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XI Conferenza Distrofia di Duchenne: 2a giornata. A che punto siamo con la ricerca


Prosegue la conferenza di Parent Project. Oggi si parla di ricerca e sperimentazioni. Diversi i trial in corso, da quelli di terapia genica a quelli farmacologici o di terapia cellulare, fino a quelli multifattoriali. Ma per avere una cura ci sarà bisogno di tempo. Ce lo racconta Adele D’Amico (Bambino Gesù). VAI ALLA DIRETTA VIDEO DELLA CONFERENZA.

23 FEB - Quando si parla di distrofia di Duchenne, tutti gli scienziati e gli esperti che si occupano di questa patologia dicono prima di tutto che non esiste cura. Tutti lo ricordano sempre anche perché il fardello di malattie degenerative come questa, i cui sintomi si manifestano già in tenera età, è pesante sia per i pazienti che per le famiglie. Tuttavia, subito dopo, a ricordare alle famiglie e anche a loro stessi che la speranza non è perduta, ogni singolo studioso che si occupa della malattia aggiunge che la ricerca nel campo biomedico è sorprendentemente in fermento negli ultimi anni e che quella sulla distrofia di Duchenne non fa eccezione, procedendo su diversi fronti.
 
Nei giorni della dell’XI Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, organizzata da Parent Project (segui qui la diretta web), abbiamo chiesto ad Adele D’Amico, ricercatrice nel laboratorio di Medicina Molecolare per le malattie Neuromuscolari e Neurodegenerative dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, di raccontarci quali sono gli ambiti di ricerca più promettenti al momento (qui la brochure dove è possibile consultare le schede di tutti i trial). “Ad oggi e negli ultimi 10 anni abbiamo avuto numerosi trattamenti in fase di sperimentazione (in diverse fasi): ogni qual volta si sia trovata una molecola o un approccio efficace, si è iniziato un trial, a partire dalla fase di sperimentazione pre-clinica sugli animali, per verificare l'efficacia, passando poi ai test sugli esseri umani, in cui si testa prima la sicurezza e poi l'efficacia in un campione sempre più ampio di pazienti”.
 
Diverso, tuttavia, l’approccio da cui partono questi trial: la terapia può essere genica, cellulare, farmacologica. “Negli ultimi anni abbiamo osservato approcci sperimentali diversi, a partire da quelli che tentano di modificare direttamente il difetto genetico alla base dell’alterazione della distrofina, come la terapia genica, a quelli che prevedono all’iniezione di cellule muscolari sane, con la terapia cellulare”, ci ha detto D’Amico. “Tra gli studi che riguardano terapie geniche vale la pena ricordare quello con ataluren: un farmaco che mira ad agire direttamente sul danno genetico e che interviene sui meccanismi molecolari post-trascrizione, ovvero quelli coinvolti nella traduzione, il meccanismo con il quale le proteine vengono create a partire dalle informazioni contenute nel genoma. Questa prima sperimentazione, tra il 2006 e 2008 era stata inizialmente interrotta perché si pensava non fosse efficace, ma in realtà successivamente – ricontrollando i dati – si è scoperto che ad uno dei dosaggi la molecola poteva essere efficace e per questo il trial è ripartito. Si tratta di un risultato importante, visto che è la prima conclusa di cui si hanno dati di efficacia”.
 
Tra i primi, ma non certo l’unico trial basato su terapia genica.“Altro risultato è quello che si ottiene usando i cosiddetti oligonucleotidi antisenso, frammenti di RNA che permettono di ridurre la gravità della patologia, ‘convertendo’ la distrofia di Duchenne in quella di Becker”, ci ha spiegato. “Con questa terapia, basata su un meccanismo che si chiama exon skipping, l’organismo invece di non produrre affatto la distrofina, impara a produrre una proteina difettosa, che risulta meno funzionale di quella normale, ma che comunque è attiva”.
 
Si tratta di tutte sperimentazioni che agiscono su un’unica mutazione.“Al momento c’è un solo trial per una molecola che agisce su un gruppo di alterazioni, di cui per ora è stato concluso il primo anno di sperimentazione”, ha continuato la ricercatrice. “Ora partirà uno studio di estensione che dovrebbe durare due anni, e laddove si verificassero la sua efficacia e sicurezza si potrebbe arrivare a sviluppare un farmaco”.
 
Ma la terapia genica non è l’unica terapia possibile.“Ad esempio c’è la terapia cellulare, a base di cellule staminali, di cui forse il più importante esempio è la sperimentazione partita da Giulio Cossu, con l’uso di mesoangioblasti, particolari cellule staminali dei vasi sanguigni”.
 
Tuttavia, qualunque sia il tipo di sperimentazione, per la cura ci vorrà ancora tempo. “Il gene è stato scoperto quasi 40 anni fa e ad oggi stiamo ancora cercando una molecola che funzioni contro questa malattia”, ci ha detto D’Amico. “Quello che oggi cerchiamo di trasmettere alle famiglie è che sebbene la ricerca sia rivolta quasi esclusivamente alla cura, siamo ancora in fase di sperimentazione: il che vuol dire che abbiamo sicuramente delle molecole potenzialmente efficaci ma la cui sicurezza e funzionalità ancora non sono state verificate. E un’altra cosa da ricordare è che è impossibile decidere a priori quale sia l'approccio migliore: la soluzione potrebbe essere la terapia genica, o quella cellulare, o magari un approccio multifattoriale, senza dimenticare i risultati ottenuti anche con la terapia farmacologica a base di cortisone, che abbiamo dimostrato rallentare l'evoluzione della malattia”.

23 febbraio 2013
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