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Dalla tragedia di Prato a quella di Firenze

di Renzo Berti

01 MAR - Gentile Direttore,
Prato 1.12.2013, Firenze 16.2.2024. Due date atroci per la Toscana, teatro a distanza di dieci anni di due stragi sul lavoro: 7 e 5 morti. In questi giorni c’è grande attenzione sul tema. Ed è giusto così, perché al di là del lavoro di competenza della magistratura, è doveroso interrogarsi sulle cause, provare a capire cosa è accaduto, valutare cosa è stato fatto in questi dieci anni. Riflettere, soprattutto, per evitare le risposte superficiali. Perché di solito accade così: spesso, la giusta reazione emotiva, spalanca le porte ad esternazioni frenetiche, a ricette immediate, semplicistiche ma roboanti, più utili ad occupare la scena che a produrre effetti concreti.

Tra queste, le più consuete accoppiano la richiesta di inasprimenti di pena a quella di maggiori controlli. Quasi a sottintendere che la responsabilità dei fatti scaturisca da insufficienze ispettive.
Un fronte, quello dei controlli, su cui peraltro c’è grande confusione ed un deficit culturale di attenzione ben evidenziato dal paradosso che vede invocare la prevenzione sempre a valle di una tragedia.

È accaduto per il Covid. Accade adesso. Invocazioni che si perdono poi rapidamente nel vento. Basterebbe fare un po’ di conti per rendersi conto di quanto le file degli addetti alla prevenzione si siano drasticamente ridotte. Ma anche delle contraddizioni sul fronte normativo.

Dal 1978 e fino a poco tempo fa il compito di vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro era saldamente nelle mani del SSN tramite le ASL. Recentemente è stato affiancato l’Ispettorato del Lavoro fin lì chiamato a controllare soprattutto gli aspetti relativi alla regolarità dei rapporti contrattuali. Ne discussi qualche anno fa con l’allora direttore nazionale Bruno Giordano, rappresentandogli l’importanza di salvaguardare la competenza del Servizio Sanitario per favorire l’integrazione dell’attività repressiva con quella di prevenzione. Mi rispose che capiva bene le mie ragioni, ma che commettevo un errore o per meglio dire una sottovalutazione.

Parlavo infatti da operatore della Toscana basandomi sulla nostra situazione di consolidato impegno sul campo, inconsapevole che in altre realtà, soprattutto al sud, queste funzioni sono pressoché totalmente sguarnite e che se si voleva affrontare il problema su scala nazionale era necessario imboccare altre strade. Avevamo probabilmente ragione entrambi.

D’altra parte in questi anni l’attenzione su questi temi del Ministero della Salute è stata, per usare un eufemismo, alquanto flebile, delegando di fatto ad occuparsene il Ministero del Lavoro da cui l’Ispettorato dipende.

Non credo comunque che le stragi,dipendano dagli aspetti sin qui citati. Ma neppure, diciamolo con chiarezza, da una malintesa fatalità. Gli incidenti sono sempre provocati da scelte o da errori, da cause insomma evitabili. Il fato non c’entra per niente.
C’è invece un problema di fondo, economico e culturale.
I ripetuti shock economici negli ultimi anni hanno esasperato la competizione, oggi spesso giocata più che sulla qualità sulla riduzione dei tempi di produzione e sul basso prezzo dei materiali.

La delocalizzazione nei Paesi dove è basso il costo della manodopera è stata progressivamente affiancata e in qualche caso sostituita dall’impiego in loco di manodopera sottopagata, spesso di provenienza estera, al nero e per nulla formata. Si è così sviluppato uno spazio importante di illegalità consapevole, che in quanto tale va repressa tout court. Non c’è spazio in questi casi per un’opera di mediazione e supporto. E’ ad esempio quanto abbiamo fatto in questi anni aggredendo il moloch del distretto parallelo cinese, stimolandone a suon di sanzioni (28 milioni gli euro incassati in 10 anni) la progressiva emersione.

Il fenomeno non è certo debellato, ma i dati di fatto testimoniano un grande cambiamento.
Sarebbe però sbagliato fare di tutta l’erba un fascio. Per fortuna ci sono infatti anche esempi virtuosi, aziende che hanno ben compreso l’importanza di investire nella sicurezza. Mi ha fatto un’ottima impressione vedere installati all’ingresso di alcune di queste un orologio che conta il tempo trascorso dall’ultimo infortunio.

E poi c’è la fetta, a mio avviso la più grossa, delle tante piccole imprese disorientate nell’applicazione delle norme, che faticano a tradurre la buona volontà in azioni coerenti, a comprendere come meglio operare, con il rischio di trasformare la prevenzione nella messa a punto di misure formali, in pacchi di carta confezionati per restare chiusi in qualche cassetto.

Sono proprio queste quelle che, con il prezioso supporto del loro mondo associativo, occorre aiutare, supportare attraverso attività di informazione ed assistenza. Perché, ed è questa la conclusione del mio ragionamento, per avere risultati migliori, per evitare gli incidenti e le morti, il ruolo fondamentale non può che essere nelle mani degli addetti ai lavori.

Titolari di impresa e maestranze, che con il contributo fondamentale dei RLS, devono comprendere che la sicurezza è il primo gradino della responsabilità di impresa e che le risorse impegnate al riguardo rappresentano un investimento anche sotto il profilo economico.
Il danno prodotto da un incidente può infatti avere effetti devastanti e la produttività di chi si sente tutelato è certamente migliore di chi si trova ad operare in contesti a ciò disattenti.

Sarebbe importante riconoscere questo tipo d’impegno e renderlo premiante. Riconoscere il merito è più efficace che punire!

Renzo Berti
Direttore del Dipartimento Prevenzione ASL Toscana Centro Coordinatore del Piano regionale toscano Lavoro Sicuro

01 marzo 2024
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