Gentile Direttore,
in merito alle ricorrenti polemiche/lamentele che sorgono ogni anno quando si analizzano i dati di non presentazione ai concorsi di selezione per le scuole di specializzazione, mi sembra utile condividere alcune riflessioni che ho maturato in questi anni, acutizzate negli ultimi in cui la carenza di medici specialisti (e non solo in psichiatria, di cui mi occupo) è sempre più evidente.
Il problema delle risorse disponibili si incardina al problema della attuale organizzazione dei concorsi di accesso alle scuole di specializzazione e alla successiva "gestione" degli assistenti in formazione (termine forse più adeguato rispetto a quello di specializzandi).
I dati parlano abbastanza chiaro: il 38% di contratti disponibili per le scuole di specializzazione è andato deserto, e di questi la quota finanziata dalle Regioni è quella che ha patito di più (se ho letto bene le tabelle, il 58% delle borse regionali è andato non assegnato, rispetto al 26% di quelle ministeriali). La sofferenza è distribuita tra tutte le specialità, con particolare evidenza nelle specializzazioni a basso potenziale di attività privata libero-professionale. Questo indica, come già messo in luce da altri numerosi commentatori (tra cui anche le diverse sigle sindacali), che i neolaureati scelgono una formazione che si allinei ai loro percepiti bisogni di tranquillità e di possibile sviluppo economico (infatti vanno deserte le aree dell'urgenza e le aree della diagnostica, massimamente, e quelle in cui l'impegno nei servizi pubblici è maggiore, nella mediana).
Certo, le remunerazioni degli assistenti in formazione sono basse (come ha messo in luce ANAAO Giovani e ALS), ma sono basse su tutto lo spettro formativo: però alcune specialità sono "desertificate" di più. Quindi non è quello il motivo primario (di certo una concausa ma non l'unica nè la principale).
Certo, la figura di assistente in formazione è una figura ibrida, bloccata tra dinamiche di potere degli Atenei e bisogni del SSN/SSR, con scarsi riconoscimenti di autonomia (di recente in Regione Lombardia abbiamo - faccio parte di quel tavolo - rivisto e pubblicato un significativo rinnovamento del cosiddetto Libro delle Autonomie per favorire una maggiore responsabilizzazione degli assistenti in formazione), con spesso inesistenti nodi della rete formativa extra universitaria (e quindi la non possibilità di esperire nella realtà vera dell'attività medica la propria formazione - anche qui in Lombardia, almeno per la branca di Psichiatria, abbiamo costruito una capillare rete di nodi formativi territoriali convenzionati con tutte le scuole di specializzazione regionali), e l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Ma quello su cui vorrei spendere due parole per favorire una riflessione è questo: quando mi specializzai io (tanti anni fa...), i concorsi di selezione erano localizzati, favorivano chi viveva (e potenzialmente poteva poi lavorare) nel territorio di riferimento dell'Ateneo in cui concorreva, ed in ultima analisi si creava una sorta di fidelizzazione anche per eventuali concorsi di assunzione in ruolo. L'attuale sistema di selezione su base nazionale, invece, determina l'assegnazione dei candidati in sedi che possono anche essere non gradite, che impongono spese accessorie (vitto, alloggio, trasporti) che impattano in maniera significativa su un già scarso riconoscimento economico. E a questo riguardo anche le borse regionali potrebbero avere un maggiore significato in quanto verrebbero erogate all'interno di un sistema che potrebbe vedere impiegate proficuamente le risorse che in Regione si sono formate. Una rivisitazione dei sistemi selettivi e di assegnazione potrebbe forse favorire un maggiore appeal ai candidati.
Un altro aspetto meritevole di riflessione è, grazie o per colpa della pandemia, quello che ha determinato il "decreto Calabria" nei suoi diversi sviluppi. Al momento gli specializzandi possono accedere ai concorsi pubblici ma con una serie di vincoli che spesso o scoraggiano il potenziale candidato (di fatto la presenza dell'Azienda richiedente nella rete formativa, ma solo su base regionale, altrimenti deve essere costruita una convenzione ad hoc con l'eventuale Ateneo extraregionale...), oltre al fatto che i vari Direttori di Scuola sono sempre molto restii a "concedere" l'autorizzazione allo specializzando vincitore di concorso a prendere servizio. Indubbiamente ci sono specializzazioni ad alto impatto "tecnologico" in cui la garanzia di essere formati in una struttura universitaria specificamente costituita è garanzia di adeguata formazione, ma ci sono anche numerosissime altre specializzazioni in cui invece la componente esperienziale è prevalente, e questa può essere espressa anche nei nodi della rete formativa. Quindi, a parere mio, si dovrebbe trovare una contemperazione tra i diversi bisogni: degli Atenei di avere persone che sostengono le attività di ricerca, degli assistenti in formazione di avere una adeguata formazione specialistica, ma anche degli "erogatori" di avere menti giovani che innovino i servizi stessi sul piano culturale ma anche rappresentino utili risorse operative e a cui in ogni caso passare competenze esperienziali che solo nelle reti erogative si possono maturare.
La riflessione precedente apre anche la riflessione rispetto alla, invece, eccessiva autonomia lasciata agli specializzandi rispetto alla scelta dei nodi della rete formativa disponibili. Certo che se lascio libertà di scelta alcuni nodi non verranno mai scelti (anche alla luce magari della scomodità per uno specializzando che proviene da un'altra Regione o dalla maggiore attrattività degli Atenei metropolitani), il che depaupera il sistema erogativo pubblico di potenziali fattori di sviluppo e lo specializzando di potenziali fattori formativi. La revisione di questo meccanismo, quindi, è un altro elemento critico dell'attuale sistema.
Infine, e collateralmente, bisognerebbe che chi si forma a spese della collettività (i soldi delle borse che sostengono gli stipendi degli specializzandi sono derivati dalle nostre tasse) debba essere in qualche modo vincolato a "restituire" il periodo formativo a favore della collettività con un impegno a dare alcuni anni del suo lavoro a favore del SSN/SSR. Scopriremmo così che non mancano i medici, ma manca la volontà di dedicarsi alla collettività. Spero di sbagliarmi, ma credo che una riflessione anche in questo senso sia doveroso farla, "colà dove si vuole ciò che si puote".
Altre e collaterali riflessioni possono essere aperte, ma queste mi sembrano prioritarie per dare significato ai diversi tavoli che il Ministero ha aperto per risolvere l'attuale affanno del sistema sanitario pubblico (ma anche di quello formativo, che ad esso è strettamente correlato).
Dott. Federico Durbano
Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze
Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Melegnano e della Martesana