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Non sanitarizziamo ogni relazione umana

di Tommaso Valleri

22 GEN - Gentile Direttore,
ho letto l’articolo “Counselor. Stop del Ministero della Salute: “Loro attività si sovrappone a quella dello psicologo, pubblicato da Quotidiano Sanità lo scorso 20 gennaio. Che dire? Ci risiamo! Per la seconda volta a distanza di pochi anni, gli psicologi tornano in pressing nei confronti del Ministero della Salute. Mi preme tuttavia fare alcune precisazioni, anche alla luce del caos che si sta creando all’interno della nostra categoria.
 
Il virgolettato in cui si sostiene che le attività del counselor andrebbero a sovrapporsi con quelle dello psicologo non appartiene al Ministero (benché molti per ragioni meramente propagandistiche continuino a spacciarlo come tale), bensì all’Ordine degli psicologi. È infatti uno stralcio della delibera n° 45 del 24 novembre 2018 che il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) ha inviato al Ministero lo scorso dicembre.
 
In sostanza il Ministero non fa che riportare (tra virgolette, per l’appunto) una tesi dell’Ordine degli psicologi e, in ragione di tale tesi, chiede all’Ente Italiano di Unificazione (UNI) di sospendere il processo di normazione della figura professionale del counselor.
 
Anche in questo caso vale la pena precisare: non esiste alcun tavolo tecnico da chiudere, poiché il tavolo non è stato ancora aperto (proprio a seguito della recente inchiesta pubblica preliminare l’UNI sta valutando se aprirlo o meno) e infatti il Ministero parla correttamente di “sospendere le operazioni sul progetto di norma”.
 
Peraltro occorre ricordare che UNI è un organismo privato e che un Ministero non ha alcun potere di chiudere un processo di normazione, processo che sta avvenendo nel rispetto di molteplici norme dello Stato italiano e che vede coinvolti molteplici soggetti, tra cui proprio l’Ordine degli psicologi (sic!).
 
La situazione è fuori controllo: da una parte abbiamo l’Ordine degli psicologi che organizza, coinvolgendo alcune associazioni di categoria di counselor, una Consensus Conference con lo scopo di addivenire ad un accordo, dall’altra quello stesso Ordine lancia strali contro il mondo del counseling attraverso continui comunicati stampa.
 
Da una parte abbiamo l’Ordine degli psicologi che, non più tardi di alcuni mesi fa, non esprime un voto contrario alla riapertura del tavolo UNI, dall’altra quello stesso Ordine scrive al Ministero chiedendo la chiusura di quel tavolo.
 
Da una parte abbiamo psicologi che quotidianamente accusano i counselor di essere pseudoprofessionisti abusivi, dall’altra abbiamo quegli stessi psicologi che da oltre 20 anni formano (a pagamento) i futuri counselor.
Solo io vedo in tutto questo grandi contraddizioni e una posizione che, definire ambigua, è dir poco?
 
Con questa mia vorrei inoltre esortare il Ministero della Salute ad aprire un confronto anche con il mondo del counseling, giacché ritengo che una sua qualunque presa di posizione sull’argomento non possa prescindere dalle valutazioni di chi rappresenta migliaia di professionisti. Non si può, in buona sostanza, basarsi solo sulle istanze dell’Ordine degli psicologi che, per quanto autorevoli, sono chiaramente di parte.
 
Approfitto di questo Suo spazio per lanciare un appello a tutti coloro che, in Italia, a vario titolo si occupano di “benessere” (counselor, mediatori familiari, pedagogisti, sociologi, filosofi, etc.): non possiamo assistere inermi a questo tentativo promosso dall’Ordine degli psicologi di “sanitarizzare” tutte le attività che hanno a che fare con le relazioni umane. Non è pensabile, nel 2019, che un cittadino debba veder leso il proprio diritto alla libertà di scelta del professionista a cui rivolgersi.
 
Non tutto quello che attiene al tema del benessere, delle relazioni, del potenziamento delle risorse personali, delle modalità con cui affrontare un disagio può essere ricondotto all’ambito sanitario, non tutti i rapporti tra gli esseri umani possono essere “patologizzati”.
 
L’Ordine degli psicologi, agitando lo spauracchio della salute pubblica, non fa che promuovere istanze corporative che, con la salute pubblica, non hanno niente a che fare. Il problema è sempre lo stesso: poiché non si riesce a collocare professionalmente gli oltre 100.000 psicologi esistenti in Italia, si tira per la giacchetta lo Stato, pretendendo ulteriori riserve professionali.
 
E tutto questo lo si fa mortificando quotidianamente la serietà e la professionalità di migliaia di colleghi per meri interessi di bottega.
 
Occorre fare fronte comune, come cittadini preoccupati prima ancora che come professionisti.
 
Tommaso Valleri
Segretario Generale AssoCounseling

22 gennaio 2019
© Riproduzione riservata

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