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Cassazione. In un intervento di routine spetta al medico dimostrare che le complicanze sono derivate da un evento “imprevisto e imprevedibile”


Per la Cassazione (sentenza 24074/2017) è del medico l'onere di dimostrare che le complicanze insorte durante un intervento chirurgico di routine siano derivate da omessa o insufficiente diligenza o da imperizia. E la Cassazione dà ragione alla paziente ricorrente e rinvia alla Corte d’Appello la sentenza di quest’ultima. LA SENTENZA

23 OTT - L’assenza di omessa o insufficiente diligenza professionale o l’imperizia in caso di attività medico-chirurgica di routine in cui sopravvengano complicazioni la deve dimostrare il medico.

A stabilirlo è la sentenza della Corte di Cassazione, III sezione civile, con la sentenza 24074 depositata il 13 ottobre scorso.

Il fatto
La Corte di appello di Palermo aveva respinto una richiesta di risarcimento a carico dell’Assessorato alla sanità della Regione siciliana, di un chirurgo operatore, dell’assistente e del primario di un reparto per “colangite recidivante da stenosi del coledoco e del dotto epatico di sinistra” subiti in conseguenza di un intervento di colecistectomia iniziato per via laparoscopica e terminato per via laparotomica al quale era seguita stenosi con fistola al coledoco prossimale che aveva richiesto un successivo intervento riparatorio eseguito in un’altra struttura.

La Corte d’Appello aveva optato per la correttezza della procedura attribuita a una complicanza subentrata nel corso dell’intervento in laparoscopia, non essendo stata accertata una lesione ischemica secondaria a una lesione arteriosa al momento dell’intervento a cui ricondurre il danno ed essendo provata l’acquisizione del consenso informato.

La decisione
Secondo la Cassazione il sanitario, per dimostrare l’imprevedibilità dell’evento deve dimostrare che le complicanze sono derivate da un evento imprevisto e imprevedibile tenendo conto della diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento.
           
Nel caso di complicanze operatorie, l'indagine del giudice non può limitarsi al solo accertamento della loro insorgenza, ma deve essere estesa alla verifica dell’imprevedibilità e inevitabilità e dell'inesistenza di un nesso causale e la tecnica operatoria prescelta dai medici. Infine, il giudice deve verificare anche l'adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per rimediare alle complicanze.


La Cassazione ha ritenuto fondata la richiesta della paziente,  considerando l’ipotesi della lesione alla via biliare durante un intervento come complicanza statisticamente rilevata nella letteratura scientifica carente di un supporto esplicativo e che non tiene conto che la nozione di "conseguenza inevitabile" determinata della corretta esecuzione della manovra operatoria non si concilia con la rilevazione statistica della lesione solo "nell'1%" dei casi".

La sentenza
Secondo la Corte “l'affermazione contenuta in sentenza, riproduttiva dell'elaborato peritale depositato dall'ausiliario, secondo cui la lesione costituisce un evento insopprimibile (quand'anche prevedibile, comunque inevitabile), risulta totalmente carente di supporto esplicativo, tanto più considerando che la nozione di una ‘conseguenza inevitabile’ determinata della corretta esecuzione della manovra operatoria non si concilia con la rilevazione statistica dell'evento lesivo soltanto "nell’1%" dei casi (pertanto alla esecuzione dell'intervento con metodo laparoscopico consegue ‘normalmente’ un risultato favorevole, sicché, in assenza di specifici fattori che determinino in modo autonomo l'anomalia del risultato, quest'ultima non può che essere ricondotta alla errata manovra del medico chirurgo)".
I giudici proseguono sottolinenando che "l’apparenza dell'argomentazione non viene colmata neppure dalla successiva osservazione del CTU, secondo cui diverse volte la causa della lesione rimane inspiegabile, e in più di metà dei casi la lesione si verifica ‘durante le manovre per riconoscere e isolare il cistico e per staccare la colecisti dalla via biliare’, né assolve al requisito minimo motivazionale richiesto dall'art. 111 comma 6, Cost. la illustrazione di ipotetiche possibilità di lesione in circostanze particolari (estrema sottigliezza del dotto cistico) indicate esemplificativamente e che, quindi, non appaiono riferibili al caso concreto”.

La Cassazione conclude la sentenza affermando che “tanto premesso, la censura deve essere ritenuta inammissibile, atteso che la ricorrente non viene a censurare una carenza del minimo costituzionale richiesto per la motivazione dei  provvedimenti  giurisdizionali dall'art. 111, comma 6, Cast., ma viene a richiedere alla Corte una nuova non consentita rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal Giudice di appello:  non  viene,  infatti,  dedotto  alcun  fatto  storico  decisivo,   non considerato dal Giudice di appello, ma solo una  diversa  valutazione  degli elementi indiziari. Inoltre la censura difetta comunque  di  autosufficienza  in quanto la ricorrente neppure allega che l'intervento chirurgico non era indicato come necessario, né che,  qualora  fosse  stata  adeguatamente  informata, avrebbe  con  certezza   - di   elevato  grado  probabilistico -  rifiutato  di  sottoporsi all’intervento chirurgico, circostanze di fatto indimostrate e che… devono intendersi determinanti ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno alla salute”.

23 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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