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Campania. Inosservanza standard ospedalieri. Corte dei conti assolve manager Regione e Asl 

di Ettore Mautone

L’ordinanza del giudice estensore Fava rigetta le richieste della Procura sul caso del presunto danno erariale per 16 mln di euro contestato a 29 tra funzionari ed ex dirigenti regionali, direttori generali di Asl e manager di aziende ospedaliere che sarebbero inadempienti, a vario titolo, nell’applicazione degli standard nazionali. “La programmazione non può esaurirsi in quattro mesi di attività”. L’ORDINANZA

10 MAR - No ai provvedimenti cautelari d’urgenza per la riduzione di primari e dirigenti nella Asl e negli ospedali campani in quanto i compiti dalla Corte dei conti consistono esclusivamente nella possibilità di sanzionare un eventuale danno erariale, da accertare in sede di processo e dopo le conclusione dell’analisi degli inviti a dedurre, ma non di prevenire eventuali reati contabili sostituendosi all’azione programmatoria propria della pubblica amministrazione, soprattutto in campi costituzionalmente garantiti come quelli della tutela della Salute. E’ questa in sintesi la conclusione cui giunge il giudice estensore Pasquale Fava in sede di prima udienza cautelare nell’ambito di un procedimento scattato con il decreto presidenziale del 28 gennaio scorso che vede, nello scenario disegnato dalla Procura generale, un presunto danno erariale per 16 mln di euro contestato a 29 tra funzionari ed ex dirigenti regionali, direttori generali di Asl e manager di aziende ospedaliere che sarebbero inadempienti, a vario titolo, nell’applicazione degli standard nazionali.
 
In mezzo, tra accusa e difesa, c’è una programmazione colabrodo con un Piano ospedaliero al palo dal 2010 e i conseguenti Atti aziendali (ossia gli organigrammi di Asl e ospedali che definiscono piante organiche, mission e offerta assistenziale) solo nei giorni scorsi definitivamente licenziati dal commissario Polimeni sulla scorta di una circolare di inizio febbraio che alla luce dell’ordinanza del giudice Fava assume i connotati di un provvedimento anche eccessivo. Sarà in ogni caso il processo che ora inizia, che mette a confronto la tesi della Procura e la difesa degli avvocati di controparte, a stabilire se è fondata l’ipotesi di danno erariale per 16 milioni di euro in relazione al mancato allineamento del numero di primari e dirigenti al decreto Balduzzi del 2013 laddove dalle indagini condotte nel 2014 e 2015 emergevano ben 1.915 indennità di dirigenza in eccedenza rispetto alla dotazione organica, oltre a decine di incarichi di primari e dirigenti solo nei giorni scorsi aboliti.
 
Gli avvocati della difesa
Una versione puntualmente contestata dagli avvocati della difesa presenti nella precedente udienza del 3 marzo che hanno avuto modo di illustrare sinteticamente, per circa cinque minuti ognuno, i punti articolati su una serie di presunti errori nel calcolo di numeri, indennità e posizioni. Presenti in udienza oltre al Pm titolare delle indagini Ferruccio Capalbo alcuni manager (tra essi Antonio Giordano direttore dell’azienda dei Colli, Vincenzo Viggiani commissario dell’Aou Federico II, Antonietta Costantini a capo della asl Napoli 3 sud, Antonio Postiglione capo del dipartimento salute della regione e commissario dell’Asl di Salerno)  e anche il commissario ad acta per la Sanità regionale Joseph Polimeni e il sub commissario Claudio D’Amario come uditori in ragioni delle loro funzioni di indirizzo e controllo.  
 
No ai provvedimenti cautelari
Il giudice estensore ribadisce “che i provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c. richiesti dalla Procura regionali non assolvono ad alcuna funzione strumentale rispetto alla sentenza di merito. Come è stato chiarito in precedenza questa Corte è titolare esclusivamente di un potere di condanna dei potenziali convenuti nei confronti dei quali può essere al più attivato il rimedio del sequestro conservativo”. La Corte – dunque, non può condannare l’Amministrazione danneggiata, né può ordinarle di tenere specifici comportamenti. “Rispetto alle potenziali statuizioni di merito adottabili nel futuro ed eventuale giudizio, ancora non incardinato, quindi, il contenuto anticipatorio e preventivo dei provvedimenti d’urgenza richiesti dalla Procura regionale, non assolve ad alcuna funzione strumentale”.
 
Anzi la prevenzione, in fase cautelare, di ipotetici, eventuali o futuri danni alla finanza pubblica va in conflitto con la giurisdizione di condanna della  Corte che, come è noto, da quando è stata introdotta, è finalizzata solo alla compensazione dei pregiudizi effettivi arrecati all’Amministrazione dai pubblici funzionari o da soggetti in rapporto di servizio”.
 
Se manca un danno, argomenta il giudice Fava nell’ordinanza - non solo non c’è l’illecito contabile, ma nemmeno giurisdizione della Corte. Né la Procura potrebbe muoversi in una prospettiva anticipatoria, agendo oltre le proprie funzioni di pubblico ministero contabile, titolare dell’azione risarcitoria di condanna per danno erariale, ed invocando dalla Sezione giurisdizionale l’adozione di ordini (di natura sostanzialmente amministrativa) impositivi di specifiche azioni amministrative da intraprendere”.
 
La corte dei conti non può orientare le scelte
E ancora “a differenza della tutela delle situazioni soggettive private nei confronti della Pubblica amministrazione nell’ambito del processo amministrativo, dove sono contemplate eccezionalmente ipotesi in cui il Giudice amministrativo può sostituirsi all’Amministrazione nell’adozione del provvedimento, anche assegnando un termine a provvedere, con nomina di un commissario ad acta in caso di inottemperanza, tali possibilità, invocate dalla Procura regionale con l’istanza ex art. 700 c.p.c., non sono ammesse nell’ambito del processo contabile di responsabilità amministrativa proprio perché l’oggetto di quest’ultimo non è direttamente il sindacato sull’esercizio di un potere che il Giudice contabile possa orientare, ma un tipo di sindacato sulle attività ed i comportamenti amministrativi dannosi tendente a snidare errori professionali inescusabili (colpa grave) dei funzionari”.
 
Il giudice Fava ribadisce che “l’unica statuizione di merito favorevole all’Amministrazione danneggiata può essere solo quella di condanna dei convenuti (con cui deve fare i conti e confrontarsi la strumentalità di ogni provvedimento cautelare invocato), e ogni funzione preventiva, propulsiva e sostitutiva simile a quella invocata dalla Procura regionale nel presente giudizio cautelare tenderebbe ad eliminare in radice l’asserito danno erariale “in itinere”, con impossibilità di perseguire ogni strumentalità cautelare, venendo meno il presupposto della giurisdizione contabile”.
 
“Nel concreto, peraltro – aggiunge il giudice nell’ordinanza - non può non evidenziarsi, in relazione agli specifici provvedimenti d’urgenza richiesti, che la Procura regionale non ha identificato puntualmente le unità operative esuberanti, inutili o da sopprimere in relazione alle quali dovrebbero operare gli invocati ordini giudiziari cautelari innominati ed atipici ex art. 700 c.p.c., lasciando questo compito alla Corte che dovrebbe, secondo parte attrice, assolvere nella fase cautelare attraverso provvedimenti anticipatori innominati ed atipici propulsivi a finalità preventiva e repressiva, provvedimenti che, come si è evidenziato, sarebbero un “atto abnorme” scaturigine di responsabilità disciplinare e civile per il Giudice che li adottasse” .
 
Carenza dei presupposti cautelari
“Con riguardo – infine - alla futura ed eventuale azione risarcitoria pubblicistica da esperirsi nei confronti dei potenziali convenuti (aventi attualmente qualità di invitati a dedurre), per completezza di giudizio, non può non rilevarsi che la carenza dei presupposti cautelari emerge dalla stessa prospettazione dell’invito a dedurre nei confronti degli intimati (oltre che dalla copiosa documentazione depositata dalle Amministrazioni, tutte presenti nell’udienza cautelare), la quale non tiene conto delle condotte organizzative poste in essere, nell’ambito delle varie Amministrazioni, dai potenziali convenuti in giudizio che, prima facie, non sembrano, avendo riguardo alla documentazione attualmente versata in atti, essere connotate da colpa grave. Fermi restando gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica connessa alla sanità, i tagli di strutture e personale e gli accorpamenti dei reparti e delle unità, devono essere sempre effettuati considerando anche gli obiettivi primari di tutela della salute pubblica e dell’utenza, nonché la funzionalità dell’azione amministrativa sanitaria, attraverso decisioni rimesse alle scelte discrezionali delle Aziende sanitarie, che nel rispetto degli indirizzi regionali, dovranno valutare in concreto tutti gli interessi in gioco, identificando le misure organizzative necessarie.  
 
Bilanciamento degli interessi
Non è possibile, difatti, applicare nell’ambito dei servizi essenziali destinati alla persona umana (quali sanità, sicurezza, scuola, giustizia, etc.) criteri automatici e meccanici del tipo di quelli invocati dalla Procura regionale, ricordando, peraltro, che proprio il Procuratore regionale per la regione Campania, qualche anno fa, prestando omaggio alla logica del bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, archiviò una vertenza avente ad oggetto la spesa pubblica relativa all’istruzione scolastica comunale.
 
Nello specifico la Procura regionale, come pure le note istruttorie della Guardia di finanza, articolano la prospettazione del danno erariale basandosi sull’erroneo presupposto della natura perentoria del termine (10 giugno 2013) fissato dal decreto commissariale del 18 febbraio 2013, n. 18, alle Aziende sanitarie per l’adozione di atti organizzatori conseguenziali agli atti regionali di indirizzo. Dalla prospettata perentorietà la Procura regionale fa discendere, in via automatica, un danno alla finanza pubblica da mancata soppressione di strutture “in esubero” che, tuttavia, riferisce esclusivamente al personale di livello dirigenziale.
 
Tabulati non facili da leggere
 In particolare, in modo del tutto automatico, sulla base di tabelle sintetiche (su cui si è fondata la Procura regionale per notificare gli atti di invito a dedurre e l’istanza cautelare ex art. 700 c.p.c.), le quali, a loro volta, rinviano a tabulati di non agevole intellegibilità nonché una nota redatta da un consulente privato si quantifica il danno erariale emergente dalla liquidazione, dopo il 10 giugno 2013, di compensi al personale dirigenziale pretesamente “in esubero” attraverso un confronto matematico tra personale in servizio e quello da privare dell’incarico dirigenziale in essere in applicazione degli indirizzi regionali. L’affermazione non è condivisibile per la sua assolutezza e apoditticità. La Procura muove da un presupposto errato. Ritenere che tutte le Aziende sanitarie campane avrebbero dovuto (entro il 10 giugno 2013) sciogliere e far cessare tutti gli incarichi dirigenziali in essere, previa identificazione di strutture in esubero o inutili, significherebbe legittimare l’insorgenza di una causa di revoca ex lege per factum principis (ragioni finanziarie derivanti dal piano di rientro) che è fuori dall’ordinamento, anche alla luce della giurisprudenza europea, costituzionale, civile ed amministrativa consolidata che riconosce e tutela l’affidamento quale principio generale del diritto dell’Unione europea e dell’ordinamento interno (in proposito si richiama la recente riforma della disciplina dell’autotutela decisoria).
 
La riorganizzazione richiede tempo
Un processo di riorganizzazione della complessa, enorme e elefantiaca Amministrazione sanitaria campana non può certamente chiudersi in meno di quattro mesi (si consideri che il decreto commissariale che fissa il termine del 10 giugno 2013 è del 10 febbraio 2013) proprio per l’esistenza delle gravi criticità che hanno determinato il commissariamento. Pertanto non può essere preteso che 29 dirigenti generali possano, in meno di quattro mesi, quali vertici delle svariate Aziende sanitarie risolvere problemi e questioni che affliggono la sanità campana da decenni, tra l’altro revocando illico ed immediato centinaia di incarichi dirigenziali ed innescando, com’è presumibile immaginare, un contenzioso destinato a durare anni e che produrrebbe ulteriori danni all’Amministrazione dipendenti dalla necessità di risarcire i pregiudizi (patrimoniali e non) inferti ai dirigenti per revoca anticipata degli incarichi”. “Le ricadute per l’utenza, titolare di diritti assoluti ed inviolabili, ricollegati alla dignità umana, sarebbero gravissime. E’ dunque normale e più che ragionevole immaginare che per riassestare e riorganizzare in modo più efficiente e meno costoso l’Amministrazione sanitaria campana occorra più di qualche mese”.
 
A ciò si aggiunga che le svariate Aziende evocate in giudizio dalla Procura regionale non sono in uno stato di immobilismo assoluto. Non siamo dinanzi ad un’Amministrazione elefantiaca pietrificata, ma al cospetto di Aziende che hanno attivato i complessi processi riorganizzativi finalizzati alla riduzione della spesa (la stessa Procura regionale menziona i tavoli e gruppi di lavori costituiti in seno ad ogni Amministrazione evocata).
 
Del resto è lo stesso atto di indirizzo che contempla un’ampia procedura partecipata per l’adozione dell’atto aziendale (il Punto 11 della Sezione III dell’atto di indirizzo del 2013, circa i poteri di adozione e verifica degli atti aziendali, dispone che “l’atto aziendale è adottato dal Direttore generale con proprio provvedimento, previo parere del collegio di direzione nella sua attuale composizione, informati preventivamente e sentiti il comitato di rappresentanza dei sindaci, il consiglio dei sanitari e le organizzazioni sindacali”.
 
Allo stato, dunque, sulla base di una valutazione sommaria della documentazione versata in atti, non appare, dunque, ipotizzabile una colpa grave degli invitati a dedurre potenziali convenuti in giudizio, con conseguenziale assenza del fumus boni iuris.
 
 
Ettore Mautone

10 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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