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Il divieto di donare il sangue per gli omesessuali Usa (e non solo)

di Mario Converti

13 GIU - Gentile Direttore,
a ventiquattro ore dalla strage di Orlando, la peggiore negli Stati Uniti d'America, è sorto il problema che, per salvare la vita ai numerosi feriti gravi, gli stessi omosessuali non potranno donare il proprio sangue. Donare il sangue alla patria fa parte di una retorica troppo simile a quella di chi odia gli omosessuali, e tra questi non posso non citare i miei colleghi, che ancora sul tema della depatologizzazione e della genitorialità si tacciono o si producono in violente filippiche.
 
Voglio anche ricordare i sette anni passati in tribunale dal collega Mimmo Ronga, per avere concesso già tanti anni fa ad un omosessuale di donare il sangue e salvare così tante vite, ricostruito nel libro Rinviato a Giudizio.
 
Siccome per la raccolta anagrafica, in Italia, le persone omosessuali esistono solo quando donano il sangue o fanno il test HIV, questo doppio giudizio morale, cui si aggiunge ancora la voluta confusione tra pedofilia e genitorialità, ma soprattutto la mancata depatologizzazione dell'omosessualità, dipende ancora dall'assenza di una discussione medica e scientifica pubblica nel merito. Penso anche ai medici di famiglia, che potrebbero avere il ruolo insieme ai consultori di sostenere il benessere, a partire dall'adolescenza e dal Coming Out, delle persone Lgbt.
 
Il nostro silenzio è complice di chi ha commesso la strage e di chi discrimina!
 
Le battaglie del mondo Lgbt e le scelte politiche del nostro Paese hanno portato già da tempo a garantire la parità nel diritto di donare il sangue per salvare tante vite, ma la maggioranza delle persone Lgbt, e ne conosco davvero molte io, sono ancora diffidenti o più semplicemente non hanno mai fatto Coming Out, per cui mentono da sempre all'atto della donazione.
 
In Europa il quadro è desolante dopo la sentenza della corte europea che ammetteva lo status quo, ovvero la discriminazione dei donatori sulla base generica dell'orientamento sessuale e non dei comportamenti a rischio o di un test preventivo. Sono solo cinque le nazioni, tra cui l'Italia, a garantire, almeno in questo, la parità dei diritti.
 
Il mondo medico però non può vantarsi di questo risultato, perché non è avvenuto per una scelta scientifica discussa e condivisa, ma per una lotta politica vinta da parte dei diretti interessati.
 
Non si è mai spezzata la catena del silenzio, in un Paese in cui, da quando è iniziata la discussione sulle Unioni Civili, ancora non si è sentita una sola voce medica a favore, oltre la mia, mentre i pulpiti, i mass media e le piazze hanno risuonato numerose volte contro le persone Lgbt, reclamando esplicitamente la morte per fucilazione o in altri modi orrendi.
 
Vogliamo forse dimenticare i numerosi colleghi, tra i quali l'organizzatore del Family Day, che non si è mai occupato della crisi economica o dei casi di pedofilia clericale e familiare, e che non sono mai stati richiamati dalla Fnomceo o dal Ministro Lorenzin, cosicché continuano a insegnare pubblicamente, contro ogni opinione e lavoro scientifico internazionale, che noi omosessuali dobbiamo e possiamo essere “curati”?
 
Il nostro silenzio è complice di chi ha commesso la strage e di chi discrimina!
 
Manlio Converti
Psichiatra
Attivista diritti Lgbt

13 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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