Tumore ovarico. La profilazione genomica è la “chiave” d’accesso alle cure migliori, ma il SSN non la rimborsa
di Isabella Faggiano
Presentato al Ministero della Salute il primo Libro bianco illustrato sul carcinoma ovarico “Cambiamo rotta”, promosso da ACTO Italia: 9 storie di donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura, oltre 20 contributi clinico-scientifici e istituzionali, con la prefazione del Ministro della Salute Orazio Schillaci
14 SET - Essere curati al meglio non può essere una questione di fortuna. E non può e non deve dipendere da dove si vive: “Ci sono le Linee Guida e c’è uno strumento attuativo indispensabile che serve ad applicarle: il PDTA, cioè il Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale del tumore ovarico. E poiché il nostro Sistema Sanitario è regionale, ogni Regione si dovrebbe dotare del PDTA del tumore dell'ovaio”. Sono le parole di Sandro Pignata, Presidente del MulticenterItalian Trials in Ovariancancer and gynecologicmalignancies (MITO), che commenta “Cambiamo rotta”, il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico, presentato oggi al Ministero della Salute, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Tumori Ginecologici che si celebra il 20 settembre.
Schillaci: “Digitalizzare per personalizzare le cure”La prefazione del libro è del Ministro della Salute, Orazio Schillaci che ricorda l’importanza della prevenzione, della diagnosi precoce e della presa in carico tempestiva e appropriata «linee strategiche delineate dal Piano Oncologico Nazionale 2023-2027 nonché - sottolinea - le leve fondamentali su cui puntare con rinnovato impegno, anche cogliendo a pieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Sviluppo tecnologico e digitalizzazione, che sono centrali negli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), rappresentano uno strumento indispensabile per favorire in ogni parte del territorio un’assistenza personalizzata e di qualità, nonché per assicurare un decisivo cambio di passo verso l’innovazione del “sistema salute”».
Perché la diagnosi è tardivaLa diagnosi precoce resta la principale difficoltà: il 70% delle donne scopre il tumore ovarico in fase avanzata, sia per la mancanza di strumenti di screening efficaci, che a causa di sintomi troppo aspecifici per destare allarme. Nel 54% circa dei casi la diagnosi è avvenuta a seguito di visite per la presenza di sintomi non specifici, mentre nel 42% è stata casuale: a seguito di controlli di routine (26%) o di controlli per altre patologie (16%). Sono tre i sintomi più frequenti: gonfiore addominale (58%), disturbi nel basso ventre (39%) e perdita di peso (34%). Il 94% delle donne non ha sospettato che potessero essere riconducibili a un tumore ginecologico.
«Il primo motivo per cui la diagnosi arriva spesso così tardi è la mancanza di uno screening efficace. Va anche detto che il tumore origina spesso nelle tube, il che significa che quando viene osservato nelle ovaie può avere avuto già il tempo di diffondersi – spiega Giusy Scandurra, Direttore UOC Oncologia Medica, Ospedale Cannizzaro di Catania -. I rari casi in cui riusciamo a fare una diagnosi precoce sono dovuti a un’identificazione occasionale, di solito in seguito a un’ecografia transvaginale effettuata per un controllo ginecologico di routine».
La malattiaMa ci sono anche buone notizie. Se, fino a dieci anni fa, sette donne su 10 che ricevevano una diagnosi di tumore ovarico non ne avevano mai sentito parlare prima, oggi la situazione si è completamente ribaltata: il 70% delle donne conosce la malattia già prima della diagnosi. Il canale principale di informazione è il ginecologo (36%), ma al secondo posto si trovano i siti internet, le trasmissioni e i servizi in TV e radio e il medico di famiglia. Compaiono anche social network, forum e blog (10%).
Il tumore ovarico è raro rispetto ad altre neoplasie, rappresenta circa il 3% di tutte le diagnosi di tumori femminili. In Italia sono i media 5.300 le nuove diagnosi effettuate ogni anno e nell’80% dei casi la malattia viene individuata quando si è già diffusa a livello locale, al peritoneo e ai linfodi dell’addome. Se non addirittura nei casi più avanzati, al di fuori della zona pelvica: al fegato, alla pleura e in altri organi distanti.
L’analisi L’indagine condotta per la stesura del libro bianco ha coinvolto 109 pazienti con tumore ovarico distribuite su tutto il territorio nazionale: il 47% al Nord, il 25% al Centro e il 28% nel Sud e nelle isole, con un’età media di 57 anni. Per tutte queste donne la diagnosi risale, in media, a 3 anni fa. Hanno contribuito alla redazione del testo oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e nove donne che hanno deciso di mettere nero su bianco le loro storie, dalla diagnosi alla cura.
Anche il professore Paolo Scollo, Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia, Università Kore di Enna Direttore Dipartimento Materno-infantile, Ospedale Cannizzaro di Catania punta i riflettori sulla prevenzione: «Non abbiamo strumenti di screening per il tumore ovarico, ma è importante che tutte le donne, a partire dall’adolescenza avanzata in poi, facciano ogni anno la visita ginecologica con ecografia pelvica, se possibile per via transvaginale».
Come cambiare rottaAumentare il livello di consapevolezza delle donne sul tumore ovarico è uno dei principali obiettivi del libro bianco “Cambiamo rotta”: «È necessario aumentare l’informazione non solo sulla malattia, ma anche sui centri specializzati che abbiamo a disposizione sul territorio nazionale», dice Nicoletta Cerana, Presidente ACTO Italia. Sulla percezione dell’importanza della qualità delle cure, infatti, c’è ancora molta strada da fare: meno di tre pazienti su dieci, il 27%, sceglie di curarsi in un centro specializzato, ignorando quanto una decisione del genere possa fare la differenza nel percorso terapeutico. Per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico Acto ha individuato sette azioni prioritarie, sintetizzate nel in un Manifesto (Manifesto dei Bisogni e dei Diritti delle pazienti di Tumore Ovarico - Home - Acto - Alleanza contro il tumore ovarico (acto-italia.org)), redatto a partire dall’analisi dei bisogni delle pazienti.
I progressi scientificiOggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica la percentuale di pazienti potenzialmente guarite è in aumento. Eppure si potrebbe fare ancora di più. La ricerca di ACTO Italia, infatti, mostra che meno della metà delle pazienti, il 45%, accede alla profilazione genomica (HRD), non ancora rimborsata dal Sistema Sanitario Nazionale. Al 12% dei pazienti non viene proposto nemmeno il test genetico per le mutazioni BRCA, nonostante sia stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e, quindi, fruibile in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. «Di recente - spiega la professoressa Nicoletta Colombo, dell’Università Milano-Bicocca, Direttore Programma Ginecologia, Istituto Europeo Oncologia - abbiamo scoperto il primo “bersaglio” del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati. Si chiama Deficit della Ricombinazione Omologa (HRD) ed è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni BRCA e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni». Si tratta, in altre parole, della metà dei casi totali. Perciò è necessario garantire sia i test genetici, a scopo di prevenzione delle persone sane, e genomici, sul tessuto tumorale.
Il parere degli specialistiQuesti test sono, dunque, il requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata.“Individuare la terapia più adatta ad ogni singolo paziente è un aspetto centrale soprattutto quando parliamo del trattamento chirurgico, che oggi - afferma Giovanni Scambia, Direttore UOC Ginecologia Oncologica - Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma - rappresenta la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l’intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell’80-85%; negli stadi avanzati, dove l’intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. Solo i centri specializzati possono infatti garantire anche l’expertise dell’équipe chirurgica”.
“Purtroppo non tutte le donne hanno le stesse opportunità di cura - sottolinea Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia Molecolare Predittiva, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi Federico II di Napoli -. L’accesso ai test non è uniforme sul territorio nazionale. Per questo, a mio avviso, i LEA dovrebbero prevedere, più in generale, la profilazione genomica estesa, lasciando agli esperti la decisione di quale tipo di strategia utilizzare in relazione al quesito clinico”.
L’impegno della politica“L’intergruppo parlamentare “Insieme per il cancro al fianco dei pazienti” ha stilato un programma di intervento suddiviso in 12 punti e tre di questi offrono risposte concrete alle esigenze emerse dal libro bianco sul tumore ovarico – assicura Vanessa Cattoi (Lega), coordinatrice dell’intergruppo -. Faciliteremo l’acceso agli screening oncologici per favorire la diagnosi precoce, incrementeremo l’accesso a test genici per implementare il ricorso alla medicina personalizzata e di precisione e provvederemo all’ammodernamento delle tecnologie finalizzate alle attività di prevenzione”.
Un’attenzione particolare degli interlocutori coinvolti nella stesura del libro bianco è rivolta alla qualità di vita e all’oncologia territoriale. “In questo caso il compito della politica - sostiene la Senatrice Elena Murelli - è quello di ascoltare le esigenze di pazienti e professionisti, stabilire delle priorità insieme a loro e costruire una sanità sempre più vicina alle reali esigenze di ogni persona, sfruttando anche le nuove opportunità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Questo – conclude - è anche il fine del disegno di Legge che è stato presentato al Senato sulla partecipazione delle Associazioni dei malati e delle organizzazioni di cittadini nell’ambito della tutela della salute all’interno dei principali tavoli decisionali”.
14 settembre 2023
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