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Hiv. Ecco cosa succede se medici e infermieri hanno paura

di Margherita Errico (Nps)

07 DIC - Gentile Direttore,
le scrivo una storia appena accaduta nella mia regione, la Campania, ad una persona con Hiv che qui con la mia lettera intendo rappresentare nella denuncia di un recente complicato episodio di stigma e discriminazione. Questo genere di fatti peraltro si stanno verificando sempre di più sulla pelle delle persone con Hiv e da tempo ormai, motivo per cui come NPS Italia - associazione di persone e pazienti con Hiv - abbiamo deciso di cominciare a rendere noti questi fatti. 
 
Salvatore,  aveva bisogno di un angiologo che lo operasse per dei problemi circolatori alle vene delle gambe che gli avrebbero potuto procurare un trombo. Viene individuato un angiologo tramite il medico di famiglia che opera all'ospedale  "A. Tortora" di Pagani. Alla visita fa presente la situazione clinica della sua sieropositività al virus dell'Hiv e di avere viremia azzerata da tempo.
 
L'angiologo è d'accordo per l'intervento e lo chiama per la cartella clinica. Salvatore col suo compagno si reca in ospedale per il prelievo sangue e tutto procedeva bene fino a quando si sono ritrovati a compilare la cartella clinica,  cioè l'anamnesi , con il caposala di chirurgia. Quando gli hanno presentato il certificato dall'ospedale di Salerno dove si evidenziava" hiv+" con viremia zero, il caposala alterato ha detto che un sieropositivo non sarebbe mai stato operato in quella struttura.
 
Anzi quando Salvatore e il suo compagno gli hanno detto che l'angiologo era a conoscenza della cosa, il caposala  ha risposto che aveva il potere di strappare la cartella di ricovero.
 
A questo punto, il suo compagno,  chiama sia il chirurgo che Margaret Cittadino, rappresentante sanitario della CGIL: il medico li rassicura che l'intervento si farà e Margaret ha accusato subito i rappresentanti sindacali dell'ospedale di Pagani. 
 
Il giorno dopo si prosegue con il controllo cardiaco e poi la visita anestesiologica. Il caposala avuto il rimprovero dai suoi superiori, si scusa con Salvatore e il suo compagno e dice loro che li chiameranno per l' intervento.
 
Sono stati chiamati dopo quattro settimane per una nuova visita angiologica e si accorgono che il medico era completamente impaurito: per cui Salvatore e il suo compagno spiegano per ore cosa vuol dire "viremia zero" , ma il chirurgo resta  preoccupato fino a quando la coppia non si rende conto che sarebbe stato meglio farlo parlare con il dott. Boffa, primario del reparto infettivi di Salerno. Il chirurgo a questo punto si fida e dice che farà  l'intervento. Salvatore e il suo compagno non capiscono, ma accettano senza fare polemica.

Arriva il giorno dell'intervento e il chirurgo in stanza fa presente che per questo intervento ha avuto problemi, richiede loro nuovamente la viremia da portare in sala operatoria e quando fanno la spinale a Salvatore, lui vede chiaramente gli infermieri che si allontanano dal tavolo operatorio appoggiandosi ai muri. Anche il secondo angiologo fa resistenze e aiuta pochissimo. L'angiologo per un intervento di un ora ci impiega così due ore ma alla fine esegue l'intervento. 

Il chirurgo comunica poi a Salvatore e al suo compagno che aveva avuto richiami degli altri chirurghi e dagli anestesisti, accusandolo perfino di un fantomatico interesse personale per la sua insistenza nel voler fare a tutti i costi questo intervento ad una persona con Hiv.
 
Questa la storia di un caro amico e del suo compagno, in particolare, che intendo aiutare nella denuncia di quanto accaduto e che a Pagani hanno avuto la necessità di affrontare un intervento chirurgico che possiamo definire di routine e che si è tramutato in una odissea per la persona con Hiv che si è vista più e più volte stigmatizzata pur nella sua totale onestà e trasparenza, che lo ha portato a dichiarare la sua patologia. 
Siamo alla frutta: fa forse bene chi non  dichiara la sua sieropositività al virus dell'Hiv?  Sopratutto se a carica virale azzerata? Mi chiedo in qualità di presidente di NPS Italia onlus - Network persone Sieropositive. 
 
Siamo tornati indietro quando eravamo discriminati come appestati. In una situazione del genere mi viene da pensare che il personale operante in questo ospedale non prende mai le dovute precauzioni, a rischio e pericolo prima di tutto per la salute dei pazienti che si operano e che possono contrarre qualsiasi tipo di infezione?
 
Mi viene da esigere e pretendere corsi di aggiornamento obbligatori per tutti gli operatori sanitari secondo quanto stabilisce la legge 135/90 su Hiv e Aids e non solo per gli operatori dei reparti di infettivologia perché ormai noi persone con Hiv abbiamo sempre più necessità di interventi di routine che vanno di pari passo con l'allungamento della nostra aspettativa di vita, ma anche con la nostra dignità di persone e pazienti aventi diritto alle cure come tutti i cittadini, poiché non siamo cittadini di serie B.
 
Ormai per le persone con Hiv tutti gli operatori sanitari si stanno rivelando i peggiori agenti discriminatori a fronte di un buono stato di salute raggiunto grazie alla cART, di fatto noi subiamo sempre di più trattamenti di questo genere che non possono essere più tollerati ma denunciati, sì! Ospedali del genere andrebbero direttamente chiusi perché un pericolo per chi va sotto i ferri senza nessuna tutela per la propria salute.
 
Come mi disse un chirurgo, non meno di un anno fa: "per me tutti i pazienti che opero hanno l'Hiv, per cui potevi anche non dirmelo della tua sieropositività al virus". Chirurghi come questi ce ne sono pochi ma dovrebbero essere docenti di questa classe di medici non aggiornata e non degni di ricoprire il ruolo che ricoprono col loro lavoro. #STOP HIVSTIGMA 
 
Margherita Errico
Presidente  Nazionale NPS Italia Onlus

07 dicembre 2016
© Riproduzione riservata

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