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Gli ospedali, il Pnrr e l’astrattezza del termine ‘comunità’

di Costanza Bruschi

30 LUG - Gentile Direttore,
sul tema della realtà futura degli ospedali ed in prospettiva di ciò che viene delineato nel PNRR, l’opinione espressa da Marcella Gostinelli nel suo recente articolo su questo Forum mette in evidenza la complessità della situazione ospedaliera italiana nella sua totalità, sia relativamente alla concretezza formale dell’istituzione “ospedale”, sia riguardo a quanto è stato disatteso nel tempo (partendo da quello che era idealmente auspicato già dal 1968 e come cronologicamente sintetizzato da Cavicchi nel suo recente contributo).
 
Come infermiera, non posso e non voglio limitarmi nell’immaginare una (possibile?) riforma dell’assistenza e della cura che trovi fondatezza e progettualità esclusivamente in aree sanitarie pre-definite e senza prevedere anche una riforma della scuola come Gostinelli sottolinea; infatti, accogliendo la definizione di «pandemia divenuta sindemia» così come data da Claudio Cricelli, qualsiasi formulazione delle cura in senso ampio non può prescindere dalla valorizzazione della “cultura della salute” da intendersi come “condizione di benessere collettivo” e partendo dall’educazione scolastica.
 
Una partenza verso un divenire dove nella cultura della salute viene coinvolto tutto il tessuto sociale, comprese le fragilità che ne fanno parte come soggetti e non come oggetti di cura poiché ogni comunità è fatta da relazioni interdipendenti dove ogni elemento è protagonista. Questo non potrà più avvenire, se vogliamo davvero parlare di cultura sanitaria in modo ampio ed articolato, continuando a marginalizzare il ruolo e l’apporto delle scienze sociali nell’educazione alla cura ed al prendersi cura. L’ “autocura” (self-care come concetto estremamente ampio rispetto a quanto descritto dall’OMS nel 2019) prevedrebbe, nella propria dinamica, il momento dell’ospedalizzazione come evento proprio e parte del continuum della cura di sé in interconnessione con la comunità di appartenenza. In questa inclusività di pensiero mi sento totalmente allineata proprio sul concetto di cura che Gostinelli evidenzia, come qualcosa che sta «tra le cose essenziali alle quali pensare (…) comprese le ragioni ontologiche della cura e la cura di sé, sia del politico che della polis».
 
Nella riflessione di Gostinelli ritrovo altresì quel pensiero volto a superare la dicotomia salute/malattia, dicotomia che è stata legittimata soprattutto nell’ospedalizzazione così come concepita fino ad adesso.  Come aveva ben sottolineato Giovanni Pizza (2008)*, la salute e la malattia non sono davvero stati oggettivabili, non comunicanti e contrapposti come appaiono nelle definizioni pre-scelte, in quanto le classificazioni oggettive ignorano la soggettività benché quest’ultima dipenda anche dalla dimensione storico-culturale e sociale di appartenenza, quindi parte di quel tutto che si vuole definire e, spesso, delimitare.
 
Se Basaglia già nel 1968 ** affermava che la norma viene costruita in base al rapporto fra salute ed efficienza, fra il corpo individuale e quello sociale, come non condividere quel senso, invece, di incredulità nei confronti di una logica di riorganizzazione ospedaliera riconducibile ai soliti schemi del passato e permeati di quella che Gostinelli definisce «una conoscenza vecchia, sfruttata, priva di pensiero e riflessione e quindi non reale»?
 
Tutto questo ripensare l’ospedale nell’attuale mondo politico avviene dentro al contesto programmatico del PNRR in cui il termine “comunità” è proposto e citato numerose volte, ma la cui natura complessa resta non significativa, astratta, non indagata; eppure, senza comprendere (e in una condizione addirittura sindemica in cui oggi si trova la nostra società di riferimento) l’essenza e le aspettative di cura della comunità, è impossibile concretamente progettare l’ospedale nella comunità.
 
 
Costanza Bruschi
Infermiera
 
 
*Giovanni Pizza, Antropologia Medica, 2008
** (prefazione di Franco e Franca Basaglia ad Asylums (1961) di Erving Goffman

30 luglio 2021
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