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Covid. “Scudo penale non sia solo per le vaccinazioni. Sì all’obbligo vaccinale per i sanitari e, se serve, anche per la popolazione generale”. Intervista a Carlo Palermo (Anaao)

di Giovanni Rodriquez

“Scudo penale solo per le vaccinazioni? Sarebbe uno schiaffo per chi è stato esposto a ben altri rischi più concreti in un anno di emergenza”. Non ha dubbi Carlo Palermo che sottolinea come serva una norma che copra tutte le attività svolte in questo periodo con la possibilità di un procedimento giudiziario solo per dolo o colpa grave. E quanto all'obbligo vaccinale, un sì deciso a quello per i sanitari ma per Palermo “non si può escludere l'idea di doverlo estendere a tutta la popolazione se la percentuale dei riluttanti dovesse far allontanare l'obiettivo immunità di comunità”

29 MAR - Uno scudo penale che copra solo l'attività di somministrazione vaccinale sarebbe uno schiaffo in faccia a tutti quegli operatori sanitari da oltre un anno impegnati ad affrontare l'emergenza Covid in situazioni organizzative difficili. Servirebbe una norma per tutto il periodo di emergenza che preveda la possibilità di procedimento giudiziario nei loro confronti solo per dolo o colpa grave. E sull'obbligo vaccinale, non si può escludere l'idea di doverlo estendere a tutta la popolazione se la percentuale dei riluttanti dovesse far allontanare l'obiettivo immunità di comunità.
 
Così il segretario nazionale Anaao Assomed, Carlo Palermo, in questa intervista a Quotidiano Sanità fa il punto sull'attuale situazione e sull'intervento normativo che prevede uno scudo penale per gli operatori impegnati nella campagna vaccinale, che potrebbe essere inserito già nel Decreto Covid atteso in settimana a Palazzo Chigi.
 
Dottor Palermo, a suo giudizio era necessario un decreto legge ad hoc sull’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari?
La situazione è abbastanza chiara sotto il profilo giuridico. Ci sono già varie leve su cui poter agire. C’è ad esempio l'obbligo per datore di lavoro di garantire la sicurezza nell’ambiente lavorativo. Si può quindi far appello sia all'articolo 2087 del Codice Civile che al Dlgs 81/2008. Già queste prevedono che il lavoratore sia tutelato sotto il profilo della sicurezza, e di fronte ad un rischio biologico deve essere offerta loro la vaccinazione se disponibile. In caso di rifiuto, il datore di lavoro può mettere in campo alcune misure, a cominciare dal cambiare loro mansione, potendone prevedere anche una di livello inferiore. Questo sia per tutelare la salute degli altri operatori sanitario che di coloro che si rivolgono alla struttura. Non mettere in campo queste disposizioni esporrebbe i dirigenti a risarcimento dei danni in caso di contagio.
 
Il cambiamento di mansione la norma la prevede, però, solo ove possibile.
Se non possibile si può comunque imporre loro ferie obbligate e si può arrivare fino all’aspettativa obbligatoria senza assegni. È difficile affrontare il licenziamento perché questo dovrebbe scaturire da una logica che valuti la transitorietà dell’evento - il Covid in questo caso - che ha portato alla necessità di vaccinazione. Si avrebbe un alto rischio di contenzioso. Le misure intermedie forse sono quelle più approvate dalla magistratura. Nella giurisprudenza attuale ci sono già tutta una serie di elementi che permettono interventi mirati. Anche con la legge Gelli-Bianco in qualche modo si mettono nelle mani dei dirigenti dell’azienda meccanismi di intervento. E’ chiaro che se però di parla di obbligatoriertà del vaccino, così come prevede la stessa Costituzione, questa possa essere disposta solo in forza di una legge. 
 
Ad ogni modo, sareste favoreli all'introduzione di un obbligo vaccinale per gli operatori sanitari?
Assolutamente sì. Ben venga l'obbligo a garanzia della sicurezza sul luogo di lavoro, tema che per noi è da sempre una 'bandiera'. Ci siamo sempre battuti a garanzia degli operatori sanitari prima contro la carenza di dispositivi di protezione individuale in piena prima ondata, poi contro la mancanza di quarantena, non ci tiriamo di certo indietro rispetto al maggior strumento di prevenzione a nostro disposizione, ossia vaccino. Non possiamo permettere che un medico nello svolgimento della sua funzione possa essere causa di malattia. Questo è deontologicamente inaccettabile oltre che insostenibile dal punto di vista etico. Chi non vuole vaccinarsi sia allontanato dai servizi che prevedono un contatto con gli utenti.

Tra le obiezioni poste dagli operatori contrari alla vaccinazione c'è quella secondo la quale, ad oggi, non è ancora dimostrato che il vaccino possa bloccare la trasmissione del virus.
La domanda è interessante ma le evidenze stanno iniziando ad accumularsi. Siamo in corso d’opera, l’analisi sui vaccini richiederà del tempo. I dati provenienti da Israele incominciano però a dimostrare su larga scala che i vaccini riescono a ridurre anche le forme asintomatiche di Covid e la possibilità di trasmissione dell’infezione. Di fronte a questi primi dati l’obbligo della vaccinazione deve necessariamente essere considerato per motivi di estrema precauzione nell’operare quotidianamente a fianco di colleghi e pazienti. Si tratta di evitare infatti non solo il contagio ai pazienti, ma anche di evitare di diffondere un’infezione all’interno delle strutture rischiando di far togliere operatori sanitari dal campo. Operatori ancora in questo momento da considerarsi come la risorsa più preziosa per affrontare l’epidemia. Un problema diverso da considerare è se questa indicazione di blocco della trasmissione dovesse arrivasse solo per i vaccini mRNA, e non per quelli basati su adenovirus.
 
Nel prossimo decreto Covid potrebbe essere inserito anche lo scudo penale per gli operatori sanitari impegnati nelle vaccinazioni. A suo parere è sufficiente limitarlo a quella sola attività?
Dal punto di vista della tutela giudiziaria, già ora un medico o un infermiere che effettuano vaccinazioni possono essere responsabili di un’anamnesi non fatta bene o di come venga effettuata un'iniezione intramuscolo. Insomma una tutela per questo tipo di attività è assolutamente inutile. Può dar fastidio l’essere iscritto in un registro degli indagati, ma i reali rischi di condanna sono inesistenti. Di certo si potrebbe evitare di iscrivere medici e infermieri nel registro degli indagati prima ancora di un’autopsia, della una valutazione chiara di un eventuale nesso di causalità. Sono scelte non dovute, come spiegato dallo stesso Procuratore generale della Cassazione. Sono interventi sopra le righe che rischiano di avere ripercussioni sulla tranquillità di chi si presta a questa attività, ma nulla di più. Una tutela giudiziaria fatta solo sui rischi del vaccino sembra un qualcosa che non coglie il problema.
 
E qual è a suo parere il vero problema da affrontare?
I professionisti sanitari vengono da un anno tremendo. Hanno lavorato senza linee guida su una malattia sconosciuta, subdola e diffusiva. Il tutto in condizioni organizzative inenarrabili, tra carenza di personale e di posti letto, spesso in assenza di dispositivi di protezione individuale e con un numero sproporzionato di pazienti che affollavano i pronto soccorso degli ospedali in cerca di assistenza. Si è stati costretti ad utilizzare farmaci off label senza sapere quale fosse la loro reale efficacia per questa malattia, rischiando anche possibili effetti collaterali. Per affrontare l'emergenza spesso hanno lavorato in ambiti specialistici non sempre di loro competenza. Pensiamo ad esempio all’ortopedico che per carenza di personale si è prestato a lavorare in una terapia sub intensiva Covid. A fronte di tutto questo servirebbe una norma che preveda la possibilità di procedimento giudiziario nei loro confronti solo per dolo o colpa grave. Una colpa grave che non può però essere generica, ma commisurata alle reali situazioni operative avute nell’ultimo anno. Ci vuole una tutela giudiziaria per tutto il periodo emergenziale, altrimenti stiamo tirando uno schiaffo in faccia a tutti coloro che sono ancora impegnati ad affrontare la terza ondata di Covid. Sarebbe insopportabile.

Un'ultima domanta più politica, come giudica questo primo mese e mezzo del governo Draghi?
Mi pare ci siano posizioni chiare per quanto riguarda le decisioni sulle restrizioni. Anche la risposta data dal premier ad alcuni esponenti di maggioranza sulle riaperture ci convince. Bisogna guardare i dati, e questi non permettono assolutamente una riapertura. Sicuramente nelle prossime 2 settimana i dati, per quanto riguarda la pressione sugli ospedali, continueranno a peggiorare. Quello che poi ci preoccupa è che, con il crescere della presenza di malati Covid negli ospedali, vengono 'espulsi' quelli non Covid. Si sta preparando una seconda epidemia sotto traccia, quella dei malati non Covid, che prima o poi presenterà il conto. E i medici ospedalieri dovranno affrontare anche tutto questo. Questi operatori meritano una tutela giudiziaria che li tenga lontani da stress psicologici derivanti dal dovere di difendersi in sede penale dopo aver affrontato un anno così terribile.
 
E sul piano vaccini?
C'è stato un apprezzabile salto organizzativo, col tentativo di portare il numero di vaccinazioni quotidiane a 500 mila in modo da raggiungere entro giugno la copertura di tutti gli over 60. La scelta di andare per fasce d’età va nella giusta direzione. Vaccinare gli over 60 significa far calare rapidamente la pressione sugli ospedali, che poi è il problema principale da affrontare ora. A quel punto si potrà pensare ad allentare le restrizioni. Non escluderei a quel punto un giudizio sull’eventuale introduzione di un obbligo vaccinale esteso a tutti.
 
Pensa ad un obbligo per il vaccino Covid per tutta la popolazione?
Potrebbe essere necessario un intervento di questo tipo. Le indagini demoscopiche ci dicono che circa il 20-30% degli italiani palesano riluttanza verso questo vaccino. Un numero che rischia di non rendere efficace tutta la campagna vaccinale facendo allontanare l’immunità di comunità. Questo dato forse si dovrebbe considerare. Solo se tutti partecipiamo alla campagna vaccinale questa può raggiungere il risultato agognato. 
 
Giovanni Rodriquez

29 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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