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Intelligenza Artificiale e Formazione medica. Due sfide per il nuovo Codice Deontologico

di Antonio Panti

09 GEN -

Gentile Direttore,
nello scorso autunno la FNOMCeO ha avviato il processo di rinnovamento del Codice Deontologico, dopo la pandemia e di fronte alle continue innovazioni scientifiche e tecnologiche, con un importante Convegno nel quale esperti in diverse discipline hanno discusso i temi etici più rilevanti che i medici debbono affrontare nella professione; una base culturale per la stesura del nuovo testo.

In questo ampio confronto qualche punto merita ulteriori approfondimenti, due in particolare, la responsabilità del medico in epoca di Intelligenza Artificiale e il rapporto tra deontologia e formazione, cioè su come valutare sul piano deontologico la formazione del medico.

Nella discussione sui problemi posti dall’I.A. alla medicina e alla sanità, affrontati nel convegno nei suoi molteplici risvolti, compresi i profili di responsabilità del produttore e dell’utilizzatore, un aspetto è meritevole di ulteriore attenzione.

Sono già molteplici le applicazioni della telemedicina e, entro pochissimi anni, la professione sarà immersa in quest’ambito tecnologico col rischio di stravolgere la “fisicità” della visita medica nella virtualità. Come sopravvive il rapporto col paziente all’interno di un contatto sensorialmente limitato e poco produttore di empatia?


L’ICT non potrà non influenzare la metodologia con la quale finora il medico è giunto alla diagnosi, alla prognosi e alla terapia. Nello smartphone si porranno a confronto i dati biologici del paziente, la sua anamnesi e la narrazione del suo vissuto, con i risultati della letteratura: l’app proporrà la soluzione.

Sarà come seguire una linea guida? No. Non è la stessa cosa: la linea guida provoca un confronto mentale con ampio spazio di libertà, l’app offre un risultato scritto, frutto dei big data immessi nello strumento, ai quali non è facile opporsi. E’ assai probabile che il medico vi si affidi diminuendo il grado di libertà e di autonomia della scelta.

Ma l’IA impara deep learning a partire dai dati immessi e sussistono già esempi di informazioni distorte che hanno condizionato gravi errori di valutazione: se gli ipertesi maschi, di solito ultra sessantenni, spesso sono calvi, potrebbe l’app dare consigli per la calvizie come terapia antipertensiva.

Immaginiamo questa fantasia in tribunale durante una causa per colpa medica, fondata sulla ricerca della responsabilità oggettiva, cioè della “verità” da parte di un magistrato assetato di certezze. L’incontro del diritto -ormai ingestibile per somma di leggi confuse e per la sempre più esile concatenazione dei fatti spacciata per causalità- con la medicina, scienza probabilistica, fa sì che, di fronte a una pretesa colpa professionale, il giudizio sia aleatorio se non casuale.

L’IA impone un drastico ripensamento sulla responsabilità professionale: passare dalla cultura della sanzione a quella no blame. Se durante una procedura sanitaria si è concretizzato un danno, stabilito che non vi è responsabilità del danneggiato, si deve semplicemente provvedere a risarcirlo.

Nella medicina moderna l’errore professionale va affrontato sul piano formativo e contrattuale, senza sanzioni penali, fatto salve le eventuali infrazioni deontologiche, e non mancano gli esempi in molti paesi.

Limare il concetto di responsabilità potrebbe tuttavia incidere sulla libertà di scelta del medico. Una cultura della potenzialità euristica dell’errore (formazione versus sanzione) trasferita sul piano contrattuale, verso una giustizia riparativa e non vendicativa, risponderebbe a moderne istanze giuridiche e manterrebbe inalterata l’autonomia professionale.

La valutazione no blame dell’errore medico e quindi della “colpa professionale” è riconosciuta in tutti i testi sul rischio clinico e in molteplici documenti ministeriali. E’ chiaro che occorre una legge per modificare gli aspetti penalistici e civilistici. Ma il Codice Deontologico potrebbe muoversi in quest’ambito sia sul piano del rapporto tra errore e colpa professionale che su quello dell’intreccio deontologico tra errore professionale e formazione.

E’ proprio il valore deontologico della formazione che merita ulteriore riflessione. Il Codice Deontologico vigente, riaffermato l’obbligo del medico all’aggiornamento costante e alla formazione continua delle conoscenze e delle competenze tecniche e non tecniche, sceglie una strada precisa: “l’Ordine certifica i crediti acquisiti da ciascun iscritto e ne valuta le eventuali inadempienze”.

Fu deciso allora di sottostare a un regime normativo pubblico. L’Ordine valuterà il livello di formazione degli iscritti sulla base dei crediti conseguiti secondo gli indirizzi e le norme emanate dalla Commissione Nazionale presieduta dal Ministro. Una scelta unica in un Codice che si fonda sull’assoluta autonomia rispetto alle leggi sia pur nel quadro dei valori della Costituzione.

In questo quadro non si può sfuggire a due questioni: da un lato una riflessione sul rapporto tra formazione continua e deontologia, dall’altro all’imminenza delle sanzioni che gli Ordini dovranno comminare agli iscritti che non siano in regola con i crediti previsti dalle direttive ministeriali. Credo che il ragionamento da fare sia più ampio.

Il medico deve adeguare le proprie cognizioni e migliorare comportamenti e skill. La formazione continua ha aspetti cognitivi e professionali. I primi si potrebbero misurare con il meccanismo classico dell’esame, i secondi valutare sulla capacità di problem solving. Nella libera professione è giudice il cliente e il medico impreparato uscirà dal mercato; se il medico esercita come dipendente o convenzionato la valutazione spetta al datore di lavoro che ha interesse a fornire ai clienti un’assistenza di qualità. In tal caso l’obbligo formativo è contrattuale e deve essere valutato nelle forme concordate tra le parti.

Dal punto di vista professionale la formazione rientra nel vasto tema della valutazione dei risultati, un tema sul quale il Codice Deontologico non ha trovato un concreto punto di caduta. Il sistema dei crediti ECM è più volto all’acquisizione di nozioni anche se non trascura la parte professionale. La valutazione dell’avvenuta formazione dei medici, alla quale si apprestano gli Ordini, mentre ha un evidente appiglio contrattuale non è chiaro come si possa meccanicamente agganciare al possesso di un numero di crediti formativi stabiliti in via amministrativa da un organo del SSN.

E la deontologia? Un senso ha una norma ottativa, che spinge il medico a mantenere adeguate anzi a migliorare le proprie performances professionali, un altro ha una norma dispositiva che misura la formazione con il metro dei crediti e sul quale fonda una valutazione disciplinare. Dal punto di vista squisitamente deontologico, interessa non tanto la meccanica dei crediti quanto la capacità di ciascun iscritto di saper affrontare i problemi che gli si presentano secondo le più moderne acquisizioni scientifiche, in una relazione umana corretta, senza sprechi di risorse, seguendo una metodologia riconosciuta.

Ma come valutare questa competenza? E, comunque, quali strumenti valutativi possiede l’Ordine in base alla legge vigente, la 3/18, qualora si volesse dar corso a questo ragionamento? Non è chiaro il nesso tra formazione e deontologia se non sul piano esortativo. Al di là di un possibile ruolo dell’Ordine, in quanto ente sussidiario dello Stato, nei riguardi dei liberi professionisti, una valutazione deontologica dello stato di adeguamento professionale di ciascun medico, derivante dal continuum formativo personale, richiamerebbe piuttosto quell’istituzione, mai concretizzata per quanto discussa, che è la ricertificazione della laurea.

Un compito siffatto potrebbe essere affidato all’Ordine nell’ordinamento italiano? Penso proprio di no. La parola “ordine” richiama un mondo di regole in cui si colloca con difficoltà quell’assoluta autonomia professionale che gli “Ordini” rivendicano. Che ne verrà in un diverso clima politico? Nonostante questo ragionamento, sul quale sarebbe bene riflettere, gli Ordini seguiranno le indicazioni della Commissione ECM, nonostante la grande difformità dell’offerta formativa, temo in mezzo a difficoltà e controversie in un quadro di debole aggancio alla deontologia.

In conclusione sia la responsabilità in tempi di I.A. sia la misura deontologica della formazione rappresentano due spunti di discussione per il prossimo Codice Deontologico e per una visione della professione più aderente all’evoluzione dei tempi.

Antonio Panti

P.S. Il 31 gennaio, con il decreto milleproroghe, il Governo ha prorogato di un anno la scadenza dei crediti ECM; di conseguenza dovrebbe essere spostata la data del controllo ordinistico. Come spesso accade la fase sperimentale non finisce mai e ci si trova stretti tra una prassi inconcludente e gli interessi che nel frattempo si sono formati. Suggerisco un tavolo di riflessione.



09 gennaio 2023
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