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Dopo il Coronavirus. Ecco le questioni da affrontare

di Antonio Panti

03 APR - Gentile Direttore,
nessuno si aspettava un "virus di fine di mondo", come nelle più drammatiche distopie che sottotraccia serpeggiano nonostante la fiducia ufficiale nelle magnifiche sorti e progressive. Finora nessuna pandemia ha distrutto il genere umano e allora è giusto, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, impegnarsi fin d'ora nella ricostruzione che, per i medici, si accentra sul futuro del Servizio Sanitario.
 
Penso che non sarà possibile predisporre un sistema che non resti sorpreso da una pandemia, perché in tempo di pace nessuno è disponibile a impegnare risorse per sovradimensionare qualsiasi organizzazione su un futuro incerto e imprevedibile. Non è detto che debba scoppiare un'altra pandemia a breve.
 
Invece quel che sarebbe delittuoso non fare è una seria riforma del servizio sanitario. Molti esperti sono intervenuti nella discussione individuando alcune questioni assai rilevanti che assumono maggiore importanza se si pensa che ogni riforma dovrà fare i conti con l'impoverimento del paese. Perciò è importante tener conto che in un mondo in cui le disuguaglianze aumenteranno, come accadrà dopo una siffatta crisi produttiva, i servizi sociali e tra questi la sanità non possono non avere la precedenza per il loro ruolo di riequilibrio sociale.
 
Non aggiungo altro ai temi emersi anche prima della pandemia: il finanziamento del servizio, il regionalismo differenziato, la necessità di rivedere la catena di comando, il problema del secondo pilastro e del volontariato sussidiario, la riorganizzazione dell'ospedale e dei servizi di emergenza, infine la scelta a favore della medicina territoriale. Il modello della medicina generale deve cambiare radicalmente costituendo presidi territoriali in cui lavorano medici, infermieri e personale sociale, privilegiando la promozione della salute e la medicina di iniziativa.
 
Il problema che emerge con maggior forza è il ruolo dei professionisti della sanità, in particolare dei medici. Un problema profondamente sentito dopo il tremendo sforzo compiuto per tener fede al dovere professionale in condizioni estreme sia per l'estenuante carico di lavoro sia per l'abbandono in cui sono stati lasciati da amministrazioni inadeguate.
 
Un terribile carico di morti che ha riempito i giornali e le TV di frasi fatte: eroi, eroismo, sacrificio, in trincea a mani nude; cerchiamo di non venirne fuori con la solita cerimonia dove le massime autorità consegnano targhe alla memoria, intitolano strade e borse di studio e si premiano le vedove.
Non è questo che vogliamo. Si deve trovare il modo di coinvolgere concretamente gli esperti nella gestione della sanità non per sostituire la politica, non sono i medici che debbono impedire alla gente di uscire di casa, ma perché ogni professionista si senta partecipe delle scelte del servizio in un continuo confronto tra pari con l'amministrazione.
 
Ma forse prima ancora occorre cercar di capire in che modo e come usciremo da questa esperienza. Conoscendo la storia del nostro paese sembra plausibile che i provvedimenti presi in emergenza diventeranno stabili. In questi momenti ciò che sembrava politicamente impossibile diventa inevitabile e poi del tutto quotidiano. Quelle misure che sono state sollecitate per anni, dettate dall'urgenza, sopravviveranno all'emergenza. Tra le tante sarebbe opportuna l'abolizione della colpa professionale come fatto penale, concetto apparso finora immodificabile, oggi scalfito da una legge dettata dall'avidità di alcuni avvocati sconfessati dai propri Ordini,
 
Chi si sente impegnato nel migliorare il servizio sanitario deve fare attenzione alle decisioni adottate sotto il segno della pandemia perché la propensione a privilegiare la tutela della salute cederà il campo alla consueta scala dei valori con la quale spendiamo il nostro denaro il che vede la sanità piuttosto in basso.
 
Due questioni ancora. Una buona parte delle inevitabili limitazioni alle libertà costituzionali è apparsa mitigata dal continuo richiamo al senso di responsabilità della cittadinanza che ha dato buona prova di sé. Ne è uscito un quadro di attenzione alla salute collettiva, il prevalere dell'interesse comunitario sul diritto dell'individuo. Sarà ancora così o il ritorno ad uno sfrenato individualismo minerà il senso del dovere ostacolando l'equità nella distribuzione delle risorse che torneranno a essere scarse?
 
Inoltre la pandemia ha segnato un inaspettato ritorno di fiducia negli esperti. I medici hanno congiunto, nell'immaginario collettivo, il ruolo sapienziale di portatori della conoscenza con quello salvifico di guaritori. Purtroppo la storia ci insegna che dagli altari alla polvere il passo è breve.
 
Penso che assai peserà lo spirito col quale usciremo da questa vicenda. Ricordo, per quanto fossi ragazzo, il periodo dell'immediato dopoguerra. La miseria era profonda e diffusa, le lacerazioni tangibili, il lutto troppo recente, ma c'era nell'aria come una energia spontanea, una speranza, la sentivo nei grandi, nei miei genitori, era palpabile nella gente.
 
E su questa speranza sembrava quasi ci fosse una sorta d'accordo, nonostante le abissali divisioni politiche. La difesa di una rinnovata sanità come argine delle disuguaglianze e garanzia della salute di tutti fa parte di una visione ottimista della società che sarebbe bello ritrovare.
 
Antonio Panti
 

03 aprile 2020
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