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Disparità tra i servizi di salute mentale, non è solo un problema di risorse  

di Andrea Angelozzi

09 MAG - Gentile Direttore,
l’ultimo rapporto della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, riportato in Quotidiano Sanità, conferma nella sua analisi quello che già da anni emergeva dai dati del Sistema Informativo Salute Mentale, e cioè la profonda differenza che esiste fra le varie Regioni in materia di salute mentale.

Sono differenze che non riguardano solo le risorse, economiche e di personale, ma anche le prestazioni, delineando stili di lavoro diversi e quindi proposte di soluzioni diverse, nell’affrontare problemi simili.

Giustamente si ritiene che il regionalismo abbia favorito questa condizione e mette in guardia dai rischi cui può portare il nuovo regionalismo differenziato, nell’accentuare il solco fra le varie regioni e quindi il diritto dei cittadini di vedere adeguatamente rispettati i loro bisogni di cura. Come giustamente si invocano strumenti che consentano una maggiore disponibilità di risorse ed una loro maggiore omogeneità fra le realtà regionali.

Temo tuttavia che il problema abbia trovato nel regionalismo solo un terreno facilitante, e la questione sia invece più strutturale, richiedendo quindi interventi necessari più complessi.

In un curioso gioco di frattali, quando sono stati analizzati ad esempio i dati delle singole Aulss del Veneto, è emerso un ulteriore quadro di frammentazione con profonde disparità locali fra i Dipartimenti di Salute Mentale nelle risorse e negli interventi, configurando una variabilità, che probabilmente non appartiene solo al Veneto, ma è presente anche nelle altre regioni. E nei vari DSM ove ho lavorato ho sempre trovato una diversità nelle risorse e negli stili anche nelle singole Unità operative complesse e nei singoli loro Centri di Salute Mentale. E che dire dei diversi modi di fare psichiatria dei diversi professionisti nello stesso CSM? Inutile dire che o il problema non era sentito, o, dove si cercava di metterci mano, si trovavano enormi difficoltà.

Sarebbe interessante vedere se una tale frammentata diversità compare anche in altri ambiti della medicina ma personalmente, se presente, dubito che raggiunga una tale entità.

Credo che infatti che nella salute mentale si incontrino tre problemi.

Il primo è che la psichiatria - per dirla con Kuhn - ha ancora una struttura pre-paradigmatica. Non è passato molto tempo da quando il Manifesto degli psichiatri italiani criticava un approccio scientifico tecnico, rivendicando il privilegio della relazione e della empatia, dimenticando quando Paul Bloom, ripercorrendo peraltro sentieri già percorsi da psicoterapeuti, nel suo “Against Empathy” segnalava i pericoli di una empatia che abbia il privilegio sulla razionalità. Un po' più tempo è passato da quando gli approccio basagliani legavano la psichiatria più alla sociologia che non alla medicina. Il tutto mentre gli attuali congressi di psichiatria ribadiscono la necessità di un approccio puramente scientifico, dove però la scienza si traduce spesso con una mera impostazione biologistica.

Non è accettabile che il paziente sia in balia di questo universo approssimato e occorre tenere presente che questa babele non può togliere il diritto del cittadino ad avere interventi di comprovata efficacia, che dovrebbe essere lo sfondo costante di indicazioni generali a cui attenersi. Mi rendo conto che i vari PDTA in ambito psichiatrico hanno costituito un tentativo in questo senso, ma è del tutto evidente che il loro destino era di rimanere un puro esercizio intellettuale se non venivano parallelamente stabilite l’organizzazione e le risorse che li doveva garantire.

Il secondo è legato alla struttura stessa del SSN così come ora è organizzato, dove logiche localistiche e politiche prevalgono nelle scelte, ed ai tecnici è riservato un puro ambito di contorno, ove viene richiesto più di adeguarsi che di decidere. Questo lascia le scelte organizzative alle singole volontà amministrative locali, per necessità che solo talvolta combaciano con quelle degli utenti. Il tempo in cui giustamente si diceva che determinate scelte tecniche erano anche scelte politiche è passato nel momento in cui la politica ha cambiato forma, trasformandosi più nella ricerca di consensi ed in una gestione del quotidiano che in modelli ideali. Direi che è il tempo di rivedere questi modelli.

Il terzo è legato ai Lea e come sono verificati. Sono del tutto inutili i 22 items generici del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 se poi gli indicatori del NSG del 2019 ne prendono solo tre, consentendo serenamente di non ottemperare agli altri, certi che non ne verrà alcuna conseguenza se non il malcontento degli utenti, peraltro a difficile espressione nei media. Occorre un sistema LEA più completo e meno generico e strumenti di verifica decisamente più rispondenti alla realtà delle cose.

Se questi aspetti non vengono affrontati, qualunque - peraltro improbabile - aumento nelle risorse rischia di mantenere l’aspetto approssimato del modello degli interventi, la iniquità per gli utenti che deriva dalla applicazione di modelli diversi, e la rispondenza più a necessità politiche locali che non ad una effettiva utilità per i cittadini.

Andrea Angelozzi
Psichiatra

09 maggio 2024
© Riproduzione riservata

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