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Diabete di tipo 2. Un trattamento possibile a partire da quattro enzimi dell’intestino


Le quattro molecole permettono all’organismo di ottenere glucosio a partire dall’amido, ma talvolta possono essere mancanti o mal funzionanti. Per controllarne le funzionalità, però, potrebbero bastare alcuni inibitori selettivi, aiutando il metabolismo di diabetici e persone tendenti all’obesità.

05 OTT - Per aiutare le persone affette da diabete di tipo 2 potrebbero presto essere sviluppati nuovi metodi a partire da una recente ricerca della Simon Fraser University e della Purdue University: gli enzimi dell’intestino che processano i cibi ricchi di amido e ne ricavano glucosio, infatti, potrebbero essere “accesi” e “spenti” secondo necessità grazie ad alcune sostanze. La scoperta è pubblicata su Journal of Biological Chemistry.
 
Tre di questi quattro enzimi sono responsabili per l’estrazione del glucosio dall’amido, ognuno in maniera diversa; il quarto rompe il saccarosio, sempre per l’ottenimento del monosaccaride. Talvolta, uno o più di questi non è presente, il che risulta in un problema nella produzione di glucosio.
Secondo lo studio, il processo di alternanza delle quattro molecole – chiamate alfa glucosidasi – può essere però controllato tramite alcuni inibitori, e ciò potrebbe aiutare a scovare soluzioni e terapie sia per i pazienti diabetici che per chi è incline all’obesità. Potrebbe infatti essere possibile, secondo gli scienziati, fornire gli enzimi mancanti, o fare in modo che quelli presenti riescano comunque a produrre glucosio, semplicemente creando degli alimenti appositi. “Si tratta di usare le informazioni molecolari che abbiamo per controllare questi enzimi”, ha spiegato Mario Pinto, autore dello studio. “Inibendo selettivamente gli enzimi possiamo regolare e dirigere il rilascio di glucosio nel sangue”.
Un risultato che potrebbe essere utile non solo per il trattamento di pazienti diabetici, ma anche per altre condizioni. “Una conoscenza importante, quella che deriva dallo studio – ha concluso Pinto – soprattutto perché con essa, in futuro, potremmo essere in grado di controllare l’esatto trasferimento di glucosio in punti diversi dell’intestino tenue”.

05 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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