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Fondi integrativi e “diritto al consumismo sanitario”

di Nick Sandro Miranda

08 APR - Gentile Direttore,
nell’ampio e complesso dibattito sulla sanità integrativa/sostitutiva è istruttivo seguire quanto visibile sul sito della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati. Da una parte si ascoltano interventi che sono solo un’enunciazione di luoghi comuni e pareri non supportati dai dati e dai fatti. In tale senso esemplificative sono le audizioni dei rappresentanti di Cisl, Uil e Ugl, responsabili del fatto di avere reso obbligatorio e non facoltativa l’adesione dei lavoratori ai fondi a discapito dell’aumento dello stipendio, penalizzando l’ammontare del TFR e del monte pensione.
 
Data la carenza di informazioni, come si evince da un’indagine riportata al termine di questo articolo, è probabile che:
- i lavoratori non siano consapevoli del fatto che così facendo, oltre a non godere dei benefici economici, pagano due volte le prestazioni sanitarie (fiscalità generale più quote per aderire alla sanità integrativa),
- non siano consapevoli del fatto che non sempre si abbattono le liste d’attesa,  
- e non siano consapevoli che, quando si accorciano per gli iscritti a Fondi/Assicurazioni, ciò avviene a scapito dei non iscritti, che sono di fatto spinti indietro in quelle stesse liste, dato che la forza-lavoro sanitaria è costante.
 
Forse sarebbe opportuno che i sindacati si occupassero maggiormente di sicurezza sul luogo di lavoro, di qualità della vita lavorativa e del salario dei lavoratori piuttosto che “donare” prestazioni sanitarie facendole pagare due volte. Che lascino ai lavoratori la facoltà di scelta, dopo esaustiva informazione.
 
Da un’altra parte, sul sito si possono seguire interventi ricchi di dati e di fatti fra i quali, a memoria, spiccano quelli di Donzelli, Piemonte, Cartabellotta, Trianni, Mastrobuono. Un caso a parte è l’intervento dell’a.d. di RBM Vecchietti che, inspiegabilmente, gode di un tempo d’intervento che è di due volte e mezzo superiore rispetto a tutti gli altri auditi.
 
Egli fornisce i “numeri”. Un esempio è quanto affermato sui costi di gestione che, penso unico caso al mondo nell’ambito dei terzi paganti, sarebbero del 5% lasciando intendere che il restante 95% dei premi venga utilizzato per prestazioni sanitarie (sic!). Altri “numeri” vengono confutati puntualmente dall’intervento di Donzelli, ma lascia decisamente perplessi il fatto che la documentazione che quest’ultimo ha fornito alla Commissione non sia stata inserita nel sito. Perché? Anche il linguaggio dell’a.d. tradisce la visione mercantile della salute. Un esempio è l’utilizzo del termine “bisogni di cura”, mentre per noi medici le persone hanno “bisogni di salute”.
 
Ed è su questo concetto che concludo il mio intervento. Così come nella politica degli ultimi decenni ci si è concentrati sulla legittima battaglia sui diritti civili trascurando però colpevolmente i bisogni sociali, così si sta confondendo il diritto ad avere risposte efficaci al bisogno sanitario con il diritto al consumo/consumismo sanitario.
 
I difensori del SSN, che sono quasi sempre esenti da conflitti d’interesse, hanno chiaro cosa fare e cosa non fare per tutelare il bisogno di salute, mentre l’intermediazione finanziaria, strumentalmente per i propri interessi, spinge verso il consumismo sanitario spacciandolo per difesa della salute.
 
Quanto reggerà questo inganno? Per svelare l’inganno occorre un cambiamento di metodo: il dibattito svolto nelle nostre quattro mura di addetti ai lavori deve passare all’agorà. Ma forse qualcuno ritiene poco conveniente un dibattito pubblico su questa materia visto che un’indagine svolta nel 2015 da Assidai rivela che esiste una limitata conoscenza di cos’è l’assistenza sanitaria intermediata e che solo il 23% degli iscritti a quel fondo esprime un giudizio positivo (fonte il libro “È tutta salute” di Nerina Dirindin, pag.22).
 
Nick Sandro Miranda

08 aprile 2019
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