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Pdta in chirurgia. Una leva formidabile per perseguire le logiche di governance clinica

di Ester Maragò

Eppure tre chirurghi su dieci ne ignorano ancora potenzialità e opportunità. Indispensabile una formazione ad hoc. Dal convegno “Pdta in chirurgia: dal metodo all’implementazione” organizzato dall’Acoi Lazio le indicazioni su come favorire la produzione di Pdta in area chirurgica sia nelle realtà locali, sia su scala regionale.

08 GIU - Circa il 67% tra chirurghi e infermieri sa molto bene cosa sono i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta), ma ben il 33% ne ha solo sentito parlare. E circa il 60% sono stati anche coinvolti in gruppi di lavoro per implementare i Pdta, preziosi strumenti necessari a facilitare l’appropriatezza prescrittiva, clinica e organizzativa. Soprattutto, i chirurghi sono convinti che i Pdta siano utili per aumentare la qualità delle cure, ridurre la variabilità dei trattamenti e aumentare il grado di appropriatezza. E interrogati su quali sia la maggiore criticità per la loro realizzazione non hanno dubbi: per il 60% lo scoglio più difficile da superare è dover lavorare in team. Per il restante 40% invece, sono d’intralcio la burocrazia e la ricerca delle fonti. Comunque, i Pdta li conoscono bene il 72% dei cittadini, anche se il 14% ignora completamente cosa siano e gli altri li hanno solo sentiti nominare. Ma la maggioranza di chi è più che informato, li considera uno strumento utile per dare uniformità alle cure.
 
Sono questi i dati dell’indagine realizzata tra circa 150 chirurghi e pazienti rappresentativi delle maggiori strutture ospedaliere del Lazio presentati al Convegno “Pdta in chirurgia: dal metodo all’implementazione” organizzato nei giorni scorsi dall’Acoi Lazio, l’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, con il coordinamento scientifico di Graziano Pernazza, presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma.
 
Una kermesse che ha messo a confronto tutti i principali attori della sanità con l’obiettivo di capire come favorire la produzione di Pdta in area chirurgica, consentendone così l’implementazione sia nelle realtà locali, sia su scala regionale. Ma anche di formare i chirurghi sullo strumento Pdta, soprattutto alla luce del fatto che circa 3 chirurghi su dieci ne ignorano ancora potenzialità e opportunità. Per stimolare tra i chirurghi la necessità di un approccio multidisciplinare è stato chiamato in “campo” Giggi di Biagio, CT della nazionale Italiana Under 21 che ha dato il suo contributo su come ottimizzare il gioco di squadra.
 
Dal dibattito (confronta approfondimento sulla tavola rotonda) è emerso con chiarezza che per rendere lo strumento del Pdta realmente efficace servono, non tanto risorse aggiuntive - di cui per altro si sente sempre il bisogno - quanto una partecipazione attiva di tutte le professioni (medici, infermieri e Mmg). E senza aspettare che alcune pratiche vengano calate dall’alto. Ma soprattutto, occorre che i Pdta vengano essere misurati e valutati in termini di risultati di salute e di outcome misurabili secondo l’ottica del paziente. Paziente che deve essere sempre più coinvolto nei percorsi di assistenza.
 
“Lo sviluppo e l’implementazione dei Pdta è tema quanto mai attuale – ha spiegato Graziano Pernazza, coordinatore Acoi Lazio –  i Pdta sono strumenti di governo clinico che dovrebbero consentire di migliorare qualità ed efficienza delle cure, riducendone la variabilità e garantendo standard elevati di appropriatezza al maggior numero di pazienti. Questo vantaggio potenziale può essere raggiunto solo quando il coinvolgimento delle competenze consente di produrre Pdta di qualità che siano realmente funzionali agli obiettivi da raggiungere. Per questo abbiamo voluto dedicare una giornata di approfondimento e discussione su questo tema, non solo per formare i nostri chirurghi, ma anche capire in un’ottica di multidisciplinarietà quali sono le migliori azioni da compiere e quali le criticità da superare. Insomma, per individuare le coordinate per implementarli individuando indicatori che consentano di mantenere sotto controllo il processo di cura e presa in carico del paziente”.
 
Molte le esperienze realizzate nel Lazio. Dall’indagine è emerso che sono stati avviati Pdta chirurgici nell’81% degli ospedali del Lazio. Il 75% dei Pdta riguardano il colon retto, il 50% la mammella, il nodulo tiroideo e l’urgenza, il 24% esofago e stomaco, il 18% le linfadenopatie, il 9% interessano l’area epato-bilio-pancreatico, il 5% le malattie Infiammatorie croniche dell’intestino.
 
Tra le tante best practice illustrate quella realizzata al Policlinico Gemelli Irccs di Roma. “L’organizzazione dell’assistenza per percorsi clinico assistenziali è una delle leve più formidabili per perseguire le logiche di governance clinica nelle organizzazioni sanitarie – ha spiegato Antonio G. de Belvis, Direttore Uoc Percorsi e Valutazione Outcome Clinici della Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs – frutto di un patto a tre, tra clinici/manager e pazienti  e concentra al proprio interno strumenti, tecniche a  sostegno del miglioramento continuo dei processi e quindi della qualità assistenziale. Ogni Pdta dovrebbe favorire l’interazione ottimale della persona assistita con le equipe assistenziali, per una presa in carico condivisa, continua, efficiente ed appropriata. Così esso fa lievitare il livello qualitativo dell’assistenza, perché riduce la variabilità dei comportamenti e promuove accountability e consapevolezza sulla qualità dell’assistenza”.
 
Le evidenze di letteratura e quanto sperimentato in cinque anni al Gemelli, indicano elementi di successo per la gestione dell’ospedale attraverso il Pdta, ha aggiunto de Belvis. Quali? Un forte commitment aziendale, il coinvolgimento multidisciplinare dei professionisti sia nel disegno che nella gestione del percorso, attraverso gli audit e il continuo feedback sugli impatti dei Pdta nella qualità dell’assistenza. E ancora, il supporto dei sistemi informativi, valutazioni e decisioni assistenziali assunte in maniera multidisciplinare (si pensi ai Tumor Board nei percorsi oncologici) anche coinvolgendo la persona assistita. “Tutto questo – ha sottolineato – è ancora più efficace se si prevede la partecipazione attiva del paziente o delle sue associazioni”.
 
Come supportare i Pdta? Per De Belvis bisogna inserirli “nella logica della Value Based Healthcare, per passare dal focus sulle prestazioni e sui volumi di attività, a quello dei concreti risultati di salute e dell’esperienza vissuta nelle cure, cioè outcome misurabili secondo l’ottica del paziente, confrontati con l’impatto economico da sostenere per raggiungere tali risultati”.
 
Una figura centrale nell’organizzazione dei Pdta è quella degli infermieri.
“I Pdta sono strategici se realmente orientati al paziente – ha detto Maria Ausilia Pulimeno, Presidente Fnopi Ordine di Romae sicuramente sono strumenti necessari per evitare in appropriatezze e sprechi, ma serve una rigorosità del percorso e un reale coinvolgimento di tutte le professionalità. Gli strumenti tecnici li abbiamo tutti, e laddove funzionano i risultati sono stati raggiunti. Noi stiamo ad esempio inesistendo sulla figura dell’infermieri di famiglia, un’esperienza realizzata in Friuli Venezia Giulia che ha portato ad una maggiore efficacia dell’assistenza. Una dimostrazione di come la professione infermieristica, sempre più formata, può svolgere un ruolo centrale nell’organizzazione della presa in carico dei pazienti. Ruolo che si propone anche nei Pdta chirurgici, dove è strategica la figura dell’infermiere competente per definire il percorso anche in funzione della patologia”.
Ester Maragò

08 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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