado non è “immune da vizi logici per avere valorizzato in maniera prevalente le testimonianze delle accompagnatrici della paziente che, tuttavia, non erano presenti nel momento della rovinosa caduta. Inoltre, le modalità difensive dell’amministrazione sanitaria, in sede di giudizio civile, scontano qualche leggerezza, di certo indotta dall’esigenza di chiudere e al più presto la vicenda che peraltro non si prestava ad esorbitanti pretese risarcitorie”.
 
Sempre secondo i giudici infatti, le testimonianze di chi era presente, anche con responsabilità, nel pronto soccorso affermano invece che “…la barella era regolarmente frenata e con entrambe le sponde alzate”; e ancora che: la barella era dotata di spondine, le quali sono rimaste alzate, come per tutti i pazienti e come di regola”. “In conclusione – si legge nella sentenza - non vi è chi non veda come il riesame della fattispecie produttiva del danno, anche alla luce delle dichiarazioni rese dai colleghi di lavoro dell’appellante, revoca nel serio dubbio che le spondine fossero abbassate, lasciando così presumere che la paziente fosse scivolata”, come sostenuto dal medico di Pronto soccorso “dalla barella nonostante era protetta dalle sbarre”.
 
Fonte: Ipasvi

20 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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