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Allarme Ocse. La sanità non è uguale per tutti. I "ricchi" si curano di più e meglio


Analizzate le differenze di accesso alle cure in base al reddito. Sotto esame 19 Paesi Ocse. Ma manca l'Italia. Solo tre Paesi non discriminano: Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Slovenia. Le maggiori differenze nell'accesso alle cure specialistiche e negli scrrening oncologici. Ecco la ricerca.

21 LUG - In tutto il mondo i cittadini che hanno salari più bassi vanno meno dal dottore. Lo conferma un’indagine dell’Ocse pubblicata ieri, dal titolo “Income-Related Inequalities in Health Service Utilisation in 19 Oecd Countries”, che ha tenuto conto dei dati forniti da 19 paesi europei (tra cui non è però presente l’Italia) fino al 2009. Nel rapporto completo si tiene conto dei risultati sia per i medici di medicina generale che per gli specialisti, con particolare attenzione ai dentisti e al ramo oncologico, dove sono stati considerati gli screening per carcinoma alla mammella e cancro alla cervice uterina. Le conclusioni sono preoccupanti, non tanto per i medici di famiglia, quanto per le visite specialistiche: le iniquità legate al reddito sono infatti evidenti, soprattutto in alcuni paesi, come Francia e Spagna.
 
Va da sé che l’uso minore di alcuni servizi nella sanità può ripercuotersi su uno stato di salute peggiore. Ecco perché, sottolineano i ricercatori, misurare i tassi di ricorso alle strutture sanitarie – che siano di base o specialistiche – e valutare i dati in base al reddito può essere il punto di partenza per capire quali sistemi sanitari funzionano e quali meno. E dunque quali popolazioni hanno migliori possibilità di rimanere in salute o di essere “curate bene” se si ammalano e quali meno.

L’Ocse ha iniziato già dal 2004 questo tipo di rilevazioni riscontrando subito una forte disparità tra "ricchi" e "poveri" nell'accesso e nelle modalità di cura. Discrepanze rimaste sostanzialmente stabili fino ad oggi. La crisi economica sta infatti accentuando le differenze anche a seguito di pesanti tagli ai bidget della sanità pubblica in numerosi Paesi sotto osservazione.
 
I metodi
I paesi considerati sono 19: Austria, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Nuova Zelanda, Polonia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Quasi tutti hanno raggiunto una copertura universale o quasi universale (ma comunque adeguata, secondo l’Ocse) per i servizi medici di base.

Per analizzare il problema dell’accesso ai servizi sanitari, l’Organizzazione internazionale ha scelto come parametro quello della cosiddetta equità orizzontale, principio per cui una persona che ha bisogno di una prestazione medica vi deve poter accedere a prescindere dal reddito percepito, dalla cittadinanza o dall’etnia. 
 
I risultati
Ma è comunque difficile fare una stima unitaria dei dati, poiché le stesse percentuali di accesso al servizio sanitario variano molto. Ad esempio, è il 91% dei francesi - i più “medicalizzati” tra i 19 popoli – ad aver visto un medico nell’ultimo anno, mentre sono solo il 68% degli statunitensi ad essersi sottoposti a una visita negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, anche in queste differenze è possibile studiare le ineguaglianze sociali in ogni nazione: queste sono più evidenti negli Usa, dove i cittadini più ricchi hanno visto in media almeno una volta il medico negli ultimi 15 mesi, mentre i più poveri hanno fatto in media una sola visita in 22 mesi; meno evidenti, ma comunque presenti in Francia, dove gli abbienti vedono il dottore quasi precisamente una volta l’anno, mentre più indigenti una volta ogni 14 mesi.
I paesi in cui secondo il documento Ocse queste differenze sono state più lampanti sono stati Polonia, Stati Uniti, Finlandia e Spagna. Al contrario, gli unici paesi in cui non sono state statisticamente significative sono Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Slovenia: in queste tre nazioni almeno fino al 2009 gli abitanti hanno ricevuto lo stesso trattamento sanitario a prescindere dal loro salario.
 
Le cure specialistiche
Ma quando si legge più attentamente il documento ci si accorge che i dati forse più interessanti sono altri, quelli che riguardano l’accesso alle cure specialistiche.
Quando vengono prese in considerazione solo le visite di medicina generale – per intenderci quelle che in Italia includerebbero la visita dal medico di famiglia – le disuguaglianze si annullano in tutti i paesi considerati e, anzi, addirittura in sei nazioni su 19 (Danimarca, Belgio, Austria, Francia, Nuova Zelanda e Canada) l’accesso è maggiore per il 20% di pazienti che hanno in assoluto i redditi più bassi.
Ma quando si guarda alle visite specialistiche la situazione è completamente ribaltata: le iniquità rispetto all’accesso sono in generale a favore dei cittadini più abbienti sia nella probabilità di vedere uno specialista in caso di bisogno, sia nella frequenza in cui questo accade.
Le ultime della classe in questo senso sono Francia e Spagna (in quest’ultima, in particolare se si guarda al solo settore privato): nel primo di questi paesi, in caso di necessità i più benestanti hanno fatto almeno una visita specialistica in 17 mesi, mentre i più poveri hanno avuto un solo incontro in 26 mesi; nel secondo paese si verifica la simile situazione in cui tra i più ricchi la media è di una visita ogni anno e mezzo, mentre tra i meno abbienti addirittura una ogni 28 mesi.
Anche in questo caso le uniche tre nazioni senza diseguaglianze si sono rivelate Gran Bretagna Slovenia e Repubblica Ceca, ma stavolta sono stati molti di più i paesi in cui le ineguaglianze sono risultate preoccupanti: oltre alle già citate Francia e Spagna, di questo gruppo fanno parte anche Polonia, Canada, Ungheria, Svizzera, Estonia e Finlandia. I dati di Austria, Germania, Irlanda e Stati Uniti non permettevano invece l’analisi di questo tipo di visite, nello specifico.
 
Allo stesso modo preoccupa la situazione riguardo alle visite dentistiche, dove per tutti i paesi considerati si registra che le persone a più alto reddito hanno un accesso più frequente a questo tipo di cure. In particolare le più alte diseguaglianze si registrano in Ungheria, Polonia, Spagna e Stati Uniti.
 
Un caso particolare: le visite oncologiche
Infine, l’Ocse ha considerato i dati per gli screening oncologici, raccolti in particolare per il carcinoma alla mammella e il cancro alla cervice uterina.
In questo caso, le fluttuazioni di accesso alle visite, oltre ad essere registrate per tutti i paesi in base al reddito, variano moltissimo da paese a paese, a prescindere dal salario.
Negli ultimi anni la partecipazione agli screening è stata molto alta in alcuni paesi e molto meno in altri. In particolare, ad esempio, negli ultimi due anni sono state sottoposte a controlli per cancro al seno l’85% delle donne spagnole, e allo stesso modo negli ultimi 3 anni le donne statunitensi sono state sottoposte a screening per il tumore al collo dell’utero per l’85%. Gli stessi dati, per altre donne sono pessimi: in particolare preoccupa la situazione irlandese ed estone (in quest’ultimo caso i dati corrispondenti sono rispettivamente del 36% e 30%).
In generale comunque il trend individuato è quello per cui le disuguaglianze per salario sono più forti nei paesi in cui non esiste un programma di prevenzione a livello nazionale. Inoltre però, in questo particolare caso, ci sono altre caratteristiche individuali che funzionano da predittori efficaci per la frequenza delle visite di controllo. In altre parole non sono solo reddito e nazione di provenienza a contare, ma anche etnia, età, livello di educazione, stato occupazionale, il luogo residenziale, stato civile, presenza di assicurazione sanitaria, stato di salute generale e uso di altri strumenti di prevenzione.
 
Alla lettura di questi dati la preoccupazione si fa forte. Soprattutto sapendo che in Italia – di cui come già detto purtroppo non sono disponibili dati aggiornati – si sta procedendo ad una serie di tagli alla spesa pubblica che colpiscono in particolare proprio il settore della sanità e dell’istruzione, da sempre spesso ‘salvadanaio’ in caso di necessità economiche.
Se c’è una cosa che infatti emerge chiara da tutto il documento dell’Ocse è che il rimedio alla diseguaglianza sociale, nell’ambito di cui ci occupiamo, è un servizio sanitario nazionale. Possibilmente pubblico e accessibile a tutti i cittadini, e in particolare alle donne, la cui prevenzione, come già detto, funziona solo se incoraggiata su tutto il territorio.
 
Laura Berardi

21 luglio 2012
© Riproduzione riservata

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