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Spending review. Riflessioni sulla protesta di ottobre

di Alessandro Vergallo

24 AGO - Gentile Direttore
Sulla manifestazione prevista per il 27 ottobre p.v. a Roma in materia dei tagli lineari della spendig review in sanità, a mio parere lucida e inoppugnabile l'analisi su motivazioni e prospettive argomentata da Ivan Cavicchi con i suoi articoli (leggi qui e qui). Identica mia considerazione per il Suo editoriale sull'attenzione deviata unicamente sulla revisione della spesa farmaceutica, in particolare sulla prescrizione del principio farmacologico attivo in luogo della confezione commerciale.
 
Su tutto il sistema economico, e quindi anche su quello della sanità, la spending review avrebbe dovuto comportare, oltre ai tagli, lo studio di misure di ben altra prospettiva strutturale e progettuale: per esempio, sul riordino delle cure primarie, sulla libera professione all’interno del Ssn, sulla riorganizzazione delle dotazioni organiche di personale in base al lavoro svolto e non in base al dato storico di riferimento, o peggio in base a logiche nelle quali l’organizzazione è stata da tempo centrata sul potere, anche politico.
 
Un obiettivo non è mai stato finora individuato: quello di una "earning review” in termini economici di beneficio diretto e indiretto di un Ssn appropriato, efficace, efficiente. E solo dalla combinazione di spending review e earning review, come da ogni altro bilancio d’esercizio tra uscite ed entrate, può derivare un serio progetto di “financial statement” e “asset allocation strategy”
 
Queste linee di percorso sono invece rimaste binari morti, con tentativi spot di riorganizzazione timidi e solo di facciata, dove la deregulation combinata alla scure dei tagli rischia di diventare la tomba del Ssn.
 
Le cure primarie sono un esempio di un binario tronco nella sua stessa riprogettazione, e del resto su questo argomento lo stesso Cavicchi ha accennato nel suo articolo all'inadeguatezza di ogni falso cambiamento.

Se davvero alle cure primarie si volessero applicare criteri di analisi di spesa non lineari, le domande da farsi, a cui dare una risposta seria prima ancora di inventare finte soluzioni, o di fingere di voler inventare soluzioni vere, sarebbero: quanto costa, e quanto rende in produttività un'assistenza della medicina del territorio convenzionata a 15 ore settimanali?

Quale sarebbe il confronto con un'assistenza prestata da medici dipendenti a 38 ore settimanali? Quali sono i motivi per cui solo in questi ultimi tempi tali quesiti iniziano faticosamente ad emergere, e solo per sporadiche iniziative di soggetti completamente estranei al palazzo politico, o alle categorie interessate, cioè alcune associazioni di cittadini? Nel mentre il palazzo e i suoi interlocutori "di controparte” tecnica e professionale tacciono, salvo ipotizzare assimilazioni della convenzione di medicina generale alla dipendenza con il cosiddetto "ruolo unico". Unico, beninteso, fatta salvo il mantenimento di un obbligo assistenziale ai minimi termini per impegno orario.

E mi fermo qui, ma si potrebbe continuare con quesiti ancora più elementari, e forse più scomodi, su quale possa essere l'esito di una integrazione delle cure territoriali e ospedaliere che ha piuttosto il sentore di un ulteriore sovraccarico dell'assistenza prestata in ospedale, come è evidente in tutte le finte soluzioni finora percorse: ambulatori per codici bianchi e verdi in Pronto Soccorso, e così via. Alla faccia della propaganda, centrata sulla progressiva de-ospedalizzazione dell'assistenza sanitaria.
 
Sulla libera professione "intra-moenia allargata", il quesito parte invece da un'osservazione, semplice e grossolana, riassunta in una frase, "il re è nudo": siamo sicuri che la mancanza di spazi nelle aziende ospedaliere non sia funzionale a interessi solo in apparenza contrapposti, cioè quello delle aziende rivolto ad un maggior controllo, e quello dei professionisti rivolto alla libertà di esercizio libero-professionale? E' ora di dire chiaramente che fino a che le nudità del re verranno negate, e fino a che il suo abbigliamento fasullo sarà appannaggio dei sarti reali, il re continuerà ad essere nudo, ma ancora più spoglie continueranno ad essere le vesti di chi lo mantiene.
 
Solo su una questione si è intervenuti: sui criteri di prescrivibilità di farmaci griffati / farmaci generici... A prescindere,  o forse no, da una nota di Aifa a chiaro sostegno del principio attivo e non della griffe, Fnomceo ha recentemente precisato meglio la sua posizione, rispetto al proclama iniziale "La responsabilità prescrittiva deve rimanere in capo al medico", chiedendo un tavolo tecnico mirato alla miglior soluzione attuativa della norma... a pensar male la si potrebbe interpretare piuttosto come una correzione di rotta, ma comunque sia mi pare una precisazione apprezzabile. Meno tempestive, e soprattutto meno attente all'impatto sul cittadino di certe posizioni, mi paiono certe posizioni di alcune sigle rappresentative dei colleghi di medicina generale. Ma davvero ancora oggi, ove in sanità per consumo si intende una necessità che ha un costo, si può credere che il farmaco non sia un bene di consumo? E quando il costo è sociale, cioè del cittadino, a chi altro se non al cittadino dev’essere riconosciuta la facoltà di scelta, fatti salvi i dovuti controlli, che nessuno mi risulta aver mai messo in discussione?

E che cosa si deve pensare in merito alla pluridecennale questione relativa alla produttività di ospedali al di sotto di ogni criterio minimo di ragionevole esistenza, sui quali è stata frettolosamente ritirata ogni iniziativa normativa rivolta alla loro riconversione, demandando tutto a decisioni regionali che mai arriveranno come mai sono arrivate in passato? Analoga considerazione per i punti-nascita inutili se non addirittura pericolosi, anche stando ai rapporti ministeriali in materia, a causa dei loro ridicoli volumi di attività. Ne esistono alcuni con una media di un solo parto al giorno su base annua, o anche meno, di cui magari la metà sono tagli cesarei, che per continuare ad esistere necessitano di dotazioni di personale medico e non medico in ozio più o meno forzato per gran parte del servizio. A pensar male, e in certi casi forse non è sbagliato farlo, il rapporto tra causa (scarsa produttività) ed effetto (scarsa attività di servizio) è probabilmente invertito.
 
Tutti gli aspetti di una riforma sicuramente mancata, forse non voluta davvero, comunque allo stesso tempo proprio perciò eccessiva nei tagli, rendono gioco facile, con una prestidigitazione che di bocconiano, e di universitario in senso lato, ha solo l’etichetta, focalizzare la soluzione dei problemi della sanità pubblica su un obiettivo solo: rendere il Ssn meno (o per nulla, per meglio dire) medico-centrico. E nello stesso tempo si va sempre di più verso la sua privatizzazione. Ma nessuno ha finora mai posto un altro quesito: nella sanità privata il cosiddetto medico-centrismo è un problema? No di certo, anzi. E allora, forse, il modello del Ssn che si vuole perseguire deve restare pubblico e dev’essere ristrutturato in modo seriamente manageriale, applicando ciò che nel privato (quello vero, non quello che sopravvive e prospera grazie alle maglie larghe e alla manica larga delle pubbliche risorse) un principio fondamentale: la razionalizzazione delle risorse umane, tra le quali quelle mediche sono basilari.

Facciamo i conti, per esempio, sul rapporto numerico tra personale dirigente medico e personale dirigente amministrativo, nel pubblico e nel privato: i risultati sarebbero forse una falsa sorpresa. E facciamo pure i conti sul rapporto tra libera professione intra-moenia vera (svolta in una struttura ospedaliera) e tra quella svolta privatamente (intra-moenia “allargata” compresa), confrontando in quest’ambito i medici dipendenti del Ssn pubblico e i medici dipendenti dell’ospedalità privata: pure in questo caso i risultati saranno invece una falsa sorpresa.
 
Ma sulla deospedalizzazione e sulla sepoltura del “sistema medico-centrico” non tacciono, anzi si propongono invece come salvatori del patrio Ssn i più vari soggetti. Disinteressatamente? Questa è un’altra domanda che occorre porsi.
 
Ecco perché alla manifestazione del 27 ottobre p.v. occorre a mio avviso un approccio libero da ogni condizionamento legato agli interessi delle categorie sanitarie, altrimenti, oltre alle penalizzazioni ingiuste (che sono pure sono numerose) che la spending review infligge alla sanità pubblica, dall’altra parte noi manifestanti ci troveremmo a mal partito anche verso l’opinione pubblica, cioè verso noi stessi come cittadini.
 
Cordiali saluti


Dott. Alessandro Vergallo
Medico Chirurgo
Presidente AAROI-EMAC Lombardia

 

24 agosto 2012
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