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“Sull’aborto gli scontri ideologici non servono a nulla. I problemi vanno affrontati”. Intervista a Livia Turco e Chiara Micali


Pochi giorni prima che esplodesse il caso San Camillo arrivava in libreria il libro “Per non dimenticare. Dialoghi sull’aborto” dove l’ex ministra e la giornalista intervistano medici obiettori e non obiettori per capire le rispettive ragioni e soprattutto sondare quali soluzioni adottare per superare un problema comunque reale, come quello dell’altissima percentuale di obiettori alla 194. Ecco cosa ci hanno detto.

24 FEB - “Quello che mi colpisce in questo momento è questo ricorso di nuovo allo scontro ideologico, questa voglia di salire sulle barricate, di usare toni aspri, senza riflettere sul fatto che sono passati 40 anni dal varo della legge 194 e che ci troviamo di fronte a una situazione del tutto diversa” ci dice Livia Turco che abbiamo intervistato sul caso San Camillo insieme a Chiara Micali, curatrice del suo ultimo libro “Per non dimenticare. Dialoghi sull’aborto”.
 
Questi dialoghi contengono anche una ventina di interviste a medici obiettori e non obiettori alla legge 194 dalle quali emergono a volte motivazioni meno ovvie e meno "alte" della scelta verso l'obiezione. Un libro che sembra aver anticipato la discussione e gli scontri di questi ultimi giorni sull'affaire San Camillo e che ci riporta alla domanda delle domande: come possiamo far sì che il diritto all'obiezione e il diritto della donna possano essere ambedue onorati?
 
Cosa ne pensate del caso San Camillo? Ha ragione il ministro della salute a parlare di concorso “fuori legge” o la Regione a rivendicare la correttezza del suo operato?
Livia Turco. Credo che l’iniziativa intrapresa dall’Ospedale San Camillo di Roma rappresenti una delle modalità attraverso la quale sia possibile garantire il servizio che la Legge 194/78 assicura alle donne, quello dell’interruzione volontaria della gravidanza. Si tratta, a mio avviso, di un bando finalizzato a garantire continuità, e quindi qualità, ad un servizio senza ricorrere ai cosiddetti “medici a gettone”. Una prestazione, voglio ricordare, che l’art. 9 della Legge 194 impegna le Regioni a garantire, lddove recita: “ Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’ espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale.”
Ecco, sul punto della mobilità del personale voglio aprire una piccola parentesi. Dobbiamo sempre tener presente che stiamo parlando di una legge che ha ormai quasi 40 anni e che è stata, nel corso degli anni,  interpretata, osteggiata, ma non sempre applicata. E’ una legge di principi e non di dettaglio, non definisce le modalità attraverso le quali applicare la mobilità del personale. Sembra, invece, che intorno all’aborto permanga sempre quello stigma che non consente di affrontare l’argomento con sufficiente serenità e obiettività.
Quello che mi colpisce in questo momento è questo ricorso di nuovo allo scontro ideologico, questa voglia di salire sulle barricate, di usare toni aspri, senza riflettere sul fatto che sono passati 40 anni e ci troviamo di fronte a una situazione del tutto diversa.
 
Chiara Micali. E’ una soluzione di tipo organizzativo. La struttura pubblica  deve garantire il servizio, l’applicazione della legge 194, il singolo può dichiararsi obiettore. Non può essere motivo di scontro ideologico.   Il libro Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto vuole proporre proprio questo, un nuovo modo di parlare di aborto passando dallo scontro al dialogo, di ascoltare gli operatori, obiettori e non obiettori, cercando le soluzioni possibili per risolvere quella che è la realtà dei fatti. Stiamo parlando di due diritti a confronto, il diritto dei medici all’obiezione di coscienza, che la 194 prevede,  e il diritto delle donne a vedere rispettata la legge. Nelle interviste ai ginecologi raccolte nel libro abbiamo posto a tutti, obiettori e non, gli stessi quesiti, con l’intenzione di ascoltare piuttosto che giudicare. Ci è sembrato giusto, in premessa, proprio in apertura del libro, raccontare ai più giovani, com’era la situazione prima della 194, una legge, è giusto ricordare, promulgata e poi confermata da ben due referendum popolari. I contributi di Bruno Rusticali e Alessandra Kustermann hanno ripercorso la storia precedente al 1978. L’aborto era reato penale, punito con il carcere, sia per le donne che per i medici che lo praticavano. C’erano le mammane e i “cucchiai d’oro”. Le nostre mamme, le nostre nonne ne hanno sempre parlato malvolentieri, ma era giusto raccontarlo ai più giovani e le reazioni stupite e meravigliate dei ragazzi e delle ragazze che in questi giorni stanno leggendo il libro confermano che era opportuno partire da qui. 
 
Nelle ultime due relazioni sulla 194 il ministero ha sostanzialmente liquidato l’obiezione di coscienza sostenendo che il problema non si pone considerando il calo delle IVG e la conseguente minore richiesta di interventi a fronte della quale il numero di non obiettori è congruo. Pensate che le cose stiano realmente così?
L.T. Sicuramente il calo del numero delle interruzioni volontarie di gravidanza è una notizia positiva e dimostra quanto fossero infondate le preoccupazioni di chi, all’epoca dell’approvazione della legge, sosteneva che così si  liberalizzava l’aborto. Le donne hanno dimostrato che l’aborto non è un metodo contraccettivo. Quello che invece preoccupa è l’aumento del ricorso all’obiezione di coscienza, in media del 70% che  in alcune Regioni arriva al 90%. Non servono risposte tranquillizzanti né allarmismi. Occorre capire il motivo di un’obiezione cosi alta, per questo abbiamo scelto per il libro la formula del dialogo, proprio per individuare le soluzioni possibili. Voglio aggiungere che altrettanto preoccupante è il costante calo delle nascite. Anche questo è un dato che  pone molti e indifferibili interrogativi, di carattere sociale ed economico. Di fronte a questa situazione credo che sia necessario mettersi tutti intorno a un Tavolo, istituzioni ai massimi livelli (e dico massimi a ragion veduta, intendo Presidente del Consiglio, tutti i Ministri, soprattutto  il Ministro dell’Economia, Regioni, Enti locali), associazioni, attori economici e sociali, per analizzare i dati, elaborare proposte, promuovere azioni virtuose che creino le condizioni per una società accogliente della maternità.
 
C.M. Abbiamo riportato nel libro i dati contenuti nell’ultima  relazione al Parlamento sulla 194. Ma anche in questo caso, è bene ascoltare tutte le fonti. Dai dati forniti, elaborati sulla base delle cartelle cliniche delle interruzioni effettuate, non si evidenzia, come è ovvio, il ricorso all’aborto clandestino che invece viene denunciato dalle associazioni di ginecologi che operano per l’applicazione della legge, come la Laiga. Silvana Agatone, che li rappresenta tutti a livello nazionale, riferisce di segnalazioni di un numero crescente di donne che ricorrono all’ospedale per le complicanze di un’interruzione effettuata clandestinamente, visto che, per le difficoltà di ordine burocratico e organizzativo, non sono riuscite a effettuare l’interruzione nel pubblico.
 
Nel vostro libro avete intervistato medici obiettori e non obiettori. Cosa li differenzia di più, a prescindere dalla loro scelta sull’obiezione?
L.T. Comincerei dal dire cosa li accomuna. Per tutti gli intervistati senza distinzioni: tutelare la salute della donna innanzitutto. E questa mi sembra una buona premessa al dialogo. A tutti abbiamo chiesto un parere sulle conclusioni della Commissione Nazionale di Bioetica approvate nel 2012 che stabilisce che “il riconoscimento dell’obiezione di coscienza non implica una sorta di boicottaggio della Legge, la cui vigenza deve essere garantita, così come garantito deve essere l’esercizio dei diritti da essa previsto. “E ancora “L’obiezione di coscienza, in bioetica, deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, i servizi particolarmente gravosi o poco qualificati. “Tutti, obiettori e non obiettori si sono dichiarati pienamente d’accordo con il Parere della  Commissione. Tuttavia,  per i ginecologi non obiettori, diciamo  così “più vecchi” e vicini alla pensione c’è la preoccupazione che con loro sparisca anche il servizio di IGV e il consultorio, servizi cui hanno dedicato tanto impegno. Questo timore per il futuro non riguarda, ovviamente, i medici obiettori. Penso alla testimonianza di  Michele Mariano, unico ginecologo non obiettore della Regione Molise (93,3% di medici obiettori). Erano in tre, uno è venuto a mancare, uno è andato in pensione ed è rimasto solo lui. Manca poco alla pensione e continua con convinzione a esercitare la sua professione, per lui il dialogo con le donne è fondamentale e, certo, non può essere messo in mobilità!
 
C.M. Senza dubbio c’è una differenza direi generazionale. I medici più anziani sono più ideologici, legati a un modo di intendere l’obiezione di coscienza o la non obiezione come una sorta di bandiera da esibire e difendere. I più giovani sono più pragmatici, disposti al dialogo, sinceri nell’esporre le motivazioni che li hanno portati all’obiezione, che possono essere ragioni di ordine pratico, il timore di essere ghettizzati, di finire nel “burn out”, ma anche di ostacolo alla carriera.   Mi ha colpito come, paradossalmente, sia stato più difficile intervistare i ginecologi obiettori, pur essendo numericamente in  maggioranza, e, in qualche caso, come alcuni abbiano preferito la sigla alla firma per non avere, forse, problemi in corsia con i colleghi. Gli obiettori più giovani, d’altra parte, sono stati quelli più disposti a individuare possibili soluzioni. Edgardo Somigliana e Vincenzo Spina, obiettori convinti, riconoscono che pochi sono gli obiettori “assoluti” e che i loro colleghi non obiettori si sacrificano molto. Sostengono che un sistema di incentivi, facilitazioni e premi potrebbe aumentare la proporzione di coloro pronti a sacrificarsi.  
 
Tornando al Lazio e al San Camillo, pensate che le assunzioni vincolate alla non obiezione possano essere la strada giusta per risolvere il problema o possono esistere altre vie?
L.T. E’, come dicevo prima, una delle soluzioni possibili, perché l’alto numero dei medici obiettori nel nostro paese ostacola, di fatto, l’applicazione della legge.  Ma non illudiamoci, se la diminuzione del tasso di abortività è sicuramente un successo, le politiche di contraccezione vanno incentivate, il ruolo dei consultori va difeso. Per arrivare a superare gli impedimenti che ancora oggi, a distanza di 40 anni, sussistono alla piena applicazione della 194 devono essere individuate soluzioni praticabili.
 
C.M. Tutti i medici, obiettori e non obiettori,  che hanno offerto il loro contributo al libro si sono impegnati a individuare possibili soluzioni.  Quella di indire concorsi per le strutture dedicate alle Ivg negli ospedali è una delle strade da percorrere, ma non è l’unica. Promuovere una maggiore formazione in ambito universitario, nelle scuole di specializzazione, incentivare l’utilizzo della RU486, togliendo il limite al ricovero obbligatorio di tre giorni e praticarlo in day hospital, prevedere incentivi di vario tipo, creare meccanismi di rotazione degli incarichi, superare la dicotomia pubblico/privato accreditato. Un giovane medico ha aggiunto: certe volte basterebbe una pacca sulla spalla da parte del primario per sentirsi meno soli…

24 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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