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Contratto del personale sanitario: CSE sanità non firma. Ecco le ragioni del dissenso


Il contratto secono i responsabili del sindacato "risulta non dignitoso dal punto di vista economico e giuridico soprattutto dopo 9 anni di blocco contrattuale e che non soddisfa le istanze di tutte le Professioni della Sanità con cui ci siamo relazionati fin dalla nascita di questa Federazione”. Le 21 ragioni del dissenso.

26 MAG - La CSE Sanità, Federazione delle professioni sanitarie sociali tecniche e amministrative, non ha firmato il contratto della Sanità, condividendo la decisione della CSE (Confederazione Indipendente Sindacati Europei).

“Questa scelta – sottolineano i responsabili del sindacato Elena Izzo e Salvatore Poidomani - è la dimostrazione che la nostra organizzazione, pur partecipando a tutte le fasi della trattativa con spirito propositivo e determinazione, ha mantenuto un atteggiamento coerente rispetto ad un CCNL che risulta non dignitoso dal punto di vista economico e giuridico soprattutto dopo 9 anni di blocco contrattuale e che non soddisfa le istanze di tutte le Professioni della Sanità con cui ci siamo relazionati fin dalla nascita di questa Federazione”.

Secondo Cse Sanità è evidente la debolezza di un testo definitivo che non risponde alle aspettative delle Professioni del Comparto, che la CSE Sanità ha riassunto nel proprio Documento Programmatico, che non ha tenuto in debito conto il complesso delle osservazioni presentate durante tutta la Contrattazione, non ha accolto nessuna delle proposte di integrazione e di correzione, rispetto alla pre-intesa del 23 febbraio, presentate in attesa del parere della Corte dei Conti, ed anzi ha mantenuto un'impostazione di base penalizzante per il pubblico dipendente e per l’autonomia e la  valorizzazione delle Professioni rappresentate con un indebolimento forte delle relazioni sindacali.

“Confermiamo quindi – affermano - il nostro giudizio negativo nei confronti di un contratto che, dopo un lungo periodo di blocco, sia dal punto di vista economico che normativo, non risponde alle attese e alle istanze dei lavoratori e di tutti gli operatori impegnati quotidianamente a garantire il diritto alla salute, perché si continua a non valorizzare le risorse professionali su cui invece occorrerebbe puntare per promuovere ed attuare percorsi di innovazione assicurando maggiore efficacia, efficienza, appropriatezza e qualità degli interventi nell’ambito del sistema dei servizi socio-sanitari”.

La CSE Sanità ribadisce in un comunicato il proprio impegno per la difesa dei diritti dei lavoratori della sanità, che porterà avanti sia attraverso un’azione propositiva sia mettendo in campo iniziative di carattere  giuridico-legale, con il duplice obiettivo di agire nell’interesse dei lavoratori ma anche dei cittadini, mettendo così in relazione  il diritto ad un lavoro dignitoso con il diritto alla salute.

E sottolinea i punti critici che hanno portato alla decisione di non firmare:

• mancato aumento del semestre 2015 (in violazione della Sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 che ha sbloccato la contrattazione a seguito del ricorso della CSE e della FLP);

• aumenti irrisori (nel 2016 da 5,90 a 10, 60 € lordi; nel 2017 e fino a marzo 2018 da 17,80 a 32,10 € lordi; 2018  da aprile circa 50 € medio netto);

• aumenti a gambero: elemento perequativo che compensa ai redditi più bassi il venir meno del bonus previsto dal Governo e che termina al 31 dicembre 2018 (si ridurrà l'aumento fino al 60%);

• mancanza di finanziamenti aggiuntivi per nuovi incarichi e per il welfare aziendale e unificazione con riduzione dei fondi da tre a due con possibili forti rischi di finanziamento per le fasce e la performance;

• fondi del personale soggetti a stringenti limiti di spesa e divieto di aumento dei fondi in caso di non miglioramento dei tassi di assenza rispetto al benchmark di settore (obiettivo principale dell'Organismo Paritetico per l'innovazione che ha funzioni che si sovrappongono con il CUG);

• indebolimento delle relazioni sindacali con l'eliminazione della concertazione e prevedendo un mero confronto per materie importanti come l'orario di lavoro;

• rinvio di questioni, che dovevano essere sviluppate nella Contrattazione, sulla classificazione del personale ad una Commissione paritetica che difficilmente potrà concludere i lavori entro Luglio, come stabilito nel CCNL, quando si dovrebbe riaprire la Contrattazione per il nuovo tirennio;

• eliminazione della possibilità di utilizzare l'istituto della malattia per l'effettuazione di prestazioni sanitarie specialistiche: previste solo 18 ore di permesso compreso il tragitto;

• deroghe al riposo minimo giornaliero di 11 ore: si può interrompere in caso  di riunioni di reparto e formazione obbligatoria con possibilità di recupero del riposo nei 7 giorni successivi;

• allungamento del periodo di calcolo (da 4 a 6 mesi) della durata media dell'orario di  lavoro di massimo 48 ore settimanali;

• obbligo di recuperare  il ritardo entro il mese successivo anche in presenza di credito orario (utilizzabile solo nei 4 mesi successivi);

• ferie residue da consumare entro 6 mesi (invece che 18 come da normativa europea) dalla fine dell'anno di maturazione;

• pausa mensa per i turnisti non regolamentata (prevista solo per i non turnisti la pausa di 30 minuti dopo 6 ore di lavoro) e mantenimento del valore del buono pasto al di sotto degli altri Comparti e del contributo da parte del lavoratore;

• meccanismi per l'erogazione del premio individuale molto simili a quelli delle cosiddette “fasce di merito” di Brunetta;

• coordinamenti e altri incarichi: durata massima di 10 anni anche in caso di valutazione positiva;

• non sono aumentate le indennità presenti nel precedente CCNL né estese le realtà lavorative beneficiarie anche in funzione dell'evoluzione dell'organizzazione sanitaria negli ultimi 10;

• non è stata recepita la proposta di istituire una indennità che riconosca lo svolgimento di particolari condizioni di lavoro per il personale che opera in servizi qualificati a rischio per l’incolumità personale e/o con un carico di lavoro eccessivo – in base all’organizzazione aziendale, al carico di lavoro e alla collocazione logistica dei servizi;

• non è stata accolta la richiesta di prevedere iniziative formative destinate al personale iscritto ad albi professionali, in relazione agli obblighi formativi previsti per l’esercizio della professione, con particolare riferimento a quanto stabilito sia dai rispettivi Codici deontologici che dall’art. 7 comma 1 del DPR n. 137/2012;

• non sono stati rafforzati gli istituti della Formazione obbligatoria e della formazione facoltativa;

• mantenimento della denominazione desueta e offensiva di collaboratore professionale, espressione che contraddice e contrasta con l’autonomia professionale che necessariamente deve essere riconosciuta alle professioni ordinate;

• per gli assistenti sociali, che non rientrano tra le professioni sanitarie, continua ad essere previsto, tra i requisiti di accesso all’incarico di coordinamento, il possesso  del master di 1° livello. Questo punto è stato sempre contestato, dal momento che sia la L. 84/93 sia il DPR 328/2001 prevedono che l’assistente sociale, tra i suoi compiti, possa svolgere attività di coordinamento e di direzione, senza considerare che la maggior parte di loro ad oggi è in possesso o della laurea specialistica o della laurea magistrale.

26 maggio 2018
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