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In sanità beati sono i monocoli nella “terra dei ciechi”

di Vincenzo D'Anna

28 SET -

Gentile direttore,
nel suo continuo ribollire di propositi di riforma, malcontento degli operatori e sperperi accumulati nei "centri di costo" delle Regioni, la sanità italiana versa in condizioni a dir poco...caotiche per non dire disperate!

Come in ogni altra fattispecie, la devoluzione di funzioni dallo Stato alle istituzioni territoriali sussidiarie (leggi: enti locali) ha comportato - ed ancora comporta - un dispendio via via sempre più elevato, che finirà col gravare sul già pesante debito statale e di conseguenza sulla tassazione e sulla compartecipazione alla spesa (ticket) imposta a malati e contribuenti. Fino a quando il maggior "esborso" registrato sarà frutto del varo di nuovi presidi sanitari in grado di erogare prestazioni necessarie ed efficaci, allora poco male, perché il maggior esborso sarà compensato da una migliore assistenza.

Diverso è invece il caso di quel comparto destinato ad aumentare senza che però si elevino o si incrementino qualitativamente l'offerta e l'erogazione di prestazioni. Un aspetto, quest'ultimo derivante da fatti quasi ontologici alla gestione statale, ossia di tutti quegli ambiti nei quali lo Stato la fa da monopolista in nome di una vecchia menzogna: contrabbandare la pubblicità del servizio sanitario con la gestione statale del medesimo. I cultori di questo assioma sono molti ed ancor di più sono coloro i quali da quel paradigma illogico traggono convenienze personali oppure di categoria. Una verità che raramente si riesce ad ascoltare nelle aule parlamentari e nei cosiddetti consessi patrocinati dalle istituzioni sanitarie pubbliche.

In quei luoghi esiste da tempo immemore una vulgata che ci racconta come, non essendo lucrativo, il servizio statale sia dotato di una superiorità etica dei fini, ossia che le cure siano disinteressate e depurate dal guadagno. Così non è perché un posto letto (o le stesse cure erogate) nel pubblico viene pagato caro e amaro ed a piè di lista, ossia, fino ad un ammontare, per la medesima prestazione, pari al doppio se non al triplo rispetto a quella che viene contabilizzata nell'analogo comparto pubblico a gestione privata accreditata ove, invece, si paga a tariffa!

Morale: i debiti, essendo accollati al contribuente, finiscono per gravare, in un secondo momento, sullo stesso anche in termini economici. Per non parlare poi dei costi di gestione fissi e ricorrenti come stipendi, compartecipazione e plus lavoro, mantenimento della struttura e dei suoi requisiti di accreditamento. Ovviamente dentro la sanità pubblica serpeggiano anche inconfessati interessi politici e clientelari che sono moralmente deprecabili e fonte di disfunzioni e di arbitrii. Ma diamo per scontato che ciò debba continuare ad essere per comodità, rendita politica e sindacale di un intero sistema, ancorché ammantato dai sublimi propositi presupposti dalla gestione statale del servizio sanitario, e veniamo alle ulteriori disparità che questo alimenta. Disparità che creano non poche questioni di equità nell'assistenza.

E' il caso della differenza di trattamento che le leggi (e le consorteria dei potenti sindacati) hanno fin qui avallato, per le figure socio sanitarie. Mentre, infatti, per il privato accreditato si risparmia tagliando le tariffe di remunerazione a piacimento da un quarto di secolo a questa parte, nel pubblico questo contenimento della spesa lo si realizza facendo...parti eguali tra diseguali!

La prima e più grande disuguaglianza origina dal riparto del fondo sanitario, che non tiene conto della disparità di ricchezza prodotta dalle singole regioni, onde per cui i cittadini delle regioni più ricche potranno acquistare prestazioni non previste dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) oppure rese inarrivabili stante i tempi biblici di attesa. Quelli invece delle regioni più povere, a parità di finanziamento statale, avendo minori risorse, dovranno praticamente...arrangiarsi!! Ma vi è di più. Intere categorie sanitarie vengono retribuite con criteri diversi e diversi premi accessori, in un sistema pubblico nel quale i criteri di merito e produttività sono trattati alla stregua di vaghi indicatori, verificati non da organismi terzi ma dalle consorterie interne.

Ed ancora per gli specializzandi delle professioni sanitarie che, seppure impiegati già ordinariamente nei reparti, sono discriminati a seconda del titolo di studio conseguito. Una recente protesta degli specializzandi medici, opportunamente ospitata sulle colonne di questo stesso portale, ha rilevato la loro giusta insoddisfazione.

Chissà cosa dovrebbero dire allora gli specializzandi non medici (Biologi, Farmacisti, Chimici e Fisici, Psicologi) che non percepisco un solo centesimo di borsa per la specializzazione! Ed i titolari di strutture di laboratorio accreditate le cui tariffe sono state tosate del 50% nell'ultimo lustro pur essendo quella spesa incidente per lo 0,56% rispetto a quella totale? Cosa dovrebbero dire costoro?

Al Ministero del Tesoro si utilizzano i cannoni per sparare alle mosche! Tuttavia c'è chi si lamenta e chi subisce. Insomma, in sintesi, potremmo dire che in sanità beati sono i monocoli nella "terra dei ciechi".


Vincenzo D'Anna
Presidente della Fondazione Biologi Italiani



28 settembre 2023
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