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I “nostri” scienziati della “nostra” sanità a volte sanno poco e male

di Claudio Maria Maffei

16 FEB - Gentile Direttore,
ieri sera da Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La 7 c’è stato un intervento della Professoressa Antonella Viola, immunologa. La immagino competente sui suoi temi e sicuramente “fora lo schermo” quanto a comunicazione televisiva. Non mi addentro sulla utilità/opportunità/pericolosità di questi salotti perché non ne ho la capacità. Mi sembra però importante raccogliere alcuni spunti di riflessione di significato generale.
 
Lo spunto mi è venuto da una domanda di Gruber alla Professoressa Viola: ma anche tra voi scienziati c’è concorrenza? In questi salotti come si sa si passa facilmente dalle concessioni degli stabilimenti alla pandemia. Del resto una qualche cucitura tra i temi del giorno la brava conduttrice la deve pur fare.
 
La Professoressa a quel punto risponde che tra di “loro”, gli scienziati, si conosce solo la cooperazione e la collaborazione o al massimo una sana competizione per arrivare primi a una scoperta (ma la ricerca solo unita vince), mentre nella sanità la concorrenza, e negativa, ci sarebbe, il senso della risposta di Viola è stato questo. Tra Asl e ospedali infatti, sempre sencondo la professoressa, ci si contenderebbe i pazienti perchè più pazienti si hanno più si hanno guadagni e prestigio.
 
Inutile dire quanto questa risposta sia per me sbagliata, dal mio punto di vista in modo addirittura imbarazzante.
 
La risposta giusta sarebbe stata che il Servizio Sanitario Nazionale è per definizione integrato e cooperativo e che le forme di concorrenza vanno adattate ai suoi principi quali la universalità e quindi all’equità. E avrebbe dovuto citare il PNRR che questa impostazione vuole rafforzare capillarizzando i servizi magari facendo un paio di esempi. Sulla non concorrenza tra scienziati non mi esprimo.
 
Diversi sono i punti che sottolineerei. Il primo riguarda la distinzione tra mondo degli “scienziati” ben distinto dal  mondo degli “esperti e dei responsabili della  sanità pubblica”: il primo che cerca le soluzioni nei laboratori e nei reparti e il secondo che ne cerca l’applicazione nella organizzazione del  corpo vivo dei sistemi socio-sanitari. Ai primi si concede una rispettosa attenzione e un grande spazio e ai secondi nessuna attenzione e quindi nessuno spazio. Spazio preso dagli “scienziati” che la loro opinione ormai non la negano mai e per i quali sulla sanità hanno opinioni sconfortate del tipo “ci sono stati troppi tagli”, ovviamente anche e soprattutto di posti letto, mentre se parlassi loro di Case della Salute alzerebbero in modo altrettanto sconfortato gli occhi al cielo, come a dire “ma di cosa stiamo parlando con queste varianti che girano”?
 
In questo modo nel mentre si sta cercando con il PNRR di cambiare volto, cultura e organizzazione alla nostra sanità, là nei media dove l’opinione pubblica viene più raggiunta di tutto questo non v’è traccia. Soprattutto non v’è traccia del significato profondo di questi cambiamenti che dovrebbero rimettere al centro la cronicità, vera priorità dei nostri sistemi di tutela della salute, in modo che possano far fronte anche alle emergenze attuali e future.
 
In un tempo in cui c’è così tanta attenzione nei confronti della sanità, la si spreca su questioni importanti, ma contingenti, tipo il green pass, ma non si sta prestando alcuna attenzione ai processi in atto in declinazione del PNRR. Che così rischiano davvero di diventare qualcosa di simile alla gestione di un superbonus.
 
E allora? Allora abbiamo bisogno di leader della sanità pubblica che testimonino come i sistemi di tutela della salute siano sì alimentati dalla ricerca scientifica (compresa quella organizzativa), ma che richiedono di essere adattati in modo il più possibile scientifico alla concreta realtà sociale e sanitaria di ciascuna realtà. Abbiamo anche bisogno che sia dato loro spazio e che  gli scienziati “veri” imparino a fare i conti con i sistemi sanitari in cui operano, le loro regole e i loro problemi. Sia che si tratti di sistemi sviluppati che di sistemi ancora in via di sviluppo.
 
Al riguardo ho trovato una straordinaria esperienza culturale ed emotiva vedere il film “Bending the Arc”. Un pugno di uomini e donne dedicano tutta la loro vita per garantire la vita anche a chi soffre di malattie curabili (grazie alla ricerca), ma costose. Come si porta in villaggi sperduti dei farmaci costosissimi, ma salvavita, contro tubercolosi e AIDS? Come si ricostruisce la sanità in un Rwanda devastato da un genocidio? Come si convincono gli economisti che i pazienti gravi non conoscono il termine “costi sostenibili”? Qual è il ruolo dei vicini di casa o di villaggio? Il film meravigliosamente approfondisce  il rapporto tra ricerca e politica sanitaria. Ecco cosa pensano del film ad Harvard.
 
Fare ogni tanto un salto fuori dai laboratori magari aiuterebbe gli scienziati a far saldare la loro ricerca con le scelte di politica sanitaria. Quelle “vere”: potenziamento del territorio, valorizzazione delle comunità, promozione della salute e della equità.
 
Claudio Maria Maffei

16 febbraio 2022
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