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Di Lazzaro (Campus Bio-Medico): "Grandi passi avanti per diagnosi precoce della malattia"


21 SET - All’inizio è qualche buco nella memoria. Poi quei buchi diventano una voragine e si arriva a deliri e allucinazioni. O con l’uscire di casa all’insaputa di tutti e perdersi nel nulla. E’ il dramma dell’Alzheimer e delle demenze senili in genere, rubricate come emergenza sanitaria numero uno dai ministri della salute europei nell’agenda del semestre a guida italiana.
 
I numeri giustificano più delle parole l’allarme. Nel nostro Paese – dicono i dati dell’Istituto Superiore di sanità – un milione di persone è colpita da qualche forma di demenza che sconvolge l’esistenza di almeno altri 3 milioni di familiari. In tutto 4 milioni di persone, che raddoppieranno nel 2020 per poi triplicare nel 2050, quando con Alzheimer (600mila casi in Italia) e simil patologie dovrà vedersela un italiano su cinque. Colpa soprattutto dell’invecchiamento della popolazione, visto che sopra gli 80 anni la demenza non risparmia due anziani su dieci. Al Policlinico Campus Bio-Medico è possibile valutare estesamente i pazienti, anche grazie a collaborazioni con centri di medicina nucleare e laboratori di neurogenetica. “Oltre ai controlli ambulatoriali periodici, nei quali il paziente viene valutato in tutte le sue problematiche, vengono forniti anche ai familiari consigli ed indicazioni per poter affrontare al meglio la malattia e le conseguenze che essa determina nella vita sociale e di relazione del paziente; inoltre i familiari possono godere di un supporto psicologico personalizzato” - spiega Vincenzo Di Lazzaro, Direttore dell’Unità Operativa di Neurologia.

“La ricerca – prosegue l'esperto - ha fatto importanti passi avanti al fine di effettuare una diagnosi precoce della patologia, grazie soprattutto all’uso di marcatori nel liquido cefalorachidiano, di marcatori genetici, di tecniche avanzate di risonanza magnetica (volumetrica e funzionale) e di esami PET con studio del metabolismo cerebrale e recentemente, in modo innovativo, con l’utilizzo di marcatori specifici per la beta-amiloide, sostanza tossica per i neuroni, che si accumula in maniera patologica nel cervello dei soggetti affetti da malattia di Alzheimer”.

Alcune tecniche d’indagine neurofisiologica, innovative e dal costo contenuto, consentono inoltre di studiare la funzione di particolari gruppi di neuroni all’interno del cervello umano in maniera non invasiva, registrando gli effetti prodotti dalla stimolazione magnetica di specifiche aree cerebrali. “Nel nostro istituto è in corso un progetto di ricerca il cui obiettivo primario è riuscire a diagnosticare precocemente e con bassi costi per il Servizio Sanitario Nazionale la malattia di Alzheimer, in modo da rendere più efficaci le terapie di contrasto alla progressione della malattia tuttora in fase di sperimentazione - continua Di Lazzaro -. In questo ambito alcuni protocolli d’indagine consentono di misurare l’attività dei neuroni colinergici, la cui funzione è compromessa in maniera specifica nella malattia di Alzheimer rispetto ad altre forme di demenza. La compromissione della funzione dei circuiti colinergici nelle forme di deterioramento cognitivo di grado lieve può anche predire la progressione verso la malattia di Alzheimer, mentre la valutazione dell’effetto dei farmaci su tale attività colinergica può aiutare ad identificare i pazienti che hanno maggiore probabilità di rispondere al trattamento. La combinazione di tecniche di stimolazione cerebrale non invasive con l’utilizzo di metodiche di registrazione elettrofisiologica consente inoltre l'analisi delle risposte elettroencefalografiche evocate dalla stimolazione cerebrale. Uno strumento efficace per lo studio della connettività cerebrale, considerata primariamente e precocemente coinvolta in questa patologia”.

“In sintesi – conclude Di Lazzaro – abbiamo oggi a disposizione una serie di strumenti che, opportunamente integrati, possono essere di supporto sia nell’identificazione dei soggetti a rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, sia nella valutazione degli effetti dei farmaci impiegati per il trattamento di questa patologia neurodegenerativa”. 

21 settembre 2015
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