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Suicidio assistito. I medici non possono tirarsi indietro

di Giuseppe Gristina

04 OTT - Gentile Direttore,
il 25 settembre la Corte costituzionale ha sancito la non punibilità di chi agevola l’esecuzione del suicidio (art. 580 c.p.) di un malato affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze psico-fisiche intollerabili, con funzioni vitali supportate, capace di prendere decisioni libere e consapevoli (condizioni esimenti). La Corte sottolinea di nuovo la necessità che la materia sia regolamentata con una legge.     
                                                                                                                           
In attesa delle motivazioni della sentenza, mentre sarebbe stata opportuna una pausa di riflessione si sono scelte posizioni divisive, uno schema che ha portato già in passato a un imbarbarimento del dibattito sul fine-vita.
 
La FNOMCeO :
- ha asserito di parlare a nome dei medici italiani;
- ha chiesto al legislatore di affidare la consegna del farmaco a un ‘pubblico ufficiale’;
- ha sottolineato che i medici si atterranno alla sentenza, così come alla Legge e ai principi del Codice di Deontologia medica, che sono in ogni caso coerenti con quelli costituzionali;
- in ultimo, la vicepresidenza FNOMCeO ha affermato: “Non serve un medico per spegnere un interruttore”. 

L’affermazione della vicepresidenza è sembrata a molti, con tutto il rispetto, più adatta a un elettricista che a un medico: sul tema del fine-vita è auspicabile una sensibilità di differente spessore.
 
Quesito: si può una buona volta fare attenzione alla qualità della comunicazione?

Torniamo al punto 1
I medici, per esercitare la professione, devono essere iscritti agli Ordini, ma ciò non autorizza a sostenere che tutti i medici la pensino come i vertici della FNOMCeO. 
Rappresentare migliaia di professionisti implica l’onere di temperare tutte le posizioni producendo tesi in cui tutti si possano riconoscere, anche se chi dirige finisce in minoranza. Un modo per conoscere l’opinione dei medici in materia di suicidio assistito c’è: chiedergliela.
 
Quesiti: di fronte a un tema che, se trattato con un basso profilo, rischia di riportarci indietro di decenni, non si dovrebbe una buona volta guardare la realtà qualunque essa sia? Non si darebbe al legislatore e alla popolazione il segnale di una presenza attiva e una base concreta di valutazione?
 
Punto 2
Circa l’individuazione di un ‘pubblico ufficiale’, sarebbe opportuno considerare che, al di là delle soluzioni cui si potrà giungere con una legge, i medici italiani dovrebbero prima risolvere alcune questioni che riguardano funzione e ruolo della professione. Sperabilmente con più concretezza di quella mostrata finora.
Allora proporrei 4 questioni:
 
Come nelle legislazioni che prevedono il suicidio assistito, anche per la nostra un medico sarà chiamato a valutare l’appropriatezza della richiesta sulla base di parametri clinici tramite una certificazione che la normativa vigente considera esclusivo atto medico.
Il farmaco per la procedura è soggetto, come tutti i farmaci, a prescrizione medica tramite ricetta, atto medico non demandabile. 
Durante la procedura di suicidio assistito sono descritte complicanze che richiedono competenze mediche per essere affrontate. 
Anche la chiusura della cartella clinica e la certificazione della morte sono atti medici non demandabili.

Si tratta di attività tutte di esclusiva competenza medica: per molto meno l’Ordine di Bologna ha dato luogo ad un caso con risonanza nazionale, difendendo il principio della non trasferibilità degli atti medici ad altre professioni sanitarie. 
 
Quesiti: rinunciare a ruolo e funzione proprio nella fase più critica della relazione di cura non ci rende irrimediabilmente marginali? Come ci accomiateremo dal malato e dalla sua famiglia quando dopo un lungo cammino insieme saremo giunti a quello che la FNOMCeO definisce “il confine” oltre il quale interverrebbe il ‘pubblico ufficiale’? E poi: un’obiezione di coscienza? Per tutta la procedura o per parte di essa? 
 
Punto 3. 
In Italia le relazioni tra diritto e deontologia sono complesse e, in merito al suicidio assistito, dovranno essere rilette alla luce delle motivazioni della sentenza della Corte. 
Si dovrà tenere presente che la Corte ha sancito l’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. alle condizioni sopra citate. Se la FNOMCeO, in risposta a una legge che prevedesse l’assistenza medica al suicidio, ritenesse di non modificare l’art. 17 del Codice deontologico, i medici priverebbero di tutela condizioni considerate invece meritevoli di protezione da parte del diritto. 
 
Quesiti: siamo consapevoli che in tal modo il Codice deontologico sarebbe posto al di fuori dei confini costituzionali e spogliato di rilevanza giurisprudenziale e normativa?
Come sarebbero considerati i medici disponibili a garantire la procedura? Non punibili per la legge dello Stato e sanzionabili dall’Ordine?
 
La durata della vita si è allungata, ma è in aumento l’incidenza delle malattie non trasmissibili caratterizzate da lunga durata, crescente disabilità cui corrisponde un’elevata dipendenza dei malati da macchine e caregiver. Così, molti malati cronici soffrono nel vedere la propria dignità ridursi a poco a poco.
In questo contesto l’ideazione suicidaria è una evenienza scientificamente accertata, più spesso sostenuta dalla perdita di speranza e fiducia che dalla depressione. 
 
Come medici dobbiamo ai malati e alle loro famiglie, una risposta consapevole della complessità morale e giuridica della sfida di fronte alla quale ci troviamo.
 
Dobbiamo esserci, qualunque sia la nostra posizione e trovare un punto di unità, non creare fratture.
Dobbiamo imparare a migliorare in modo radicale la qualità della vita delle persone malate, più che continuare a alimentare il sogno della guarigione. 
 
Nonostante la legge 38/2010, le cure palliative nel nostro Paese non hanno raggiunto il livello ottimale auspicato. Ancora si discute sul loro insegnamento nelle università e i medici contribuiscono poco a diffonderne la conoscenza nella popolazione.
 
La letteratura scientifica sottolinea che esse possono validamente contrastare il pensiero suicidario, ma anche dove la loro tradizione è radicata come in UK, rimane una parte di malati che a un certo punto del proprio percorso di malattia chiede di morire.
 
In sintesi, non siamo per niente nella condizione, almeno moralmente, di chiamarci fuori.
Concludo con il quesito posto da Antonio Panti nel suo recente articolo: Suicidio assisito. Ma veramente i medici vogliono delegare tutto a un funzionario amministrativo?    
 
Giuseppe R. Gristina
Medico anestesista rianimatore

04 ottobre 2019
© Riproduzione riservata

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