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La sanità che vorrei nell’anno appena iniziato

di Claudio Maria Maffei

07 GEN - Gentile Direttore,
a questo 2021 appena iniziatoovviamente chiedo la fine della pandemia. Ma non mi basta e chiederei per la mia Regione, le Marche, (ma anche per le altre) una sanità normale. Ecco qual è la mia sanità normale.

Una sanità in cui chi governa riconosce umilmente i propri limiti e si fa consigliare dai tecnici.
Una sanità in cui i tecnici non si limitano ad eseguire le indicazioni della politica, ma sono anche capaci di esercitare in modo autonomo il loro ruolo e quindi di criticare esplicitamente e motivatamente le scelte sbagliate. E quindi di non farle prendere.
 
Una sanità in cui i cittadini e le loro rappresentanze vengono davvero coinvolti e non ci si limita a chiamarli stakeholder.
Una sanità in cui ci si ricorda che senza dati è impossibile governare e che ai tempi dei “big data” non può essere che la Regione non li usi e non li renda disponibili, quasi se ne vergognasse.
 
Una sanità in cui direttori e dirigenti vengono selezionati in base alla loro competenza ed alla loro capacità di coinvolgere nei processi di cambiamento i loro collaboratori.
Una sanità in cui l’Università e le società Scientifiche si sentano parte delle grandi scelte che vengono fatte e fanno sentire la propria voce anche con energia quando serve.
Una sanità in cui gli operatori vengono effettivamente considerati la principale risorsa del sistema da valorizzare in tutte le possibili forme.
 
Una sanità che sa riconoscere chi ha più bisogno perché potenzialmente più fragile e quindi gli rivolge una particolare attenzione perché lei o lui è una persona anziana o una persona con problemi di demenza, di malattia cronica, di salute mentale, di dipendenza patologica, di disabilità e così via.
Una sanità in cui i servizi vengono resi accessibili a tutti indipendentemente dalla zona in cui vivono e che quindi sappia dare una risposta originale e vera alle Aree interne o comunque disagiate.
 
Una sanità in cui tutte le forse sociali che rappresentano sia i lavoratori che le imprese vengono messe in grado di conoscere, condividere e partecipare alle decisioni e in cui le forze sociali sono capaci di reclamare questi loro diritti se non vengono rispettati.
Una sanità in cui ci si ricorda che la qualità non cresce da sola e che richiede che ci sia in tutti i livelli dell’organizzazione chi la misura e chi la migliora. La qualità costa ma la non qualità costa molto di più.
Una sanità in cui la risposta ai problemi di cronicità migliora grazie alla maggiore integrazione della medicina generale, al potenziamento dei servizi distrettuali, all’inserimento delle nuove figure come quella dell’infermiere di comunità e allo sviluppo non solo a parole della telemedicina.
 
Una sanità che con l’Università programma la formazione del personale che serve e che lo sa formare guardando alla evoluzione dei modelli organizzativi e dei ruoli professionali valorizzando nella docenza i rappresentanti delle professioni.
Una sanità in cui i procedimenti amministrativi vengono gestiti per risolvere problemi e non per non correre rischi sia che si tratti di concorsi, che di gare o cantieri. E questo vale sia per i dirigenti e gli operatori che se ne occupano che per quelli che questi procedimenti li controllano.

Una sanità in cui ci si ricorda della prevenzione e della epidemiologia non solo in occasione delle pandemie.
Una sanità in cui la palliazione è un percorso culturale che cambia tutta l’organizzazione.
Una sanità che sa che il percorso nascita ed il percorso crescita meritano una specifica attenzione e un modo diverso di organizzare i servizi a partire dai consultori per arrivare alla rete dei punti nascita ed a quella neonatologica, al ruolo dei pediatri di famiglia e alla rete dei servizi di neuropsichiatria infantile.
 
Una sanità in cui la componente privata dell'offerta pubblica (e che quindi il pubblico finanzia) viene integrata nella rete dei servizi in un quadro di regole chiare gestite in modo trasparente.
Una sanità in cui la centralità del paziente viene nominata solo da chi mette il camice almeno duecento giorni l'anno e viene verificata continuamente con il coinvolgimento dei pazienti stessi e dei loro familiari.
 
Una sanità in cui il miglioramento continuo avviene non per atti (delibere, determine e decreti) ad opera di "commissari del governo" (quali sono spesso nei fatti le Direzioni a tutti i livelli) ma per progetti guidati e coordinati da leader veri che agiscono come agenti di cambiamento.
Insomma, chiedere una sanità normale non è poi chiedere troppo no?
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

07 gennaio 2021
© Riproduzione riservata

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