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Quando il lavoratore malato “simula” la guarigione

di Giuliana Tasca (Anmefi)

27 OTT - Gentile direttore,
il titolo volutamente provocatorio, a compensazione del più frequente luogo comune di “simulazione di malattia”, vuole denunciare un fenomeno affatto raro e figlio di un contesto sociale, economico e politico che ha trasformato il mondo del lavoro.

Si vuole entrare in merito non solo allo  stato di inabilità temporanea ed assoluta al lavoro, genuina e dimostrabile, ma anche ai casi in cui il percorso alla “restituito ad integrum”  sia sacrificabile per interruzione  del ristoro psico-fisico come scelta volontaria del paziente.

La proliferazione dei contratti a tempo determinato e la precarietà in tutte le sue forme, il blocco del turn-over, ormai da molti anni, per i contratti tutelanti della pubblica amministrazione,  hanno reso il lavoratore vulnerabile  e poco efficace l’azione dei sindacati  nel far rispettare i diritti acquisiti nei decenni passati.

Contemporaneamente, il medico fiscale, recepito da sempre come controllore del lavoratore in malattia, ha riscoperto un ruolo delicato di operatore della salute  a tutela di tutte le parti, lavoratori, professionisti, imprenditori ed istituzioni.

Infatti, il rientro anticipato in servizio dell’assicurato che usufruisce dell’Istituto della malattia non è più solo decisione meditata e oculata del medico fiscale,  non raramente avviene per  volontà del lavoratore che interrompe consapevolmente il ristoro necessario al completo recupero psico-fisico.  La permeabilità al colloquio  nel binomio medico fiscale e paziente durante la visita, rende possibile accedere alle motivazioni di tali scelte che isolate o molteplici sono sempre le stesse.  In primis, il timore che un contratto in scadenza non sia più rinnovato, ma anche timori di demansionamento, mobilità, riduzioni di indennità o di premi di produzione, mobbing.

Il compito del medico fiscale e del medico di famiglia, in tali circostanze , accertata la persistenza di una sintomatologia in atto,  è quello di fornire una completa informazione rispetto alle conseguenze di natura medica ,tecnica ed economica di un rientro sul posto di lavoro in assenza di idoneità.  
Contagio, rischio di aggravamento clinico e probabili ricadute, limitazioni rispetto ai supporti tecnici di prevenzione agli infortuni (ad es. astenersi dalle scarpe anti-infortunistica per le patologie di piede e caviglia non guariti), inabilità residua specifica, rappresentano un pericolo potenziale per sé, i colleghi e il datore di lavoro e un aggravio economico per tutta la società.

In conclusione, questo scritto destinato  a molte categorie di cittadini, non trascura affatto la Dirigenza dell’Istituto Nazionale di Previdenza  Sociale. Il medico fiscale, la cui efficienza è monitorata dall’Ente tramite parametri quantificabili di riduzione e chiusura delle prognosi, non viene meno alla sua natura fiduciaria  nell’atto di prevenire un aggravio economico a breve e medio termine per l’Istituto contrastando il rientro anticipato in servizio, qualora sia necessario.

 Si legge nel Messaggio Inps 12 settembre 2014,n.6973  :
……non potendo conoscere né la diagnosi né l’effettivo contenuto incapacitante della malattia, lo stesso datore di lavoro non è in grado di valutare se e in che misura il dipendente – che desideri rientrare in servizio anticipatamente rispetto alla prognosi formulata nel certificato prodotto – abbia effettivamente recuperato le proprie energie psico-fisiche tali da garantire se stesso e l’ambiente di lavoro da qualsivoglia evento avverso connesso ad una capacità di impegno non completamente riacquisita. Ne deriverebbe, diversamente, l’impossibilità di fatto per il datore di lavoro di assolvere agli obblighi imposti dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.

Il dipendente potrà essere riammesso in servizio solo in presenza di un certificato medico di rettifica dell’originaria prognosi. Poiché anche il medico di controllo può determinare la chiusura della prognosi, al pari del collega di medicina generale, entrambi , devono vigilare e non cedere a pressioni ingiustificate del lavoratore in assenza di idoneità specifica alla mansione.

La terzietà, la delicatezza  e attitudine nel rendere compatibili gli interessi  umani ed economici di tutte le parti, attingendo all’esperienza  acquisite nel tempo, restituiscono al medico fiscale un ruolo affatto ispettivo ma di operatore che fa salute anche sociale.
 
Giuliana Tasca
Associazione Nazionale Medici Fiscali (ANMEFI)

27 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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