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Recovery Fund. Usiamolo per una sanità giusta, equa e solidale

di Biagio Papotto

02 OTT - Gentile Direttore,
di solito si dice “toccare il fondo” per indicare l’ultimo stadio, un livello da cui si può solo (auspicabilmente) risalire. Però bisogna ammettere senza inganni che si è proprio caduti in basso.
È importante, infatti, avere consapevolezza, essere informati di dove ci si trova e coscienti di cosa è necessario fare. Un esempio tragico è il sub che perdesse l’orientamento, non riuscendo ad individuare esattamente dove si trova la superficie e rischiando quindi concretamente di sprecare energie preziose nuotando verso la direzione sbagliata.
 
L’Italia, in qualche modo, si trova di fronte ad una scelta consimile. L’emergenza provocata in tutto il mondo dall’epidemia di Covid-19 e (sia detto a bassa voce) l’impossibilità da parte europea di sostenere una situazione con più nazioni con il “fiato corto” economicamente (l’esempio della Grecia ha fatto scuola, ma Italia e Spagna non stanno benissimo, così come Francia e Germania sentono il peso della crisi dei consumi…) hanno fatto si che si arrivasse, sia pur con fatica, ad una intesa che prevede, tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato, un vero e proprio “tesoro” di oltre 200 mld di euro a disposizione del nostro Paese.
Non parliamo, per ora, del fondo derivante dal meccanismo europeo di stabilità, il MES, perché poco ci attrae la polemica politica ad esso legata. Diremo soltanto che – a condizioni chiare e convenienti – non è un’eresia usare (bene) qualsiasi risorsa.

È del tutto ovvio che i soldi non saranno immediatamente disponibili, ma corrisposti con prudenza e nel tempo; è vero anche che ci sarà necessità di piani di utilizzo credibili e sostenibili, con verifiche accurate… In fin dei conti è più che giusto, se pensiamo che il finanziamento del “Recovery Fund” è garantito attraverso l’emissione di bond comunitari. Nessuno si indebiterebbe volentieri per qualcuno che sperperasse poi le risorse ottenute.

La Cisl Medici, però, vorrebbe, dopo questo breve escursus introduttivo, focalizzare l’attenzione sull’accezione più esatta del nome “Recovery Fund”. Si tratta – letteralmente – di un “fondo di recupero”. Parliamo, cioè, di disponibilità finanziarie perché le nazioni, a vario titolo colpite dall’epidemia e dalla crisi finanziaria ad essa collegata (il “lockdown” non è cosa sostenibile da nessuna nazione, specie se prolungata nel tempo ), possano tornare ad essere quello che erano prima dell’emergenza.
E qui sta il problema. Si, perché se tutti ambiscono a tornare a “100” (indicazione di comodo), non possiamo sottacere che l’Italia, quando è iniziata l’emergenza, zoppicava attorno a 60 o 70. Decenni di evasione fiscale ed infiltrazioni criminose hanno fatto si che dilapidassimo le nostre finanze cercando vanamente di tenere il passo delle altre nazioni a noi paragonabili per dimensioni e popolazione, mentre il “gap” si allargava.
 
Adesso, con ogni probabilità, ci saranno molti che si illudono di poter “partire alla pari”. Non è così. La disponibilità del fondo è più cospicua per noi perché più evidenti (a parte a chi non vuol vedere) sono le carenze infrastrutturali di un Paese che 60 anni fa aveva cominciato bene, perdendosi poi nella perniciosa illusione di “avercela fatta”.Occorre dirlo con parole chiare: siamo più indietro degli altri e possiamo (dobbiamo) solo cercare di mettere a posto un po’ di cose, individuando con serietà le urgenze e tagliando senza alcuna pietà ogni tipo di spreco e/o di cattiva gestione.
 
È già iniziato, infatti, il consueto balletto dei politici e dei gruppi di interesse, per reclamare finanziamenti ed enunciare opere da finanziare. Giorni fa una stima sulla stampa calcolava in 469 mld le spese prevedibili. Mancherebbero da subito più del doppio delle risorse disponibili. E c’è da pensare che tutta una serie di faraoniche iniziative continueranno a costellare il ns. territorio di “cattedrali nel deserto”, destinate a restare come vergognose testimonianze del clientelismo politico e della miopia del ns. elettorato che, sia pure con scelte partitiche a volte diverse, continua ad essere ingannato dalle promesse imbonitrici del candidato di turno.
Ecco: probabilmente quel che è sempre mancato, in Italia, è il controllo politico degli elettori, con la conseguenza logica della “bocciatura” in caso di errori e/o impegni non mantenuti. Una coscienza insomma meno legata all’ideologia personale, più “laica”, più simile alla mentalità nordeuropea, che considera un vero e proprio crimine il mancato rispetto dei programmi elettorali (oltre a pretendere la rigida moralità dei politici).
Allora, forse, questa è l’occasione giusta per un cambiamento di rotta che il nostro Paese merita: occorre che i soldi che arriveranno siano spesi con oculatezza estrema, partendo proprio dalla situazione che più delle altre ha mostrato una solidità persino insperata, ma anche ha subito i colpi più forti: la sanità. Dobbiamo dire onestamente che i medici e i professionisti sanitari tutti non sono stati meravigliati dalla tenuta del ns. sistema, perché erano ben coscienti della sua fragilità (esogena) ma è altrettanto onesto (e doveroso) ammettere che non ci potrà essere, in circostanze analoghe, una speranza di risposta adeguata. Non potremmo subire una “seconda ondata”.

Il sistema sanità ha dato tutto quello che poteva, e anzi è stato spremuto fino all’inverosimile, fino al sacrificio di centinaia dei propri medici e decine di operatori della sanità, caduti in una guerra impari, mandati al fronte senza armi, nonostante il sindacato avesse da molti anni messo in guardia, con precise denunce, dai rischi che si correvano, dai pericoli che incombevano.
Anche per quei colleghi, quindi, ma anche per quelli che si stanno appena affacciando alla sanità, vogliamo che il governo, anziché improbabili ponti e faraoniche opere, finanzi il SSN con dotazioni organiche e risorse strutturali adeguate e degne della tradizione di una nazione i cui medici sono sempre stati tra i migliori del mondo. Rispetto, non vuote parole e false medaglie.

E proprio per questo, per evitare che i giovani colleghi siano reclutati dall’estero con il riconoscimento di una validità culturale e una dignità professionale almeno pari ai salari che pure sono multipli di quelli che potrebbero ricevere in Italia, la CISL Medici vuole da subito dire ai nostri politici ed amministratori che dovranno garantire un contratto dignitoso, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista giuridico. Senza reticenze, senza promesse non mantenute. Senza penosi balletti di responsabilità, senza giustificazioni o rinvii.
Dobbiamo usare il “fondo di recupero” per tornare ad una sanità giusta, equa, solidale, universale. I medici italiani meritano di essere trattati come le università li hanno formati: ottimamente. Dimostrateci con i fatti che avete capito.
 
Biagio Papotto
Segretario nazionale Cisl Medici

02 ottobre 2020
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